La ripartizione delle spese in condominio: criteri convenzionali e criteri legali
14 Gennaio 2021
Inquadramento
Le spese condominiali sono un obbligo di pagamento conseguente all'uso e alla manutenzione delle parti comuni di un condominio. Si distinguono in spese ordinarie e spese straordinarie. Le spese ordinarie riguardano la normale gestione dell'edifico e comprendono, tra l'altro: pulizie, illuminazione, manutenzione del giardino, riparazioni generiche, polizza assicurativa, compenso dell'amministratore, costi di gestione (raccomandate di invito alle assemblee, spese di cancelleria, ecc.). Le spese straordinarie sono, invece, quelle di carattere occasionale che coinvolgono l'intero condominio, come il rifacimento della facciata o del tetto, o quelle per le innovazioni. Il modo in cui queste spese devono essere ripartite costituisce spesso causa di liti e dissidi in condominio. Al di fuori di questi metodi di divisione delle spese, sono ammissibili “criteri in deroga” o convenzionali. L'art.1123 c.c. sancisce il generale criterio proporzionale rispetto al valore della proprietà (salvo diversa convenzione) con riferimento alle spese occorrenti per: la conservazione dell'immobile, il godimento delle parti comuni dell'edificio, la prestazione dei servizi nell'interesse comune, le innovazioni deliberate dalla maggioranza (a differenza delle spese d'uso, che traggono origine dal godimento soggettivo e personale, e che si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza e quindi possono essere anche autonome rispetto alla quota proprietaria). La ratio di tale criterio va ricercata nel fatto che ciascuna unità immobiliare ha un valore diverso che giustifica la ripartizione in proporzione alla quota (millesimi di cui alla tabella generale del condominio). Con riferimento all'ipotesi particolare nella quale l'edificio condominiale non disponga di una “tabella millesimale”, la Suprema Corte ha chiarito che il condomino non può sottrarsi al pagamento della quota, spettando al giudice di stabilire se la pretesa del condominio nei confronti del singolo condomino sia conforme ai criteri di ripartizione che, con riguardo ai valori delle singole quote di proprietà sono stabiliti dalla legge in subiecta materia, determinando egli stesso in via incidentale, anche in assenza di specifica richiesta al riguardo, i valori di piano o di porzioni di piano espressi in millesimi (Cass.civ., sez.II, 27 gennaio 2016, n.1548). Il Tribunale di Roma, sez.V, 11 febbraio 2019, n. 3643 ha anche precisato che, in mancanza di un atto formale di adozione e approvazione, le tabelle di calcolo da considerare “vigenti” sono quelle di fatto applicate per tacito accordo (quanto meno circa la corrispondenza della millesimazione in concreto impiegata al criterio di proporzionalità delle singole proprietà esclusive dettato dall'art.1123 c.c.). Il Tribunale romano, prendendo le mosse da Cass.civ., sez. un., 9 agosto 2010, n.18477 (ripresa in Cass.civ., sez.II, 25 ottobre 2018, n. 27159), secondo cui “in tema di condominio, l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse non ha natura negoziale e non deve quindi essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art.1136, comma 2, c.c.”, arriva a sancire che “la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza rappresentata dalla concreta disapplicazione delle stesse tabelle per più anni può assumere il valore di un univoco comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica dei criteri di ripartizione da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dare luogo, quindi, ad una convenzione modificatrice della relativa disciplina che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia, purchè inequivoco, dell'assemblea dei condomini” (Cass.civ.,sez.II, 10 febbraio 2009, n. 3245: “in tema di condominio, le tabelle millesimali possono esistere (o non esistere) indipendentemente dal regolamento condominiale, la loro allegazione rappresentando un fatto meramente formale che non muta la natura di entrambi gli atti, poiché i condomini, anche in mancanza di tale regolamento, sono liberi di accordarsi tra loro ai fini della ripartizione di tutte o alcune delle spese comuni, purché sia rispettata, a norma dell'art. 1123 c.c., la quota posta a carico di ciascuno in proporzione al valore della rispettiva proprietà esclusiva. La formazione delle tabelle millesimali, inoltre, tranne quando queste siano state allegate ad un regolamento contrattuale, non richiede forma scritta ad substantiam, essendo desumibile anche da facta concludentia”. Di recente, di contrario avviso, Cass.civ.,sez.II, 15 ottobre 2019, n.26042:“le tabelle millesimali possono esistere (o non esistere) indipendentemente dal regolamento condominiale, la loro allegazione rappresentando un fatto meramente formale che non muta la natura di entrambi gli atti; nondimeno, in base al combinato disposto degli artt. 68 disp. att. c.c. e 1138 c.c., l'atto di approvazione (o di revisione) delle tabelle, avendo veste di deliberazione assembleare, deve rivestire la forma scritta ad substantiam, dovendosi, conseguentemente, escludere approvazioni per facta concludentia”. Mentre l'art.1123, comma 1, c.c. si applica quando i beni comuni sono strutturalmente (per destinazione materiale e oggettiva) predisposti in modo da servire le singole unità abitative in modo uniforme, il secondo comma disciplina l'ipotesi in cui si riscontri una differenza funzionale tale da determinare una utilità per alcune unità in misura differente rispetto ad altre (l'uso cui fa riferimento la norma è quello potenziale. La norma presuppone che si tratti di servizi i quali siano di per sé strutturati in modo da fornire utilità diverse ai singoli condomini (nulla, quindi impugnabile in ogni tempo da chi abbia interesse, la delibera assunta a maggioranza con la quale si stabilisca un criterio di ripartizione che non consideri il predetto principio). In tal caso, questo criterio prevale su quello di cui all'art..1123, comma 1, c.c. (l'esempio più classico è quello relativo alle scale e agli ascensori; chi si trova ai piani più alti, deve corrispondere un contributo superiore, per il maggior uso che fa del bene comune (scale o ascensore). La disposizione non fa riferimento all'uso effettivo della cosa, ma a quello potenziale. Quando la destinazione oggettiva del bene/impianto non sia funzionalizzata a fornire utilità a tutte le unità immobiliari, ma solo ad alcune di esse, sussiste ex lege il c.d. condominio parziale: fenomeno per cui il condominio pur manifestandosi nella sua completezza di effetti previsti dal codice, non va riferito a tutte le porzioni di piano facenti parte del fabbricato, ma solo ad una loro parte (v., ultime tra molte, Cass.civ., sez.II, 29 gennaio 2015, n. 1680; Cass.civ., sez.II, 30 luglio 2004, n.14558), venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass.civ., sez.II, 16 maggio 2019, n.13229; Cass.civ., sez. II, 24 ottobre 2010, n.23851). In questi casi, per la ripartizione, si impiega una tabella ad hoc, come la “tabella tetti e lastrici comuni”, in quanto si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura separata. Dal tenore testuale dell'art.1123, comma 2, c.c. che non distingue il condominio parziale dal condominio nel suo complesso, e quindi, non lo individua come un ente autonomo ma se ne occupa solo per individuare il criterio di ripartizione delle spese poste a carico del solo gruppo di condomini che ne trae utilità, emerge come la fattispecie in esame rappresenta solo una “proiezione amministrativa giuridico-gestionale”. La Suprema Corte (Cass.civ., sez.II, 20 aprile 2017, n. 9986) ha precisato come non siano invocabili le norme sul condominio parziale nel caso di proprietari di locali terranei, privi di ingresso nello stabile condominiale dall'androne o con altro accesso all'edificio, quali comproprietari, rispetto alle spese di manutenzione riguardanti scale, lastrici solari e tetto. Costoro, quali comproprietari ai sensi dell'art. 1117 c.c., dell'androne e del vano scale, debbono contribuire, sia pure in misura minore, in rapporto all'utilità che possono trarne in concreto, alle spese di manutenzione (e, eventualmente, di ricostruzione) di predette parti comuni. Così in Cass.civ., sez.II, 16 maggio 2019, n.13229, con riferimento alle “spese di risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare costituito da corpi di fabbrica separati da giunti tecnici, strutturalmente portanti l'intero complesso, siccome necessari per sostenere non solo l'edificio sovrastante, ma anche elementi comuni agli altri edifici (nella specie, un camminamento su un porticato esterno condominiale), trova applicazione il criterio generale di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., secondo il quale tutti i condomini sono tenuti al pagamento pro-quota, non rilevando la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte dell'edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione”. L'art.1138 c.c. non include tra le norme inderogabili quelle di cui agli artt.1123, 1124, 1125 e 1126 c.c. Pertanto, l'assemblea, in virtù della propria autonomia negoziale, può derogare ai predetti criteri di ripartizione delle spese - ad esempio prevedendo che contribuiscano tutti i condomini, in base ai millesimi, alla manutenzione del lastrico solare in deroga aquanto previsto dall'art. 1125 c.c. (Cass.civ., sez.VI, 14 settembre 2017, n. 4183) - con delibera assunta all'unanimità dei partecipanti alla comunione (Trib. Roma27 settembre 2018, n.18337; Cass.civ., sez. II, 10 gennaio 2019, n.470) o con regolamento condominiale contrattuale predisposto dall'originario unico proprietario o dal costruttore e richiamato nei singoli atti di acquisto (Trib. Roma 13 maggio 2019, n. 9960) che operi sia la modifica dei criteri legali di cui all'art.1123 c.c. sia la modifica di un precedente regolamento contrattuale (Cass.civ., sez.II, 19 marzo 2010, n. 6714; Cass. civ., sez.II, 4 agosto 2017, n. 19651; Trib. Latina 2 marzo 2018, n. 591), ovvero con regolamento di origine assembleare approvato da tutti i condòmini (viceversa è nulla per impossibilità dell'oggetto la delibera condominiale che, assunta in assenza di unanimità, modifichi gli esistenti criteri legali o convenzionali di riparto delle spese necessarie gravanti sul singolo per la prestazione dei servizi comuni, v. Cass. civ., sez.VI, 13 novembre 2018, n.29220). Legittimato all'impugnazione sarebbe anche il condomino che ha votato favorevolmente. In quanto nulla, la deliberazione non potrebbe essere sanata da una successiva (come si legge in Cass.civ., sez. VI, 13 novembre 2018, n.29220, secondo cui è “nulla per impossibilità dell'oggetto la delibera condominiale che, assunta in assenza di unanimità, modifichi gli esistenti criteri legali o convenzionali di riparto delle spese necessarie gravanti sul singolo per la prestazione dei servizi comuni”). Qualora, invece, senza modificare i criteri (legali o convenzionali) l'assemblea applichi criteri per la ripartizione della spesa diversi da quelli vigenti, la deliberazione sarebbe annullabile, quindi impugnabile entro il termine di 30 giorni previsti dall'art.1137 c.c. Di tale avviso anche il Tribunale di Roma 21 gennaio 2020, n. 12740, che ha dichiaratamente ritenuto di non dover dare seguito all'orientamento recente della Suprema Corte, che appare estendere le ipotesi di nullità a qualsivoglia caso in cui si ledono “i diritti dei partecipanti” interpretato nel senso che finanche l'errata attribuzione di una spesa è suscettibile di ledere detti diritti con conseguente notevole allargamento delle ipotesi di nullità. A detta conclusione, il magistrato è pervenuto sul presupposto che l'ampliamento indiscriminato delle ipotesi che possono dare luogo alla nullità delle delibere sarebbe idoneo a paralizzare il funzionamento dell'organizzazione condominiale (che il legislatore invece tutela come valore primario, in quanto, consentendo ai partecipanti di impugnare in ogni tempo e quindi, anche a distanza di anni, le delibere, rende incerti, in particolare con riguardo alle delibere di riparto, i rapporti di dare-avere fra i partecipanti e fra questi ultimi e l'ente di gestione. Pertanto, per la modifica dei criteri di ripartizione delle spese occorre la unanimità dei condomini. Come si legge in Cass.civ., sez.II, 23 marzo 2016, n.5814, deve ritenersi nulla e non meramente annullabile, anche se assunta all'unanimità (dei presenti), la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i condomini abbiano manifestato l'espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso, ciò in quanto le attribuzioni dell'assemblea condominiale, previste dall'art. 1135 c.c., sono circoscritte alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri legali di riparto delle spese. La predetta nullità può essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purché alleghi e dimostri di avervi interesse, giacché non opera nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere (v., ex plurimis, Cass.civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125). La fissazione di criteri di spesa diversi da quelli legali incide sul valore della proprietà esclusiva di ciascun condomino, e quindi necessita di una base convenzionale (v., ex plurimis, Cass.civ., sez.II, 23 dicembre 2011, n. 28679) che non può essere riconosciuta alle tabelle millesimali di natura "deliberativa" cioè approvate con deliberazione dell'assemblea condominiale - le quali, infatti, non necessitano del consenso unanime dei condomini per l'approvazione (Cass. civ., sez. un., 9 agosto 2010,n. 18477), né, evidentemente, l'unanimità dell'approvazione trasforma in negoziale ciò che non lo è. Sono invece annullabili le delibere che, volta per volta, applicano in concreto i criteri nulli e la relativa 'impugnazione va proposta nel termine di decadenza di 30 giorni previsto dall'articolo 1137 c.c. Sulla natura dei vizi delle delibere contenenti errori nella ripartizione delle spese condominiali (ovvero di approvazione di stati di riparto errati) va rilevato che la Suprema Corte - Cass.civ., sez. II, 1 ottobre 2019, n. 24476, ha rimesso una causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite al fine di dirimere il contrasto interpretativo esistente. Infatti, negli ultimi anni, si è riacuito un contrasto che nel 2005 sembrava essere stato tacitato dalle medesime Sezioni Unite proprio in materia di errori nella ripartizione delle spese condominiali (Cass. civ., sez. un. 7 marzo 2005, n.4806), prevedendo che: a) se la decisione dell'assemblea condominiale comportava una deroga ai criteri legali o convenzionali di riparto delle spese, allora tale decisione doveva considerarsi insanabilmente nulla, ove non approvata col consenso di tutti i condomini; b) se la decisione dell'assemblea condominiale riguardava l'applicazione concreta di un criterio errato, allora la deliberazione di approvazione del riparto della spesa doveva considerarsi annullabile, poiché frutto di un esercizio errato dei poteri deliberativi (ossia contrario all'art. 1135 c.c.) e come tale soggetta ai termini d'impugnazione di cui all'art. 1137 c.c. (trenta giorni). La soluzione partiva da un presupposto: sbagliare nell'applicare un criterio di ripartizione è cosa differente dallo scegliere volontariamente di derogare ad una disposizione di legge o pattizia. In particolare, un filone interpretativo più recente riteneva insanabilmente nulle le delibere assembleari di approvazioni di piani riparto di spese ovvero di criteri di ripartizione delle spese non conformi a quelli legali o regolamentari, senza fare differenza tra deroga ed errata applicazione. Per la Seconda Sezione, questa distinzione non avrebbe ragion d'essere e, inoltre, il distinguo tra delibere nulle e annullabili farebbe sì che una serie di approvazioni errate consecutive che, “pur disattendano in concreto, senza dichiarate finalità modificative, i criteri stabiliti dalla legge o dalla convenzione” possano “assurgere alla dignità di comportamento univocamente concludente, protrattosi nel tempo, dal quale si ricavi l'accettazione da parte di tutti i condomini di metodi convenzionali di distribuzione delle spese, come supponeva ammissibile un risalente orientamento giurisprudenziale” (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2004, n. 20318; Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2000, n. 13592; Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1998, n. 3251; Cass.civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4814; Cass.civ., sez. II, 16 luglio 1991, n. 7884). La convenzione di esclusione di un condomino dalla partecipazione alla spesa
La giurisprudenza (Trib. Roma 13 maggio 2019, n. 9960) ha precisato la liceità di una eventuale esclusione assoluta dalla spesa di un condomino, negando che una simile previsione contrattuale possa considerarsi avere natura vessatoria atteso “il suo inserimento all'interno di un regolamento condominiale di natura contrattuale, svincolato dai singoli atti di acquisto, producendo effetti solo in virtù dell'accordo intercorso tra i vari condòmini successivamente subentrati” sì da escludere “la ricorrenza dei presupposti anche a mente dell'art.1341 c.c. che qualificano il fenomeno della vessatorietà negoziale” (analogamente Trib. Roma 27 settembre 2018, n. 18337). Viceversa. in tema di imposizione di un obbligo contributivo per le spese va segnalata la pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ., sez.II, 12 maggio 2017, n.11970), che ha sancito la nullità della “clausola del regolamento che, in ipotesi di legittimo distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato - perché operato senza pregiudicarne il funzionamento - ponga, a carico del condomino distaccatosi, l'obbligo di contribuzione alle spese per il relativo uso in aggiunta a quelle, comunque dovute, per la sua conservazione, in quanto il regolamento costituisce un contratto atipico, meritevole di tutela solo in presenza di un interesse generale dell'ordinamento, mentre una clausola siffatta, oltre a vanificare il principale ed auspicato beneficio che il condomino mira a perseguire distaccandosi dall'impianto comune, si pone in contrasto con l'intento del legislatore di correlare il pagamento delle spese di riscaldamento all'effettivo consumo, come emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c. (nel testo successivo alla novella apportata dalla l. n. 220/2012), 26, comma 5, della l. n. 10/1991 e 9, comma 5, del d.lgs. n. 102/2014)”. Nel caso in cui la clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l'esenzione totale dall'onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato (per esempio, l'ascensore: v. Cass.civ., sez.II, 14 luglio 2015, n. 14697; Cass.civ., sez.II, 25 marzo 2004, n. 5975). In conclusione
L'art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti pertanto, come precisato anche dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez.II, 18 marzo 2002 n. 3944) la clausola del regolamento, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, è pienamente valida posto che il diverso e legale criterio di ripartizione di quelle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino è liberamente derogabile. Una tale deroga non può avere, infatti, alcuna effettiva incidenza sulla disposizione non derogabile dell'art. 1136 c.c. ovvero su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., che, seppure con riguardo alla stessa materia condominiale, disciplinano i diversi temi della costituzione dell'assemblea, della validità delle delibere e delle tabelle millesimali. Tuttavia, ove manchi una diversa convenzione adottata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell'art. 1123, comma 1, c.c., non essendo, consentito all'assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio “capitario” (cioè in parti uguali) gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune.
Riferimenti
Celeste - Scarpa, Il regolamento, le tabelle e le spese, Milano, 2014, 271; Cassano - Serra, Manuale del nuovo condominio, Profili operativi, sostanziali e processuali, DIKE giuridica, 2018, 97; Triola, Il nuovo condominio, Torino, 2017, 745 |