Sì alla costituzione di parte civile di risparmiatori e investitori per i reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza e falso in prospetto

Ciro Santoriello
19 Gennaio 2021

Va riconosciuta la legittimazione attiva a costituirsi parte civile in relazione al reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, ex art. 2638 c.c., anche a soggetti diversi rispetto a Banca d'Italia e Consob ed in particolare ai soggetti danneggiati nei loro interessi patrimoniali, come i risparmiatori e gli investitori.
Massima

Va riconosciuta la legittimazione attiva a costituirsi parte civile in relazione al reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, ex art. 2638 c.c., anche a soggetti diversi rispetto a Banca d'Italia e Consob ed in particolare ai soggetti danneggiati nei loro interessi patrimoniali, come i risparmiatori e gli investitori.

Il caso

Nell'ambito di un processo di rilevante importanza nei confronti dei vertici di un istituto bancario i quali avevano nascosto le condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali dello stesso a mezzo tanto di condotte di falso in bilancio che per il tramite dei comportamenti indicati nell'art. 2638 c.c., che disciplina il reato di ostacolo alle attività di vigilanza, alcuni privati chiedevano di costituirsi parte civile in relazione a quest'ultimo delitto, evidenziando la loro posizione di investitori nell'istituto di credito o comunque di soggetti che erano creditori nei confronti dello stesso.

Le questioni giuridiche

Il reato di ostacolo di esercizio alle funzioni pubbliche dell'attività di vigilanza, previsto, come è detto, dall'art. 2638 c.c. il quale prevede che “ 1. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
2. Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni. 3. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 3-bis Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza” (sul tema, senza pretesa di completezza, NAPOLEONI, Le disposizioni penali in materia di società e di consorzi, in BONFANTE-CORAPI-DE ANGELIS-SALAFIA (a cura di), Codice commentato delle società, Milano, 2011, 2672; NISCO, L'ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza: spunti problematici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2013, 249; PALLADINO, Art. 2638, in GIUNTA (a cura di), I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, Torino, 2002, 206 ss.; ROSSI, Illeciti penali e amministrativi in materia societaria, in GROSSO -PAGLIARO - PADOVANI (a cura di), Trattato di diritto penale, Milano, 2012, pp. 231 ss.; ID., Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, in ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano, 2013, 366).

La norma è diretta alla tutela delle funzioni di controllo attribuite a diverse autorità pubbliche, anche se non manca chi sostiene che la norma garantisce la protezione degli interessi patrimoniali facenti capo agli investitori (in senso critico, verso la scelta di tutelare penalmente le competenze di un organo amministrativo, quali per l'appunto le diverse autorità pubbliche di vigilanza, ALESSANDRI, Ostacolo all'esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. ALESSANDRI, Milano 2002, 254).

​Entrambe le ipotesi delittuose configurate dal nuovo art. 2638 c.c. hanno natura di reati propri, potendo essere realizzate solo dagli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, liquidatori di società ed enti nonché dagli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza e da quelli tenuti ad obblighi nei loro confronti – ovviamente, stante la previsione di cui all'art. 2639, comma 1, c.c., ai soggetti specificatamente indicati dall'art. 2638 c.c. vanno aggiunti quanti di fatto esercitano le relative funzioni di amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori pur senza essere in possesso della relativa qualifica.

​Quanto all'ambito di applicazione della disposizione, lo stesso si presenta particolarmente esteso. Infatti, la previsione in commento sarà sicuramente applicabile quando le condotte considerate siano tenute da soggetti posti in posizione apicale nell'ambito di società o enti svolgenti attività creditizia – come in precedenza disposto dalla abrogata disposizione di cui all'art. art. 134 d.lgs. n. 385 del 1993 -, nonché nell'ambito di persone giuridiche ammesse alla quotazione nel mercato mobiliare – cui si riferivano gli abrogati artt. 171 e 174 d.lgs. n. 58 del 1998 (la norma sembra applicabile anche in relazione a poteri di controllo attribuiti alle persone fisiche – si pensi, ad esempio, ai promotori finanziari. In senso critico verso questa previsione, ALESSANDRI, Ostacolo all'esercizio cit., p. 258). Accanto a tali soggetti, però, la disposizione è destinata a trovare applicazione anche nei confronti di quanti siano “sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti”: quest'ultima categoria di soggetti è decisamente eterogenea, e saranno solo le singole specifiche previsioni normative ad individuare i relativi destinatari dell'obbligo di comunicazione alle autorità di vigilanza (la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la norma tutela qualsiasi autorità di vigilanza: Cass., sez. V, 31 ottobre 2014, in Mass. Uff., n. 262629, in relazione alla Federazione Italiana Gioco Calcio. In senso contrario, Cass., sez. V, 11 febbraio 2013, n. 28070, in Mass. Uff., n. 255565, con riferimento all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas. In dottrina, FUX, Ostacolo all'esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza: nel pantheon delle autorità entra anche la F.I.G.C., in Cass. Pen., 2015, 3740).

Con riferimento al tema della legittimazione alla costituzione di parte civile da parte di soggetti diversi dalle suddette autorità di vigilanza ed in particolare in capo a quanti risultino semplicemente danneggiati, sotto il profilo economico, dalle condotte vietate, la questione è assai controversa.

Sino ad oggi sul tema si sono pronunciati in senso negativo i giudici di merito (cfr. G.i.p., Tribunale di Milano, ordinanza 11.6.2010, in Foro ambr., 2010, p. 322; Tribunale di Siena, ordinanza 26.9.2013; Tribunale di Milano, seconda sezione penale, ordinanza 6 aprile 2017. In dottrina, nello stesso senso BONCOMPAGNI, Legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale per i reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza delle autorità pubbliche, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 10; TABASSO, La costituzione delle parti civili nei processi delle popolari venete. Tra approdi già noti e soluzioni ermeneutiche innovative, iv, 2018, 4), mentre maggiore apertura è data riscontrarsi in dottrina (GARBAGNATI, L'azione civile nel giudizio penale de societate, in CANZIO-CERQUA-LUPARIA (a cura di), Diritto penale delle società, Padova 2016, 1158).

La tesi negativa si basa innanzitutto sulla circostanza che il bene giuridico tutelato dalla norma è rappresentato dal regolare svolgimento delle funzioni di vigilanza, un bene istituzionale che, dunque, non può far capo a soggetti privati. In secondo luogo, si sottolinea come nel nostro ordinamento siano comunque presenti fattispecie di reato – diverse dal citato art. 2638 c.c. - che tutelano direttamente il patrimonio di coloro che mediante depositi o investimenti gravitano intorno alla società per cui il legislatore ha predisposto delle specifiche norme, poste proprio a tutela del patrimonio degli investitori, dalle quali è legittimo configurare, quale conseguenza naturale, un danno agli stessi. Di contro, la tutela apprestata dall'art. 2638 c.c. è invece una tutela anticipata rispetto alle posizioni degli investitori, per cui quando dai comportamenti descritti dall'art. 2638 c.c. derivi un danno al patrimonio sociale le conseguenze negative subite dagli investitori sarebbero una conseguenza soltanto riflessa dei comportamenti vietati, non azionabile in sede penale mediante la costituzione di parte civile.

Solo di recente possono riscontrarsi dei cambiamenti in questo orientamento, da parte della giurisprudenza di merito. In particolare, in due procedimenti che si innestavano nell'ambito del medesimo filone delle cd. Banche venete, in cui le condotte incriminate erano state tenute da soggetti ai veristici di tali istituti di credito, i giudici di merito hanno riconosciuto la legittimazione alla costituzione di parte civile tanto dei risparmiatori che degli investitori (G.i.p, Tribunale di Vicenza, ordinanza 3 febbraio 2018; G.i.p., Tribunale di Roma, ordinanza 16 gennaio 2018). In queste decisioni, l'argomentazione, in sintesi, si incentra sulla circostanza che il giudice nella fase del controllo della regolare costituzione delle parti, con riferimento alla posizione delle parti civile, deve limitare la sua valutazione ad un piano astratto, indipendentemente da ogni specifico sindacato sulla fondatezza di tale pretesa; di conseguenza, attestandosi al fumus della pretesa, così come prospettata dalla costituenda parte civile, può riconoscersi l'astratta possibilità che dalla condotta che abbia ostacolato l'Autorità pubblica di Vigilanza possa essere derivato un pregiudizio anche per la posizione dei privati investitori, poiché avrebbero confidato nella correttezza dell'attività dell'autorità controllante.Sarà poi compito probatorio degli attori civili provare positivamente il danno lamentato “da una condotta che, a differenza del delitto di aggiotaggio, non è immediatamente percepibile da parte del potenziale investitore”.

Le soluzioni

In qualche modo alla impostazione riassunta da ultimo si rifà anche la decisione in commento.

Dopo aver sostenuto che sulla richiesta di costituzione di parte civile il giudice deve limitarsi ad un vaglio di ammissibilità della cosiddetta legittimatio ad causam, il quale si esaurisce nella verifica dell'identità fra chi chiede la tutela giudiziaria e colui che, sulla base della stessa prospettazione dell'attore, sarebbe il soggetto legittimato a riceverla in relazione alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, senza alcuna valutazione in ordine alla fondatezza della pretesa, il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Treviso evidenzia come la circostanza che il bene giuridico leso dal reato di cui all'art. 2636 c.c. non faccia capo ai soggetti privati che pretendono di costituirsi parte civile non sia di ostacolo all'ammissione di tale azione nel processo penale e ciò in quanto la non coincidenza fra persona offesa e danneggiato del reato non è in alcun modo ostativa al riconoscimento anche in capo a quest'ultimo di un diritto al risarcimento, purché venga accertata la produzione e la sfera giuridica degli stessi di un danno ascrivibile alla condotta incriminata.

Posto ciò, comprendendo la responsabilità per il danno derivante da reato anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell'illecito, questa circostanza appare nel caso di specie ravvisabile, “concernendo l'ipotesi accusatoria plurime condotte illecite che, nel loro complesso, avrebbero avuto come conseguenza quella di diffondere all'esterno l'apparenza di una solidità patrimoniale dell'Istituto diversa rispetto a quella effettiva, idonea così a trarre in inganno i risparmiatori e gli investitori, in particolare comunicando alle Autorità di controllo un ammontare del patrimonio di vigilanza difforme dal vero, ledendo così la fiducia dei risparmiatori e la loro libertà negoziale, nonché conseguendo fraudolentemente l'autorizzazione all'operazione straordinaria dì aumento del capitale sociale, sottacendo alle Autorità dì vigilanza il parallelo ricorso a finanziamenti ai soci mediante collocamento di azioni di nuova emissione presso clienti di fatto finanziati dalla Banca stessa”.

Analoghe considerazioni sono svolte per ammettere la costituzione di parte civile di soggetti privati anche con riferimento al delitto di falso in prospetto. Secondo il giudice trevigiano, questo reato è una fattispecie a consumazione istantanea produttiva di effetti idonei a protrarsi nel tempo, in quanto la diffusione a un pubblico indeterminato di notizie non veritiere relative al collocamento di prodotti finanziari determina effetti distorsivi della realtà che non si esauriscono con la pubblicazione del prospetto informativo, bensì mantengono la loro efficacia decettiva per un lasso temporale variabile a seconda delle particolari, e non determinabili a priori circostanze del caso concreto. Di conseguenza, possono lamentare l'esistenza di un danno diretto derivante dalla falsità in parola tanto coloro che abbiano aderito ad un aumento di capitale sulla base di tale documento al momento dell'esternazione di tale comunicazione, quanto coloro, pur non avendo aderito all'aumento di capitale in occasione del quale veniva redatto il prospetto falso, abbiano in seguito acquistato azioni basando le proprie valutazioni dì convenienza dell'operazione sul prospetto informativo medesimo.

Conclusioni

La sentenza in commento, a ben vedere, sembra consolidare un nuovo orientamento giurisprudenziale che, allorquando si tratta di decidere dell'ammissibilità della costituzione di parte civile, ritiene irrilevante la mancata coincidenza tra persona offesa e soggetti danneggiati dal reato, posto che l'azione risarcitoria può essere esercitata nel processo penale anche da soggetti che non risultino titolari del bene giuridico tutelata dalla fattispecie criminosa, purché venga accertata la produzione nella sfera giuridica degli stessi di un danno ascrivibile, secondo le regole della causalità umana, alla condotta del soggetto attivo del reato. Sulla base di questa premessa, diviene irrilevante la circostanza che il bene giuridico tutelato dal delitto di cui all'art 2638 c.c. sia rappresentato da uno specifico interesse pubblico in quanto ciò non esclude che anche interessi privati possano essere lesi o compressi dalla violazione della norma incriminatrice, giustificando, di conseguenza, la costituzione di parte civile nel processo penale di chi di tali interessi è portatore.

Secondo la decisione in parola, che riprende in proposito considerazioni formulate dai G.i.p, Tribunale di Vicenza (ordinanza 3 febbraio 2018) e G.i.p., Tribunale di Roma (ordinanza 16 gennaio 2018), le condotte illecite che hanno dato luogo al reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, avrebbero diffuso l'apparenza di una solidità patrimoniale dell'istituto di credito diversa rispetto a quella effettiva “idonea a trarre in inganno i risparmiatori e gli investitori, in particolare comunicando alle Autorità di controllo un ammontare del Patrimonio di Vigilanza difforme dal vero, ledendo così la fiducia dei risparmiatori e la loro libertà negoziale”.

L'impostazione adottata da questa giurisprudenza di merito ci pare inattaccabile. In più di un'occasione ci siamo espressi in senso critico verso la partecipazione della parte civile nel processo penale, sollecitando una modifica della relativa disciplina che limiti a casi eccezionali la possibilità di consentire a tali soggetti la partecipazione al processo penale (GAITO – SANTORIELLO, Ma davvero il processo penale è il luogo adatto al soddisfacimento delle istanze civilistiche, in Arch. Pen., 2013, 391), ma è certo che sulla base della attuale normativa ogni riferimento, per decidere dell'ammissione della costituzione di parte civile, alla titolarità del bene giuridico considerato dalla fattispecie criminosa per cui si procede è decisamente incongruo. Una tale impostazione, infatti, poteva essere apprezzata prima del 1988, allorquando il danno prodotto da reato veniva considerato quale elemento dell'illecito criminoso, per cui l'azione civile tendente all'accertamento della lesione subita dalla parte lesa non poteva essere configurata come istituto autonomo, ma veniva considerata quale aspetto secondario dell'esercizio dell'azione penale; il danneggiato, all'interno di questo quadro concettuale, agiva non al fine di ottenere un risarcimento, ma recava un contributo all'accertamento dei fatti ad opera della pubblica accusa, onde meglio dimostrare la responsabilità dell'imputato.

Con l'entrata in vigore del nuovo codice, questa impostazione è divenuta insostenibile, avendo il legislatore riconosciuto l'autonoma natura giuridica dell'azione civile nel processo penale, quale azione di responsabilità da illecito. Di conseguenza, l'esercizio dell'azione civile nel processo penale presenta i medesimi caratteri e finalità che sono rinvenibili quando la domanda di risarcimento sia avanzata in sede civile: in entrambi i casi, infatti, la parte lesa legittimamente agisce al solo fine di ottenere la giusta riparazione del torto subito, come conferma la giurisprudenza secondo cui “la legittimazione all'azione civile nel processo penale va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell'azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è collegato all'adempimento dell'onere deduttivo e probatorio incombente sull'attore” (Cass., sez. II, 14 febbraio 2016, n. 14768).