Variazioni Iva: un'attesa inversione di tendenza alla luce della Corte di Giustizia

Sergio Sisia
14 Gennaio 2021

In tema di I.V.A., è illegittima la pretesa del Fisco di ottenere l'imposta dal cedente o dal prestatore che non abbia fatto ricorso al meccanismo previsto dall'art. 26 del d.P.R. n. 633/72 per mancato pagamento a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, qualora questo meccanismo sia stato utilizzato dal cessionario o committente, e sia stato eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l'erario.
Massima

In tema di I.V.A., è illegittima la pretesa del Fisco di ottenere l'imposta dal cedente o dal prestatore che non abbia fatto ricorso al meccanismo previsto dall'art. 26 del d.P.R. n. 633/72 per mancato pagamento a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, qualora questo meccanismo sia stato utilizzato dal cessionario o committente, e sia stato eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l'erario.

Il caso

La vicenda tra origine dall'impugnazione proposta da una società cooperativa a responsabilità limitata avverso una cartella di pagamento per I.V.A. non pagata, dichiarata il 1996 e non versata perché relativa a fatture di vendita regolarmente registrate, non pagate, parzialmente, dall'acquirente in stato di decozione e poi fallito. Il curatore aveva annotato la maggiore I.V.A. dovuta. Respinto il ricorso dalla Comm. trib. prov. di Roma, quella regionale lo accoglieva per la tardività della notificazione della cartella e, quindi, la sentenza veniva cassata (cfr. Cassazione n. 1829 del 26 gennaio 2010). Riassunto il giudizio, la contribuente faceva presente che il 20 aprile 2005 il Trib. di Napoli aveva disposto la chiusura del fallimento dell'acquirente “(…) per insufficienza di attivo, sicché il proprio credito, ammesso in chirografo, è rimasto insoddisfatto”. La Comm. trib. reg. del Lazio respingeva tuttavia l'appello perché la ricorrente “(…) a fronte del decreto di chiusura del fallimento, che comportava la «certezza della quantificazione del proprio credito», avrebbe potuto -recte, dovuto- attivare la procedura di variazione in diminuzione” (cfr. p. 2 della sentenza in commento). Nella prospettazione della sentenza impugnata, “(…) quando la ricorrente ha ricevuto la cartella di pagamento non vi sarebbe stato il presupposto per la variazione dell'imponibile; ma neanche quando questo si sarebbe verificato la società vi ha provveduto. Di qui la legittimità della pretesa del fisco” (cfr. §. 2 della sentenza in commento). La contribuente proponeva ricorso per la cassazione di tale ultima pronuncia: (i) per omessa motivazione circa i fatti controversi e decisivi del decreto di chiusura del fallimento dell'acquirente e dell'annotazione da parte del curatore della variazione nel registro delle fatture dell'imponibile non pagato, col conseguente addebito dell' I.V.A. al fallimento e, (ii) per violazione o falsa applicazione dell'art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, là dove il giudice d'appello aveva escluso che si possa impugnare la cartella relativa all' I.V.A. non più dovuta in ragione del sopravvenuto fallimento, sebbene l'emittente della fattura non abbia fatto ricorso alla procedura di variazione prevista dal predetto art. 26 (cfr. §. 1 della sentenza in commento).

Le questioni giuridiche

A) La normativa nazionale

L'art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, a cui si è richiamata nel caso di specie e da ultimo la Comm. trib. reg. del Lazio, stabilisce che se un'operazioneper la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno, in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione o simili o per mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure esecutive individuali o di procedure concorsuali, rimaste infruttuose, il cedente/prestatore ha diritto di portare in detrazione, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 633/1972, l'imposta corrispondente alla variazione, annotandola nel registro degli acquisti a norma dell'art. 25 del d.P.R. n. 633/1972. La variazione dell'imponibile e dell'imposta “in diminuzione”, diversamente da quella “in aumento”, di cui al precedente comma 1 del medesimo art. 26 del d.P.R. n. 633/1972, ha natura facoltativa ed è limitata ai casi espressamente previsti, tra i quali rientrano le ipotesi di procedure (i) esecutive individuali o, (ii) concorsuali, rimaste infruttuose. Quanto alle ipotesi sub (i), (a) prima dell'introduzione del comma 12 dell'art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, in virtù dell'art. 1, comma 567, della L. n. 232/2016 (Legge di Bilancio 2017), si consideravano concluse infruttuosamente quelle in cui il credito del cedente/prestatore non trovasse soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell'esecutato, ossia risultasse accertata e documentata dagli organi della procedura l'insussistenza di beni da assoggettare all'esecuzione; (b) dopo l'introduzione del predetto comma 12, quanto al pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare; quanto al pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l'impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità; infine, quando, dopo che per tre volte l'asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità. Quanto alle ipotesi sub (ii), come già rilevato commentando, in ilfallimentarista.it, “La Risposta del 7 febbraio 2020 n. 33 dell'Agenzia delle Entrate, in ordine alla possibilità di emissione di nota di credito ex art. 26 DPR 633/72, in caso di mancata ammissione del creditore allo stato passivo per proponimento della domanda oltre il termine di cui all'art. 101 comma 1 l. fall. direttiva dell'Agenzia delle Entrate”, l'art. 1, comma 567, della L. n. 232/2016 (“Legge di Bilancio 2017”), nel modificare l'art. 26 del d.P.R. n. 633/1972, per ciò che specificamente riguarda le note di variazione in diminuzione dell'imponibile e dell'imposta in caso di assoggettamento del cessionario/committente a una procedura concorsuale, ha ripristinato le disposizioni in materia vigenti prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 208/2015 (“Legge di Bilancio 2016”), che avrebbero dovuto applicarsi “nei casi in cui il cessionario o committente sia assoggettato ad una procedura concorsuale successivamente al 31 dicembre 2016”. Ne discende che la nota di variazione in diminuzione può essere emessa dal cedente/prestatore solo nel caso in cui il mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo da parte del cessionario/committente sia dovuto a una procedura concorsuale che si sia conclusa infruttuosamente (in questo senso, si veda anche Comm. trib. prov. di Vicenza, sez. II, 17 aprile 2019, n. 145, in Redazione Giuffrè 2019, secondo cui, “L'art. 26 d.P.R. n. 633 del 1972, al comma 2, dopo la modifica contenuta nell'art. 13 bis, comma 1, d.l. n.79 del 1997, ha eliminato le parole “dell'avvio” dal testo del precedente articolo, consentendo al soggetto attivo di un'operazione soggetta ad I.V.A. (cedente del bene o prestatore del servizio) di recuperare l'imposta addebitata in fattura (e conseguentemente versata all'Erario) quando, per cause originarie o sopravvenute, detta operazione imponibile viene meno (in tutto o in parte) o si verifica una riduzione del relativo ammontare imponibile. Pertanto, sulla base alla citata modifica è divenuto possibile emettere note di credito nel caso di un mancato pagamento, totale o parziale di fatture, da parte del cliente insolvente, a causa di procedure concorsuali, per le quali (e nella misura in cui) sia stata accertata la definitiva infruttuosità”) come del resto avvenuto nel caso di specie, con il decreto di chiusura del fallimento nel 2005. Parimenti, è stata abrogatala disposizione che consentiva al cessionario/committente, assoggettato ad una procedura concorsuale, di non annotare la variazione nel registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi, così come quella ad essa collegata che, in caso di successivo soddisfacimento parziale o integrale del debito per il quale era stata attivata una procedura esecutiva, il creditore avrebbe dovuto operare una variazione in aumento, computando nuovamente a debito l'imposta oggetto della variazione. In definitiva (si veda il richiamato commento in ilfallimentarista.it), secondo l'Agenzia delle Entrate, l'art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, presuppone, come precisato nella Circolare n. 77/E del 17 aprile 2002: (a) da una parte, la preliminare necessaria partecipazione alla procedura che legittima, in astratto, il creditore alla variazione in riduzione e, (b) dall'altra, la “infruttuosità” delle procedure esecutive individuali e concorsuali che legittima, in concreto, il diritto alla variazione, non essendo sufficiente il mero avvio delle stesse. “Infruttuosità” che, riguardo alle procedure concorsuali, come precisato, oltre che nella richiamata Circolare n. 77/E del 17 aprile 2002 anche nella successiva n. 8/E del 7 aprile 2017, “(…) si realizza alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale [stabilito con decreto dal giudice delegato ex art. 110 l. fall.] oppure, in assenza, di quello per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento [ai sensi dell'art. 119 l. fall.]”.

B) La normativa europea

L'art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, di cui sopra, recepisce la normativa europea (cfr. Par. 1 dell'art. 90 della Direttiva n. 2006/112, corrispondente all'art. 11, parte C della Sesta Direttiva) la quale obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile e, quindi, l'importo dell'iva dovuta dal soggetto passivo, ogni qual volta, dopo la conclusione di un'operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non sia da lui percepita. In sostanza, come rilevato anche dalla sentenza in commento (cfr. p. 4), la base imponibile dell' i.v.a. deve essere ragguagliata al corrispettivo realmente ricevuto dal soggetto passivo e l'amministrazione tributaria non può riscuotere a tale titolo un importo superiore a quello da questi percepito (per l'affermazione secondo cui “La base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto e il cui corollario è che l'amministrazione fiscale non può riscuotere a titolo dell'I.V.A. un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo” si vedano, tra le altre, C-127/18; C-672/17; C-462/16; C-337/13; C-588/10). Il Par. 2 dell'art. 90 consente agli Stati membri di evitare la riduzione qualora, in determinate circostanze e in considerazione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il mancato pagamento del corrispettivo possa essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio: “In generale, quindi, della conseguente incertezza si tiene conto privando il soggetto passivo del suo diritto alla riduzione della base imponibile finché il credito non presenti un carattere definitivamente irrecuperabile” (così a p. 5 della sentenza in commento). L'incertezza del carattere definitivo del mancato pagamento priva, pertanto, il cedente/prestatore del diritto alla riduzione della base imponibile finché il credito non sia definitivamente irrecuperabile, come si è visto, del resto, previsto dall'art. 26, comma 2, del D.P.R. n.633/1972.

La soluzione giuridica

Il Supremo Collegio, nel caso di specie, ha respinto la tesi della Comm. trib. reg., secondo cui la ricorrente, cedente, avrebbe dovuto ricorrere alla procedura di variazione di cui all'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (allegando l'irrecuperabilità del credito che vantava nei confronti del cessionario) in quanto il decreto di chiusura del fallimento per insufficienza dell'attivo, anche se intervenuto soltanto nel 2005, avrebbe fornito la certezza dell'irrecuperabilità del credito vantato, consentendo al ricorrente di detrarre l'imposta corrispondente alla variazione. Si legge, infatti, nella sentenza in commento (a p. 9 con sottolineatura aggiunta): “7.3. - Non si può, (…), ritenere dovuta l' I.V.A. esposta in fattura, che sia stata oggetto della procedura di variazione da parte del curatore del fallimento del cessionario/committente a causa della mancanza dei fondi necessari al pagamento del corrispettivo dovuto al cedente/prestatore. L'omesso pagamento è difatti in tal caso certo e definitivo, perché emerso in esito a una procedura concorsuale infruttuosa; e la condotta del curatore che, mediante la procedura di variazione, evidenzi un debito pari alla detrazione in precedenza operata, che sarebbe così neutralizzata, è idonea a escludere il rischio di perdita di gettito fiscale, poiché esplicita che egli non ha diritto alla detrazione dell' I.V.A. (in termini, Cass. 11 dicembre 2013, n. 27698). 8.- Né occorre che il cedente/prestatore che non abbia provveduto alla variazione dell'imponibile proceda comunque ad assolvere l' I.V.A. relativa alle operazioni compiute col cessionario/committente fallito, per poi richiederla a rimborso, perché non dovuta, in ragione dell'infruttuosità della procedura concorsuale. Si tratterebbe, difatti, di una riproduzione del meccanismo del solve et repete, del quale le sezioni unite di questa Corte (con sentenza 8 settembre 2016, n. 17757, punto 5.2) hanno già sottolineato la distonia con il diritto unionale. 9.- E' decisivo, quindi, il fatto, rappresentato in ricorso, dell'annotazione della variazione da parte del curatore. Ininfluente è, invece, che l'annotazione sia avvenuta in corso di giudizio, poiché quel che importa è che l'annotazione sia avvenuta in tempo utile ad eliminare la perdita di gettito (…)”.Interessante, perché rappresenta indubbiamente un'inversione di tendenza in punto della giurisprudenza di legittimità, è il percorso con il quale il Supremo Collegio giunge a tale conclusione, prendendo le mosse da quella che, alla luce della normativa e giurisprudenza comunitaria, è da ritenersi la ratio del meccanismo di rettifica previsto anche dall'art. 26 del D.P.R. n. 633/72, necessario per garantire la precisione delle detrazioni e, quindi, la neutralità dell'iva.

1. Premesso che la pretesa del fisco poggia sull'obbligo dei soggetti passivi di assolvere l' I.V.A. esposta in fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un'operazione soggetta a I.V.A., al fine di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale (che può derivare dall'esercizio del diritto di detrazione), il Supremo Collegio sottolinea che la facoltà di derogare all'obbligo di riduzione dell' I.V.A. si riferisce ai casi in cui l'omesso pagamento, totale, o parziale, sia difficile da verificare oppure abbia carattere puramente temporaneo (in proposito richiama, tra le ultime, Corte CE 11 giugno 2020, causa C-146/19, SCT, punto 23; Corte CE 6dicembre 2018, causa C-672/17, Tratave, punto 38 e, in termini nella giurisprudenza interna, tra le più recenti, Cass. 10 maggio 2019, n. 12468).

2. Può accadere quindi, prosegue il giudice di legittimità, che, per effetto di tale incertezza, il soggetto passivo sia privato del suo diritto alla riduzione della base imponibile, almeno fino a quando il credito non presenti un carattere definitivamente irrecuperabile (come richiesto, del resto, dall'Agenzia delle Entrate e, generalmente, dalle Commissioni tributarie).

3. Tuttavia, il richiamo alla sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16, Di Maura (per cui, con riferimento alla normativa italiana, l'art. 11, Parte C, Par. 1, comma 2, della Sesta Direttiva deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell' I.V.A. all'infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni) consente alla Corte di Cassazione (cfr. § 5, p. 6 della sentenza in commento) di affermare che, “(…) quanto alle procedure concorsuali, alla luce della giurisprudenza unionale l'applicabilità dell'art. 26 del D.P.R. n. 633/72 non necessita della certezza dell'irrecuperabilità derivante dall'infruttuosità della procedura”. Per accordare il diritto alla riduzione della base imponibile è sufficiente che il soggetto passivo evidenzi l'esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell'ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque (punto 27 della sentenza Di Maura). Ciò proprio perché la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita, in pratica, solo dopo una decina di anni, a causa della durata, in Italia, delle procedure fallimentari.

4. Si evita così, ad avviso del Supremo Collegio, agli imprenditori italiani, nei casi di mancato pagamento di una fattura, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri, consentendo l'armonizzazione fiscale perseguita dalla Sesta Direttiva. Spetta alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del mancato pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità della vicenda (così a p. 7 della sentenza in commento).

5. Del resto se, come si è detto sopra, l'obiettivo è l'eliminazione del rischio di perdita di gettito fiscale, l'obbligo di assolvere l' I.V.A. da parte del fornitore non deve eccedere quanto necessario per il raggiungimento di tale obiettivo e, nel caso in esame, il fatto che la società cedente non abbia emesso, né prima né dopo il decreto di chiusura del fallimento, la nota di accredito, è irrilevante. Da una parte, infatti, vi è il “(…) diritto del fornitore di ridurre la base imponibile (…)” e, dall'altra, “(…) l'obbligo di rettifica della detrazione operata inizialmente quando questa sia inferiore o superiore a quella a cui il soggetto passivo cessionario abbia diritto (art. 184 della direttiva iva)”. Ne consegue che “(…)la condotta del cessionario/committente è destinata a riverberare i propri effetti sulla posizione del cedente/prestatore: e ciò perché si tratta di due facce di una stessa operazione economica, che devono essere valutate in modo coerente (Corte giust. in causa C-396/16, cit., punto 35)”. In definitiva, “L'obbligo di rettifica del cessionario/committente non dipende dalla rettifica dell'iva dovuta dal fornitore, perché l'emittente della fattura è debitore dell'iva ivi indicata (…)” e, d'altra parte, l'obbligo di assolvere l' I.V.A. da parte del fornitore “(…) non deve eccedere quanto necessario per il raggiungimento dell'obiettivo dell'eliminazione del rischio di perdita di gettito fiscale (…)”(cfr. § 7 e 7.1., p. 8 della sentenza in commento). Nel caso in esame, come si è detto, il cessionario (ovvero il curatore fallimentare) aveva annotato la maggiore I.V.A. dovuta prima della chiusura del fallimento, andando a eliminare qualsiasi effetto di perdita anche per il fisco. In sostanza, attraverso tale comportamento, il cessionario ha neutralizzato l'imposta e, pertanto, non sarebbe possibile pretendere dal cedente (solo perché non ha emesso la nota di accredito) il pagamento dell' I.V.A..

Conclusioni

Già in occasione del commento alla “Risposta del 7 febbraio 2020 n. 33 dell'Agenzia delle Entrate”, si è rilevato che l'interpretazione “formalistica” dell'Agenzia delle Entrate sembra scontrarsi con i principi ancora di recente affermati dalla Corte CE con la sentenza 11 giugno 2020, causa C-146/19. La pronuncia in commento segna ora il definitivo superamento di quell'interpretazione per cui non resta che sperare in un intervento del legislatoreche modifichi, definitivamente, il contenuto del più volte richiamato art. 26, in linea con le indicazioni emerse in sede comunitaria. A dire il vero, il D.L. n. 104/2020, recante “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia” (c.d. “Decreto Agosto”) aveva previsto la possibilità che il semplice assoggettamento ad una procedura concorsale consentisse ai fornitori di emettere la nota di accredito per l' I.V.A. ma la L. 13 ottobre 2020, n. 126, di conversione, ha stralciato questa modifica come, del resto, avvenuto in precedenza in occasione della Legge di bilancio 2016, abrogata, come si è visto sopra al §. A, prima che trovasse applicazione.

Guida all'approfondimento

Agenzia delle Entrate, Circolare n. 77/E, 17 aprile 2002; Agenzia delle Entrate, Circolare n. 8/E, 7 aprile 2017; Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello dell'11 agosto 2020 n. 261; Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello del 7 febbraio 2020 n. 33; art. 26 D.P.R. n. 633/1972;Associazione Italiana Dottori Commercialisti di Milano, Norma di comportamento 192/2015, in www.aidc.pro/milano.it; CE, Direttiva I.V.A. 2006/112; Corte CE, 23 novembre 2017, causa C-246/16; L. 11 dicembre 2016, n. 232, art. 1, comma 567; M. Peirolo, Variazione in diminuzione dell'IVA a prescindere dall'infruttuosità della procedura concorsuale, in mysolution.it, 24 novembre 2020.

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