Decade dall'impugnazione del licenziamento il lavoratore che trasmetta via PEC una copia informatica senza firma digitale della lettera di contestazione?

Andrea Ricuperati
13 Gennaio 2021

L'atto cartaceo di contestazione, del quale l'avvocato del lavoratore abbia trasmesso al datore di lavoro mediante PEC una copia informatica per immagine sprovvista di firma digitale e di attestazione di conformità, è inidoneo – anche se comunicato al destinatario entro il termine di legge di 60 giorni – ad impedire la decadenza dall'impugnazione del licenziamento.
Massima

L'atto cartaceo di contestazione, del quale l'avvocato del lavoratore abbia trasmesso al datore di lavoro mediante posta elettronica certificata una copia informatica per immagine sprovvista di firma digitale e di attestazione di conformità, è inidoneo – anche se comunicato al destinatario entro il termine di legge di 60 giorni – ad impedire la decadenza dall'impugnazione del licenziamento.

Il caso

Con ricorso ritualmente depositato in Cancelleria Tizia domandava al Tribunale di Palermo di dichiarare nullo/illegittimo il licenziamento intimatole per giusta causa dalla società Alfa, chiedendo quindi di essere reintegrata nel posto di lavoro, con ogni corollario in punto condanna della convenuta al risarcimento dei danni ed alla corresponsione dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Alfa eccepiva in via preliminare l'intervenuta decadenza dall'impugnativa e – nel merito – ne domandava il rigetto per infondatezza.

Sul piano pregiudiziale, veniva in particolare obiettato che:

(i) nel termine di cui all'art. 6 della L. n. 604/1966 Alfa aveva ricevuto unicamente una copia “scansionata” in pdf – allegata al messaggio PEC del difensore di Tizia – della lettera stragiudiziale di impugnazione, non firmata digitalmente né dalla lavoratrice né dal suo avvocato;

(ii) al messaggio di posta elettronica certificata in questione non erano stati allegate l'attestazione di conformità dell'esemplare informatico per immagine della lettera, né la procura al difensore mittente;

(iii) l'atto stragiudiziale de quo era dunque privo dei requisiti di forma previsti dall'art. 2702 c.c..

La questione

Il Tribunale adìto si è chiesto se la forma adottata per contestare stragiudizialmente il licenziamento fosse – o meno – idonea ad impedire la decadenza dall'impugnazione, sancita dalla legge per l'ipotesi di sua mancata comunicazione ad Alfa entro i 60 giorni dal momento in cui la lavocatrice è venuta a conoscenza del recesso datoriale.

Le soluzioni giuridiche

Il Giudice palermitano ha fornito al quesito risposta negativa, affermando quanto segue:

(i) l'atto di impugnazione del licenziamento è negozio giuridico unilaterale recettizio di natura dispositiva, da portare quindi a conoscenza del datore di lavoro – a pena di decadenza – entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento (o dei motivi di esso, ove non contestuali al recesso);

(ii) il contenuto di detto atto è libero, ma il mezzo della sua rappresentazione deve necessariamente essere quello della scrittura;

(iii) le modalità attraverso le quali può individuarsi la paternità dell'atto sono disciplinate dalla legge;

(iv) per il documento informatico la normativa di riferimento è quella del D.lgs. n. 82/2005 (CAD) e segnatamente, trattandosi nella fattispecie di copia per immagine su supporto informatico di documento originale analogico, il disposto dell'articolo 22;

(v) la scansione della lettera di impugnazione ha la stessa efficacia dell'originale, da cui è estratta, se (i) ad essa è apposta una firma digitale, elettronica qualificata od avanzata, del lavoratore e/o del suo difensore, oppure (ii) è accompagnata dall'attestazione di conformità emessa da un notaio od altro pubblico ufficiale autorizzato, o ancora (iii) se il documento è stato formato nel rispetto delle regole tecniche dettate dall'art. 71 del CAD e la sua conformità non risulta espressamente disconosciuta;

(vi) nella vicenda in esame difetta la firma digitale/elettronica di Tizia e del suo avvocato, manca l'attestazione di conformità e non consta l'osservanza delle Linee-Guida AgID;

(vii) le pronunce giurisprudenziali sulla sufficienza della trasmissione dell'impugnativa per telegramma non sono invocabili, giacché l'art. 2705 c.c. non si applica per analogia alla fattispecie in parola.

Alla luce dei suestesi rilievi, il Tribunale ha respinto il ricorso, peraltro dichiarando interamente compensate le spese di lite fra le parti, “tenuto conto della novità della questione”.

Osservazioni

L'ordinanza in commento desta, a sommesso avviso di chi scrive, più di una perplessità, se – come pare evincersi – la lettera di contestazione (stragiudiziale) del licenziamento risultava munita, nell'originale cartaceo, della sottoscrizione autografa della lavoratrice (discorso radicalmente diverso andrebbe fatto in caso contrario, essendo pacifico – dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del Supremo Collegio sul tema [Cass. civ. SS.UU. n. 2180/1987] – che, se l'atto di impugnativa viene compiuto da persona diversa dal dipendente (sia il suo avvocato od un terzo qualsiasi), prima dell'instaurazione del giudizio, tale soggetto deve essere munito di specifica procura o ratifica scritta, rilasciata e portata a conoscenza del datore di lavoro entro il termine decadenziale di legge: cfr. anche Cass. civ. n. 9182/2014).

Il rilievo critico attiene in primo luogo alla ritenuta necessità che siano presenti tutti i requisiti voluti dall'art. 2702 del codice civile per la scrittura privata.

Anche per il licenziamento la legge (art. 2 L. n. 604/1966) impone la forma scritta quale elemento imprescindibile, a pena di inefficacia, ma nulla specifica a proposito delle modalità di sua comunicazione; e la giurisprudenza ha ritenuto validi quei mezzi implicanti l'univoca volontà datoriale di porre fine al rapporto di lavoro e la certezza del momento della conoscenza in capo al destinatario: così il recapito a mano (anche mediante incaricati), la raccomandata postale (Cass. nn. 23061/2007 e 6527/2003) ed il telegramma (Cass. civ. nn. 10291/2005 e 19689/2003), ma pure la e-mail, sempre che aliunde si ricavi la prova della data in cui il dipendente ne ha avuto notizia (Cass. civ. n. 29753/2017), il messaggio SMS (App. Firenze, 5.7.2016) e addirittura il messaggio Whatsapp (Trib. Catania, 27.6.2017), naturalmente alla medesima condizione testè indicata.

Alla stessa stregua potrebbero ricorrere gli estremi della forma scritta – a prescindere dalla sussistenza della sottoscrizione – per l'impugnazione del recesso datoriale, trattandosi di atto che del licenziamento possiede il medesimo carattere (= di negozio giuridico unilaterale dispositivo recettizio): e tale è stata – al di là dell'ipotesi del telegramma (esplicitamente disciplinata dall'art. 2705 c.c.) – reputata ad esempio da Trib. Milano, 5 ottobre 2010 la e-mail, in linea con la tesi che ricomprende il messaggio di posta elettronica e lo short message service nel novero delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c..

Ma la discutibilità del provvedimento qui commentato risiede soprattutto in ciò: che il Tribunale di Palermo, dopo aver ricordato la norma del terzo comma dell'art. 22 del D.lgs. n. 82/2005 (ai sensi del quale “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all'originale non è espressamente disconosciuta.”), ha – in modo del tutto apodittico e senza ragione alcuna – negato che la missiva di impugnazione fosse stata confezionata nell'osservanza delle Linee Guida dell'Agenzia per l'Italia digitale (“AgID”).

L'art. 4, primo comma, del vigente D.P.C.M. 13.11.2014 (al pari di quanto contemplato dal punto 2.2 del capitolo 2 di dette Linee Guida, le quali sono entrate in vigore dal 10.9.2020 ma troveranno applicazione a decorrere dal 7.6.2021; sino ad allora operano le regole tecniche ex art. 71 CAD, fra cui l'appena menzionato D.P.C.M.) stabilisce, infatti, che “La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell'originale e della copia”; e non v'è dubbio che l'uso dello scanner rientra nella categoria degli strumenti/processi in grado di assicurare il conseguimento dello scopo previsto dalla regola tecnica.

Val la pena di aggiungere che quella di apporre la firma digitale o elettronica qualificata, attribuita a chi estrae la copia per immagine, è una mera facoltà (v. il capoverso dell'art. 4 del D.P.C.M. 13.11.2014), la quale non incide sul principio dell'equivalenza all'originale della copia per immagine non disconosciuta, sancito dal succitato comma 3 dell'art. 22 CAD e ribadito dal quarto alinea della stessa disposizione: “Le copie formate ai sensi dei commi 1, 1-bis, 2 e 3 sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali formati in origine su supporto analogico”.

Non risulta essere stato dal Giudice palermitano speso cenno in merito al tema della conformità della copia informatica all'originale analogico della lettera di contestazione stragiudiziale del licenziamento. Dalla ricostruzione della vicenda processuale, come effettuata all'interno dell'ordinanza, sembra emergere che la datrice di lavoro abbia eccepito solo l'assenza di firma digitale della dipendente e del suo difensore, nonché dell'attestazione di conformità del documento, senza disconoscere in maniera espressa tale conformità all'originale cartaceo della lettera; se così è, il Magistrato siciliano ha – al pari dell'analogo provvedimento 29.1.2020 del Tribunale di Monza – errato nel non dar corso alla verifica in questione e nel non trarre dal mancato disconoscimento il corollario della piena equipollenza dell'esemplare “scansionato” all'originale di riferimento.

Un'ultima considerazione critica: ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, ultimo periodo, del D.lgs. n. 82/2005, quando manchino la firma digitale e/o elettronica qualificata, nonché gli specifici processi di identificazione individuati dall'AgID, “l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.”; ed il Tribunale di Palermo non solo si è astenuto da detta indagine, ma anche – e soprattutto – ha dimenticato che l'atto di impugnativa stragiudiziale, essendo stato trasmesso via PEC, possedeva data certa anteriore allo spirare del termine decadenziale di 60 giorni, in virtù dell'art. 41, comma 4, lett. c), del D.P.C.M. 22.2.2013, il quale attribuisce dignità di validazione temporale al riferimento “ottenuto attraverso l'utilizzo di posta elettronica certificata ai sensi dell'art. 48 del Codice [CAD, n.d.r.]”.

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