Questo l'oggetto dell'ordinanza della Suprema Corte n. 368/21, depositata il 13 gennaio.
Gli attuali ricorrenti convenivano in giudizio una società, chiedendo la cancellazione dei loro dati personali dal sistema di informazione creditizio e da ogni banca dati loro disponibile. Chiedevano, inoltre, il risarcimento dei danni non patrimoniali per via del trattamento illegittimo dei loro dati, con riferimento alle domande giudiziali e alle loro trascrizioni.
Il Tribunale rigettava le suddette domande; dunque, gli attori propongono ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, la violazione degli artt. 7 e 11, lett. d), d.lgs. n. 196/2003, in quanto le trascrizioni si riferivano a domande revocatorie riguardanti debiti di un soggetto terzo, conseguendone che tali esposizioni debitorie non erano nei loro confronti pertinenti e, comunque, erano eccedenti rispetto alla finalità perseguita, cioè quella di fornire informazioni circa l'affidabilità e la puntualità nei pagamenti.
La Corte di Cassazione dichiara il motivo di ricorso fondato, evidenziando che in materia di trattamento dei dati personali, il d.lgs. n. 196/2003 tutela anche i dati personali già pubblici o pubblicati, in quanto il soggetto chiamato al trattamento può ricavarne ulteriori informazioni e, dunque, un valore aggiunto informativo che non potrebbe essere estratto dai dati singolarmente considerati.
Tale operazione, prosegue la Corte, rischia di ledere la dignità dell'interessato, che riveste il valore massimo a cui si ispira la legislazione in materia di trattamento dei dati personali, oltre ad essere considerata, tra i valori costituzionalmente protetti, di natura preminente rispetto all'iniziativa economica privata.
Ciò posto, i Giudici rilevano che l'art. 11 del decreto citato prescrive che i dati personali vengano trattati «in modo lecito e secondo correttezza, essere pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati».
Nel caso di specie, la decisione oggetto di impugnazione si è limitata a rilevare che la società aveva inserito nel proprio archivio dati conformi e in linea con quelli che risultavano dai pubblici registri, omettendo l'indagine relativa alle finalità del trattamento. Invece, osserva il Collegio, il Giudice avrebbe dovuto accertare se l'informazione riguardante i ricorrenti fosse stata trattata in modo non pertinente e in modo eccedente rispetto alla finalità perseguita dalla società; non essendo ciò avvenuto, la Corte di Cassazione accoglie il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso, rinviando gli atti al Tribunale.
*FONTE: dirittoegiustizia.it