Appunti sulla legittimazione attiva nell'azione ex art. 2497, comma 4, c.c.

Raffaele Agostinelli
19 Gennaio 2021

In tema di gruppi di imprese la disciplina contenuta nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (inde, “Codice” o “CCII”) costituisce una delle parti maggiormente innovative rispetto all'attuale Legge fallimentare. Se significative novità sono state introdotte in tema di azioni di responsabilità per le società monadi, anche se variamente dislocate nel Codice, non si riscontrano (pare) altrettante novità in tema di azioni di responsabilità da direzione e coordinamento di società ex art. 2497 c.c. e, in specie, in tema di legittimazione attiva all'esercizio dell'azione de qua.
Premessa

In tema di gruppi di imprese la disciplina contenuta nel Titolo VI del D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, recante il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (“Codice” o “CCII”) costituisce una delle parti maggiormente innovative rispetto all'attuale Legge Fallimentare.

Se significative novità sono state introdotte in tema di azioni di responsabilità per le società monadi, anche se variamente dislocate nel Codice, non si riscontrano (pare) altrettante novità in tema di azioni di responsabilità da direzione e coordinamento di società ex art. 2497 c.c. e, in specie, in tema di legittimazione attiva all'esercizio dell'azione de qua.

Le esigenze di economia di trattazione non consentono di addentrarsi nell'analisi di tutti i profili dell'art. 2497 c.c. che vengono affrontati nell'esercizio di un'azione di responsabilità da parte del curatore. Ragion per cui ci si propone di spendere qualche riflessione sui soli profili di legittimazione attiva ad azionare la responsabilità per eterodirezione abusiva e, in particolare, sul come questi si declinino qualora la società eterodiretta abusata sia stata dichiarata insolvente, che «pare essere il [ndr. tema] più complesso posto dall'art. 2497 c.c.».

Sotto questa lente, si tenterà di prendere posizione sia (i) sulla (esclusione della) legittimazione dell'organo della procedura concorsuale (curatore, commissario liquidatore, commissario giudiziale), ad esercitare l'azione per eterodirezione abusiva in sostituzione del socio esterno, sia (ii) sul tema del rapporto tra l'esercizio dell'azione da parte della società eterodiretta e l'azione esperita dal socio di minoranza.

La trattazione dell'argomento presuppone un richiamo ai principi che connotano il quadro normativo di riferimento, ben noti agli operatori di settore. Circostanza che consente di procedere per rapidi cenni, funzionali a descrivere la cornice entro la quale si sviluppa la presente analisi.

L'iniziativa risarcitoria prevista dall'art. 2497 c.c. prevede che la società che esercita una attività di direzione e coordinamento abusiva e, quindi, in violazione dei principi di corretta gestione societaria o imprenditoriale della società controllata, risponde direttamente dei pregiudizi arrecati ai soci ed ai creditori di queste ultime. Il danno patito dal socio è individuato dal legislatore nella minore redditività o minor valore della partecipazione, mentre il danno dei creditori si identifica nella lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale della società eterodiretta. La norma precisa che, nel caso di fallimento (ora liquidazione giudiziale) della società eterodiretta, l'azione spettante ai creditori sociali è esercitata dal curatore.

L'art. 291 del Codice licenziato il 14 gennaio 2019 attribuisce al liquidatore giudiziale, nel caso di apertura tanto di una procedura unitaria quanto di una pluralità di procedure, la legittimazione ad agire in responsabilità ex art. 2497 c.c..

Poiché la disposizione pare essere meramente ripetitiva di quella già enunciata nel comma quarto dell'art. 2497 c.c., assume quindi, in questa sede, particolare rilievo la disposizione contenuta nel codice civile che disciplina, prima facie, con chiarezza le azioni rispetto alle quali sussiste la legittimazione attiva del curatore.

L'azione del socio esterno e la esclusione della legittimazione sostitutiva del curatore

L'art. 2497, quarto comma, c.c., disciplina il profilo della legittimazione a promuovere le azioni di responsabilità da direzione e coordinamento nel caso di fallimento della società eterodiretta, attribuendo la legittimazione all'esercizio dell'azione spettante ai creditori della eterodiretta fallita al curatore, senza nulla dire circa l'azione riconosciuta ai singoli soci (di minoranza della eterodiretta) che, conseguentemente, ad una prima valutazione, sembrerebbero mantenere la loro titolarità.

L'art. 2497 c.c., dunque, è espressione del principio per il quale «la legittimazione sostitutiva del curatore può riguardare soltanto le azioni esercitabili a vantaggio immediato e diretto del patrimonio oggetto dell'esecuzione concorsuale» e, pertanto, della sola azione attribuita ai creditori.

Cercando di sintetizzare – quindi con inevitabili imprecisioni – si può dire che, poiché tale risarcimento, riconosciuto ai soci “esterni”, è destinato alla reintegrazione del loro patrimonio (quindi, accostabile sotto questo profilo all'azione ex art. 2395 c.c., per la quale si ritiene che il curatore non subentri nella legittimazione per effetto dell'accertata insolvenza), il curatore non potrà agire in sostituzione dei soci nell'ipotesi in cui la società eterodiretta sia stata dichiarata insolvente.

Da altro punto di vista. Il pregiudizio per il socio esterno, consistente nella lesione della partecipazione o nella minore redditività della stessa, costituisce un riflesso, rectius, una porzione del danno cagionato innanzitutto al patrimonio della società eterodiretta. E poiché il danno subito dal socio, derivante dal danno cagionato al patrimonio sociale della società dominata dagli stessi soci della partecipata, è un danno “ulteriore” rispetto al danno arrecato al patrimonio della società (destinato a soddisfare secondo le regole della par condicio prima i creditori della società eterodiretta), si ritiene che il curatore non sia legittimato ad esercitare in via sostitutiva l'azione de qua.

In giurisprudenza si rinvia a Trib. Milano 27 febbraio 2019, che assume particolare rilievo anche per la posizione assunta su altri profili.

*In evidenza: Tribunale di Milano sentenza n. 1958/2019 del 27 febbraio 2019

La vicenda può riassumersi nei seguenti termini. Il socio di minoranza di una società eterodiretta ricorre al Tribunale ai sensi dell'art. 2497 c.c., denunciando – in thesi – l'esercizio abusivo di attività di direzione e coordinamento da parte della capogruppo nei confronti della società controllata.

I fatti allegati si riferiscono ad un contratto di servizi e consulenze stipulato dalla eterodiretta a condizioni asseritamente ritenute eccessivamente onerose e inique per la controllata stessa; operazioni che – sempre nella prospettazione del ricorrente – avrebbero avuto finalità extrasociali, a vantaggio del socio di maggioranza, holding, e che avrebbero condotto la eterodiretta alla sistematica decisione di non distribuire utili ai soci.

Il Tribunale, prima di procedere al vaglio dei fatti allegati dal ricorrente, prospetta e spiega la premessa “maggiore”, in punto di legittimazione attiva ad esercitare l'azione, anzi, le azioni ex art. 2497 cod.civ., articolando l'ambito della cognizione sostanzialmente in tre punti, che di fatto costituiscono lo spunto della presente analisi. Quindi, nella specie, poiché il merito delle censure investono alcune operazioni consumate all'interno del gruppo, il Tribunale tratta della responsabilità degli organi di direzione e controllo chiamati a rispondere ai sensi dell'art. 2497, secondo comma, c.c., e, per l'effetto, «come necessario passaggio logico giuridico per decidere le domande di condanna degli amministratori ex art. 2497, co. 2 c.c.», esamina la condotta illecita, sanzionata dal primo comma dello stesso articolo, posta in essere dalla società madre.

Così, il Tribunale prende posizione, sia (i) sulla questione – peraltro preliminare – della devoluzione della controversia al giudice fallimentare in seno alla verifica dei crediti; sia (ii) sulla legittimazione dell'organo della procedura concorsuale ad esercitare l'azione ex art. 2497 c.c. in sostituzione del socio esterno; sia (iii) sul tema, controverso, della legittimazione all'azione della società eterodiretta.

Se i punti sub ii) e sub iii), come detto, costituiscono l'incipit per il tentativo di analisi de qua, quanto al discorso sopra ricordato sub i) la sentenza, per vero, non pare discostarsi dai risultati, apparentemente unanimi, raggiunti da dottrina e giurisprudenza.

L'art. 18 del D.Lgs. n. 270/1999, recante la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, richiama, tra gli altri, gli effetti previsti dell'art. 52 L.F., a mente del quale il diritto di ciascun creditore a concorrere sul patrimonio del fallito si accerta necessariamente mediante il procedimento di verifica dei crediti previsto dagli artt. 93 e ss. L.F.. Principio confermato dal successivo art. 53 del D.Lgs. n.270/1999. E come afferma il Tribunale milanese, la regola così delineata «[..] investe anche gli antecedenti logici necessari per decidere sulla domanda di ammissione allo stato passivo della procedura».

Appare così essere sufficiente richiamare per stralci il provvedimento in esame, per il quale: «La decisione sulla responsabilità in un giudizio diverso da quello ex art. 93 L.F. si risolverebbe in una decisione interferente sulla cognizione del Gd e, quindi sulla procedura concorsuale». Pertanto «[…] la domanda va proposta davanti al GD nell'ambito della procedura ex art. 93 e segg. l.f. alla quale partecipano i creditori».

Quanto al secondo aspetto sub ii), che qui più interessa, il Giudice milanese non si discosta dalle sopraesposte argomentazioni per legittimare l'organo concorsuale ad esercitare la sola azione dei creditori della società eterodiretta. Difatti, nell'analisi del provvedimento, traspare in maniera piuttosto netta il sillogismo che ha indotto il Tribunale a rigettare l'eccezione sollevata dalla holding di estinzione dell'azione di responsabilità esercitata dal socio, per la quale la legittimazione ad agire per le azioni (per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società e per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione) ex art. 2497 c.c. sarebbero spettate al curatore, nella fattispecie, commissario straordinario.

Esso è così riassumibile: (i) il dato letterale dell'art. 2497, comma quarto, c.c., come detto, non è superabile alla luce dei criteri interpretativi di cui all'art. 12 preleggi c.c., anzi, l'omissione «manifesta […] una precisa scelta del legislatore […]»; (ii) la differenza ontologica della posizione dei soci (quali residual claimants) e dei creditori ed il rispetto della par condicio creditorum e, così, la necessità che la reintegrazione del patrimonio sia finalizzato, in primis, al soddisfacimento dei creditori in concorso tra loro, ha portato il Tribunale a non estendere la legittimazione dell'organo della procedura, prevista dal quarto comma, all'azione dei soci “esterni” per la lesione alla redditività e al valore della partecipazione.

Da qui la ritenuta sussistenza della concorrente legittimazione ad agire del socio “esterno”.

Ma la portata dell'affermazione va opportunamente calibrata e coordinata con l'azione dell'organo concorsuale.

La concorrente legittimazione del curatore e la (mancata) soluzione del quesito

L'affermazione del mancato trasferimento in capo all'organo della procedura concorsuale dell'azione del socio esterno lascia sussistere il quesito della sopravvivenza, o meno, dell'azione individuale del socio della società soggetta all'altrui direzione e coordinamento.

Un primo filone interpretativo ritiene che l'esperimento dell'azione del socio “esterno” rimanga precluso finché dura la procedura concorsuale. E ciò, non solo in quanto la norma non disciplina tale previsione, ma anche, in breve, in considerazione della “destinazione” del risarcimento del danno.

Poiché il danno subito dai soci “esterni” pare essere un danno che si riverbera sul patrimonio del socio per il tramite del danno provocato al patrimonio della società dominata, valorizzando la seconda parte di questa espressione, ne discende la determinazione “diretta” del risarcimento al socio in ipotesi di società “in bonis”, e la sua preclusione/sospensione/estinzione in ipotesi di società fallita.

In questa prospettiva la soluzione risulta confermata da un confronto con la previsione dell'art. 2395 c.c., dove, differentemente dall'azione ex art. 2497 c.c., il risarcimento del danno riconosciuto a seguito dell'azione ex art. 2395 c.c. riguarda esclusivamente la lesione di un diritto del socio (o del terzo) che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società. Da qui, la diversa sorte delle due azioni in caso di insolvenza della società, ossia rispettivamente la sopravvivenza della prima, prevista all'art. 2395 c.c., senza alcuna legittimazione sostitutiva del curatore, e la preclusione della seconda, prevista all'art. 2497 c.c..

Ma, poiché, in linea di principio, la generalità delle decisioni prese dagli amministratori può influire sulla redditività e il valore della partecipazione dei soci, «se il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale viene classificato quale danno diretto e non “sociale” […] la categoria del danno risarcibile ai sensi dell'art. 2395 c.c. a questo punto rischia di esplodere». Ovvero, per tale via, l'effetto sarebbe quello di mettere in discussione la consolidata distinzione tra danno “sociale” e danno diretto al patrimonio del singolo socio.

La tesi opposta, peraltro condivisa dal Tribunale milanese nella predetta sentenza, ritiene che l'azione del socio, poiché autonoma rispetto a quella del curatore, sarebbe comunque esperibile anche dopo l'assoggettamento della società a procedura concorsuale. Non solo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, ma pare che la responsabilità della capogruppo ricalchi lo schema dell'illecito plurioffensivo: da un lato (a), vi è l'illecito nei confronti dei creditori, per la lesione dell'integrità del patrimonio sociale e, dall'altro (b), vi è l'illecito nei confronti dei soci per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale.

Ciò pone evidentemente un problema di coordinamento tra il danno risarcibile in favore della curatela ed il danno risarcibile in favore dei soci e, conseguentemente, un problema di duplicazione delle poste di danno, con conseguente illegittima locupletazione a favore del soggetto danneggiato.

Probabilmente non resta che prendere atto della aporia e rilevare che «in qualunque modo il problema venga risolto, vi è il rischio di inconvenienti non lievi»?

Nel dibattito dottrinale si inserisce un'ulteriore posizione, che mantiene la legittimazione del socio in caso di fallimento della società eterodiretta, senza sovvertire il predetto principio della responsabilità civile e rispettando i principi che disciplinano la distribuzione del patrimonio della società eterodiretta fallita e, dunque, la esigenza primaria di ricostruire il patrimonio sociale alla primaria soddisfazione dei creditori e, in subordine, ai soci, cd. residual claimants.

L'Autore ritiene che l'azione del socio possa essere scomposta in due possibili azioni: una parte, sussumibile nella azione esercitata dal curatore a ristoro del danno subito dai creditori, per la quota di danno che discende dalla lesione del patrimonio sociale; un'altra, ex art. 2497 c.c., ma assimilabile all'azione ex art. 2395 c.c., che incide direttamente sul patrimonio del socio senza trasmigrare dal patrimonio sociale.

In breve, al socio spetterebbe un risarcimento del danno “al netto” di quanto serve alla società per pagare i creditori sociali.

In altre parole, «la capogruppo, a ben vedere, può si essere chiamata ad un duplice risarcimento, ma non delle stesso danno, bensì di due danni diversi: al curatore della eterodiretta spetta il risarcimento del danno subito dai creditori sociali, che trova un limite nella parte di patrimonio sociale necessaria per soddisfare integralmente i creditori; al socio spetta pro quota il risarcimento del solo danno ulteriore subito dal patrimonio sociale e che colpisce la parte di esso che, una volta soddisfatti i creditori, spetta ai soci».

Ma anche in questa prospettiva, per chi scrive, occorre una precisazione.

Per valutare il danno “diretto” subito dal socio per effetto dell'abusiva condotta della capogruppo, occorrerà «ovviamente tenersi conto dei debiti della società». Sicché per valutare il quantum debeatur, al socio, quale residual claimant, occorrerà individuare, nei limiti del pregiudizio direttamente arrecato dalla condotta della capogruppo al patrimonio sociale, quanto necessario per l'integrale pagamento dei creditori sociali.

Ne parrebbe conseguire, non solo una difficoltà di un onere di allegazione ex se del socio, ma anche dell'onere in capo al socio attore di discernere il danno sociale dal danno alla redditività e valore della partecipazione, al netto di quanto serve alla società per soddisfare i creditori sociali, beninteso, nei limiti in cui il passivo concorsuale è imputabile alla capogruppo.

In questa prospettiva, il problema del rischio di duplicazione del risarcimento a carico della capogruppo si “trasforma” in un problema di allegazione a carico del socio, che appare di non facile soluzione, anche senza contare che le iniziative possono essere potenzialmente numerose, quanti sono i soci “esterni” al controllo della holding.

Potrebbe anche accadere che la holding eccepisca che non tutto il passivo fallimentare della società eterodiretta è una diretta e immediata conseguenza dell'attività di direzione e coordinamento della società madre. Con ciò, è (probabilmente) possibile immaginare una quota di danno che spetta ai soci “esterni” anche qualora non siano stati soddisfatti in toto i creditori concorrenti della società eterodiretta.

Probabilmente (e salvo un supplemento di riflessione) la sovrapposizione dei danni ed il coordinamento delle azioni possono essere utilmente raggiunti trasmigrando e riunendo in capo all'organo della procedura concorsuale l'esercizio dell'azione del socio “esterno” e l'azione dei creditori (ponendosi quindi, per tale via, nella prospettiva di una azione della società eterodiretta).

Come ancorare questa soluzione? Operando un corretto discernimento alla deroga, contenuta nell'art. 2497 c.c., al principio di inammissibilità del risarcimento del “danno riflesso” in favore del socio, individuato nell'interesse sotteso alla norma in esame.

L'art. 2497 cod. civ., inteso come norma “di valutazione” e quindi come giudizio della liceità di una condotta, qualifica nel primo comma in termini di disvalore, non l'esercizio abusivo – latu sensu – dell'attività di direzione e coordinamento tout court, bensì solo quella frazione di attività di eterodirezione che incide sul patrimonio del socio “esterno” al controllo e che non beneficia della politica di gruppo. In altri termini, la funzione “stigmatizzata” della condotta della società madre è tale solo nei confronti del socio “esterno” al controllo, che subisce un danno riflesso per effetto della lesione del patrimonio della società a cui partecipa. Da qui, la previsione di una legittimazione ristretta e svincolata (con ciò intendo indicare l'assenza di qualsiasi “vincolo” per l'esercizio dell'azione de qua: all'assenza di un quorum deliberativo per l'esercizio dell'azione ex art.2497 cod. civ.) riconosciuta al singolo socio “esterno”.

Ma, in ipotesi di fallimento della società eterodiretta subentrano altri interessi che potrebbero giustificare il “trasferimento” dell'azione dei soci in capo all'organo concorsuale della società eterodiretta fallita.

Qualora sia accertata l'insolvenza della società soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento, il disvalore della condotta della società madre, non si ripercuote solo sulla redditività e valore della partecipazione sociale del socio (di minoranza della società eterodiretta) ma, in primis, nei confronti dei creditori della società eterodiretta in quanto il patrimonio sociale risulta ormai definitivamente insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti e, in via postergata, nei confronti dei soci “esterni”, per il danno alla redditività e valore della partecipazione quale danno riflesso del danno sofferto dalla società eterodiretta per la elisione del capitale sociale.

In ipotesi di insolvenza della società eterodiretta, diversamente dalla società in bonis, l'esercizio dell'azione per il ristoro del danno derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività di direzione e coordinamento potrebbe, a mio avviso, non essere lasciato ad una moltitudine di iniziative individuali, ma attribuito ad un soggetto che possa adeguatamente rappresentare gli interessi della “società”, seppur insolvente. Una figura terza individuata dal legislatore, ex art. 31 l. fall., nel curatore fallimentare.

I successivi rapporti tra creditori (tra i quali rientra – in via postergata – la quota di danno del socio come riflesso del danno sociale) e la quota di danno “diretto” subito dal socio (eccedente la quota che discende dalla lesione al patrimonio sociale) verranno regolati all'interno della procedura o, comunque, conclusa la stessa.

Sulla legittimazione attiva della società eterodiretta e sulla concorrente azione del socio esterno

Ulteriore profilo problematico è quello dell'azione risarcitoria della società eterodiretta verso la società dominante per i danni derivanti dall'esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento.

Il problema si articola in una serie di passaggi e spunti problematici concernenti: I) in primis, il riconoscimento o meno della legittimazione attiva della società controllata; II) sul coordinamento della stessa con le azioni del socio “esterno” e dei creditori della società eterodiretta; III) la sorte dell'azione qualora la società abusata sia dichiarata insolvente.

Riservandomi di tornare oltre su quest'ultimo inciso, merita di essere evidenziata la prima indicazione, ossia il riconoscimento della legittimazione ad agire in capo alla società abusata, ammessa de plano dal Tribunale di Milano nella sentenza n. 1958/2019, già richiamata.

Quanto al punto I) il Tribunale meneghino, infatti, nella predetta sentenza non si discosta dai risultati giurisprudenziali e dottrinali maturati successivamente alla riforma del 2003: sicché può essere sufficiente rinviare agli studi già all'uopo condotti.

Per completezza espositiva occorre ricordare che i diversi problemi che emergono dall'adozione delle teorie in appresso esposte, vengono risolti, rectius, non si pongono, qualora l'azione concessa ai soci esterni ed ai creditori fosse qualificata come surrogatoria rispetto all'azione spettante alla società eterodiretta.

Ma tale ricostruzione non è condivisibile.

Non solo in quanto l'azione risarcitoria, ex art. 2497 c.c. del socio “esterno”, al pari di quella ex art. 2395 c.c., costituisce un elemento attivo del patrimonio del socio e non del patrimonio sociale; ma anche in quanto la controllante, diversamente, sarebbe costretta a risarcire l'intero danno subito dalla società abusata e, quindi, a risarcire anche se stessa in proporzione alla sua partecipazione al capitale della controllata. A ciò si aggiunge, pur ragionando a contrario e sul piano astratto, che si potrebbe assistere a comportamenti ostruzionistici da parte della società controllante, quali transazioni o rinunce all'azione da parte della controllata approvate dall'assemblea governata dalla stessa controllante. Ma seppur difficilmente ipotizzabile nulla toglie che la società controllata possa esercitare l'azione di responsabilità direttamente nei confronti della società controllante.

È quindi possibile affermare che le azioni dei creditori e del socio esterno costituiscono un'azione autonoma, non surrogatoria della eventuale azione spettante alla società eterodiretta.

Ciò detto, ritornando al predetto problema interpretativo, appare naturale, in base ai principi del nostro ordinamento processuale, che il soggetto danneggiato abbia la possibilità di agire contro il soggetto danneggiante per ottenere il risarcimento del danno sofferto. Ma è pur vero che l'art. 2497 c.c. sembra chiaro nel considerare i soli soci e creditori della eterodiretta tra i soggetti legittimati attivi all'azione, con esclusione, quindi, di un'eventuale reazione giudiziale della società controllata soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento.

Secondo un primo filone interpretativo, da ricondurre – ancora una volta – al noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, la società eterodiretta sarebbe priva di autonoma legittimazione ad agire nei confronti della capogruppo. L'esclusione della legittimazione della società eterodiretta elimina ab origine il problema della duplicazione del risarcimento posto in capo alla holding ed il problema della quantificazione del danno risarcibile a favore della società abusata.

Diversamente – come detto – la giurisprudenza e dottrina prevalente (pur considerate le predette argomentazioni letterali) riconoscono la possibilità alla eterodiretta in bonis ad agire contro la propria capogruppo.

Si rinvengono diversi argomenti (R. Pennisi, La legittimazione della società diretta all'azione di responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento, in RDS, 2014, 200):

- di carattere logico, per i quali il danno diretto, quello della società abusata, non può trovare tutela inferiore rispetto al danno riflesso, quello dei soci e creditori “esterni”;

- di carattere costituzionale, basato sul diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24, comma primo, Cost. (Trib. Milano, 27 febbraio 2012, in Giur. It., 2012, 2585, con nota di O. Cagnasso, Persona giuridica amministratore di fatto di società di capitali?, in RDS, 2012, 734).

Anche se, tale criterio, come rilevato da acuta dottrina, appare inconferente, giacché l'art. 24 Cost. tutela ciò che, in realtà, occorre dimostrare, ossia che la legittimazione ad agire della società abusata è configurabile;

- di carattere storico, dall'art. 90 del d. lgs. 270/1999, c.d. Legge Prodi bis (disciplina che, a propria volta replica quanto a suo tempo previsto dall'art. 3 del d.l. n. 26/1979, c.d. Legge Prodi) si è sempre desunta, la legittimazione della società eterodiretta ad agire, in persona del commissario giudiziale, nei confronti degli amministratori della dirigente per i danni derivanti da abusivo esercizio della “direzione unitaria”. È pur vero, tuttavia, che la portata del richiamo appare scarsamente convincente stante l'implicita abrogazione a mente dell'art. 2497 c.c.;

- tratti dalla ratio ispiratrice della norma, poiché, ut sopra richiamato, se la legittimazione fosse stata affidata alla sola società diretta, essa sarebbe stata fatalmente destinata a rimanere pressoché solo sulla carta (Quest'ultima considerazione, secondo la quale la società eterodiretta non agirebbe mai, è smentita, proprio dalla prassi, in tutti i casi in cui la controllata ha agito.

E come chiarisce la stessa Relazione ministeriale di accompagnamento al d. lgs. 6/2003, la previsione di una azione diretta dei creditori e dei soci della eterodiretta costituisce «[…] una disciplina che non si sostituisce ad una disciplina attuale, in sé in realtà inesistente, ma che alla disciplina attuale si aggiunge posto che i numerosi tentativi di tutelare gli interessi dei creditori e dei soci della controllata non sembrano essere riusciti a dare ad oggi tutela adeguata» (Relazione ministeriale al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. Soc., 2003,155 e in Giur. Comm., n.4/03);

- tratti dal comma terzo dell'art. 2497 c.c., «nella parte in cui, prevedendo la possibilità che sia la stessa società eterogestita a risarcire i suoi soci e creditori del danno che indirettamente hanno subito per effetto dell'esercizio dell'attività dell'ente dirigente, legittima la stessa società eterogestita a rivolgersi all'ente dirigente per ottenere il risarcimento del danno, che altrimenti subirebbe addirittura due volte» (Cfr. Trib. Milano, 20 dicembre 2013, ordinanza n. 42294, in Società, 2014, 560, con nota di M. Rossi, I molti problemi “aperti” della disciplina dei gruppi: considerazioni a margine di una recente ordinanza, in Società, 2014. Ma anche Trib. Milano, 27 febbraio 2012, in Giur. It., 2012, 2585, con nota di O. Cagnasso, Persona giuridica amministratore di fatto di società di capitali?, in RDS, 2012, 734). Ma in merito si osserva (R. Pennisi, La legittimazione della società diretta all'azione di responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento, in RDS, 2014, 199) come, «l'argomento di per sé non dimostra che la società diretta possa chiedere tutti i danni patiti dal proprio patrimonio e non invece solo quelli che dovrà corrispondere al socio richiedente».

- tratti dalla teoria dei vantaggi compensativi (Trib. Milano, 27 febbraio 2012, cit.) , ma anche qui, come sopra, la norma non introduce una legittimazione ad agire della società eterodiretta, piuttosto detta la regola per la quale la società che dirige può pregiudicare la società subordinata purché compensi il pregiudizio stesso.

Dato conto delle predette teorie, occorre precisare che il «problema non è quello di tentare di giustificare un'insanabile contraddizione [ndr. rectius, una lacuna]; ma quello di vagliare e distinguere i piani delle tecniche di tutela» e ciò, poiché, è comunque da ammettere una concorrente legittimazione, secondo le diverse impostazioni ex artt. 2497 e/o 2043 e/o 1218 e/o 2392 e ss. c.c., della società eterodiretta, trattandosi, in definitiva, del soggetto direttamente pregiudicato dalla scorretta gestione posta in essere dalla capogruppo.

Più articolato è, invece, il quesito relativo al profilo, senz'altro centrale, prima ricordato sub II), ossia la duplicazione del risarcimento in capo alla capogruppo, ovvero l'ipotetico concorso tra l'azione ex art. 2497 c.c. esperita dal creditore e dal socio della società eterodiretta contro la capogruppo e le eventuali pretese risarcitorie, contro la holding, della società controllata.

La questione va affrontata distinguendo ancora una volta la posizione dei creditori e dei soci.

Per quanto riguarda l'azione dei primi, le due azioni sono concorrenti, perché entrambe volte a far valere i danni cagionati al patrimonio sociale della società eterodiretta. Da qui, l'“assorbimento” da parte dell'azione sociale, dell'azione dei singoli creditori sociali (A.R. ADIUTORI, Insolvenza e responsabilità nel gruppo, Giuffrè-Milano, 2013, 99-100).

Diversamente, con riferimento al concorso tra l'azione del socio “esterno” e l'eventuale pretesa risarcitoria della società controllata sono state prospettate diverse teorie.

Se, come già argomentato, l'azione del socio non è solo concorrente, ma anche alternativa e non surrogatoria, occorre distinguere secondo un criterio temporale.

Qualora la società abbia ottenuto la condanna della società dominante, ciò impedirà per carenza di interesse ad agire, l'azione del singolo socio, già ristorato.

Soluzione analoga qualora il socio ottenga la condanna dell'ente dominante, ma la soddisfazione di un socio, non impedirà l'iniziativa degli altri soci “esterni”, ma la sola azione della società eterodiretta. Insomma, prior in tempore potior in iure.

Altra soluzione prospettata prevede che, qualora il socio agisca ed ottenga ristoro della società eterodiretta, la duplicazione potrebbe essere evitata, decurtando il risarcimento alla società che dirige di quanto già corrisposto al socio.

Per completezza, pur considerato che si tratta di problemi che vanno inquadrati e risolti analizzando i termini delle fattispecie concrete, con la sentenza n. 1958/2019il Tribunale di Milano (nel richiamare due precedenti) individua un possibile coordinamento delle azioni ed osserva che attraverso lo strumento processuale della denuntiatio actionis, si otterrebbe la riunione, la sospensione, l'assorbimento o la dichiarazione d'inammissibilità dei procedimenti concernenti «gli stessi fatti, con vis attractiva e prevalenza da riconoscere a quello avente ad oggetto il risarcimento del danno diretto».

Il Tribunale meneghino, dunque, non solo ha implicitamente riconosciuto la legittimazione ad agire della società eterodiretta, ma fatto luce sul coordinamento delle azioni, che: «si realizza quindi nel processo e con l'allegazione in fatto e la dimostrazione del “soddisfacimento” dell'interesse del socio di minoranza o del creditore. L'azione ex art. 2497 cod. civ. avente ad oggetto il risarcimento del danno indiretto del socio di minoranza o dei creditori sarà infondata se la pretesa azionata dalla società controllata verso la controllante sarà tale da garantire il soddisfacimento all'interesse specifico dedotto in giudizio dal socio di minoranza o dai creditori per i danni da loro lamentati. Si tratta di questione di fatto da verificare di volta in volta».

E poiché il pregiudizio dei soci di minoranza, come si è dato cenno nei capitoli precedenti, non è totalmente sovrapponibile al pregiudizio della società controllata, la soddisfazione della società può non reintegrare il complessivo patrimonio del socio di minoranza, leso dalla condotta della società capogruppo, e viceversa. Da qui, le opportune conferme alla predetta teoria che discerne il contenuto dell'azione dei soci “esterni”.

Sarà quindi onere del socio allegare e provare che, dal danno corrisposto alla società eterodiretta, esula una parte di danno che deve essere ristorato a suo favore; da altro punto di vista, diversamente, è onere della società madre eccepire che, il ristoro riconosciuto alla società eterodiretta è sufficiente e compensativo del danno indiretto subito dal socio.

Segue. Sorte dell'azione spettante alla società controllata dichiarata insolvente

Esposte le sopradette teorie, occorre ora domandarsi quale sia il “destino”, in sede fallimentare dell'azione di responsabilità ex art 2497 c.c. della società dominata, e ciò, in quanto, il legislatore, diversamente dall'art. 2394 bis c.c., in logica coerenza con la predetta scelta di non prevedere esplicitamente la legittimazione espressa della società eterodiretta in bonis, nell'ultimo comma della disposizione, tace sul punto.

La tesi sopraesposta, “negazionista”, ha come necessaria conseguenza il mancato riconoscimento della legittimazione attiva del curatore, il quale, non rinvenendo tale diritto risarcitorio nel patrimonio della società fallita, non potrà esercitare la relativa azione.

Diversamente, ove si accolga la tesi del riconoscimento dell'interesse ad agire in capo alla società eterodiretta, in maniera non dissimile dalle azioni esercitanti dal curatore nelle società monadi, l'organo concorsuale della società eterodiretta, esercita tanto l'azione della società, quanto l'azione dei creditori.

La particolarità della fattispecie, come previsto per le azioni “ordinarie” ex art. 2393 e 2394 c.c., consiste nella circostanza che le due azioni di responsabilità, quella sociale e quella dei creditori sociali, nell'ipotesi di procedura concorsuale, confluiscono in un'unica azione al cui esercizio è legittimato l'organo concorsuale e che, assume carattere unitario ed inscindibile, cumulando i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni.

Il possibile concorso delle azioni pone difficili (insuperabili?) problemi di coordinamento con l'azione diretta dei soci di minoranza della società eterodiretta.

Da qui (e contrariamente a quanto poc'anzi esposto) un favor al filone interpretativo che esclude la legittimazione attiva della società eterodiretta, giacché non può essere eliminata la previsione legislativa della legittimazione ad agire del socio (ovvero – per chi scrive – la trasmigrazione in capo al curatore che esercita un'azione finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale visto ad un tempo come garanzia per i creditori sociali e, in via postergata, per i soci di minoranza della società eterodiretta).

Comunque, ancora una volta occorre osservare che sebbene i danni siano collegati nella loro genesi, una volta verificatesi il fatto lesivo, le azioni si diversificano essendo il pregiudizio del socio “esterno” non completamente assorbito dal pregiudizio del patrimonio sociale, fatto valere della società eterodiretta, rectius, del curatore fallimentare. Pertanto, riconosciuta la tutela, il problema si sposta – ancora una volta – su di un piano probatorio, con le già evidenziate criticità.

Quali novità dal codice dalla crisi e dell'insolvenza? Nulla nova, bona nova

Per quanto fin qui esposto, è ora possibile passare all'esame delle disposizioni introdotte nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, licenziato in data 12 gennaio 2019.

Le novità introdotte dal Codice in tema di azioni di responsabilità sono numerose e, con consapevole approssimazione, riguardano tanto i presupposti della responsabilità, anche in connessione alla previsione di specifici doveri e conseguenti responsabilità per la c.d. fase di allerta, quanto i criteri di determinazione del danno risarcibile.

Non pare, prima facie, che altrettante novità siano state introdotte in tema di identificazione dei legittimati attivi delle azioni di responsabilità in ipotesi di fallimento, ora liquidazione giudiziale, della società inserita all'interno di un gruppo.

Stante l'impronta dell'analisi fin qui condotta, si darà conto, per soli cenni, solo di questi ultimi aspetti.

L'art. 255 lettera d) del D. lgs. 12 gennaio 2019 prevede in caso di liquidazione giudiziale, l'attribuzione al curatore della legittimazione ad esercitare, o, se pendente, a proseguire, «l'azione prevista dall'art. 2497, quarto comma, del Codice Civile», come riformulato dall'art. 382, comma terzo, del CCII.

L'art. 255 CCII viene poi a raccordarsi con le disposizioni introdotte per la regolazione della crisi delle imprese appartenenti ad un gruppo, di cui agli artt. 284 e ss. del CCII.

Qui, l'art. 291 prevede che il curatore «è legittimato ad esercitare le azioni di responsabilità previste dall'art. 2497 del Codice Civile», nonché con l'art. 307 CCII per il quale l'azione di responsabilità a norma dell'art. «2497 del Codice Civile, è esercitata dal commissario liquidatore».

Per meglio dire, il liquidatore giudiziale (ex curatore fallimentare), è legittimato ad esercitare l'azione dei creditori sociali, sia essa diretta, ai sensi del primo comma, contro la società madre che abbia abusivamente diretto e coordinato le società controllate, sia essa promossa nei riguardi degli altri soggetti individuati nel primo capoverso dell'art. 2497 c.c..

Percorrendo questa interpretazione, il legislatore ha utilizzato il “plurale” per indicare la moltitudine di azioni che si cumulano in capo al liquidatore delle varie società appartenenti al gruppo, pregiudicate dalla abusiva condotta di direzione e coordinamento della holding. Ovvero, per indicarne la pluralità di soggetti, società madre, amministratori, sindaci e terzi, nei cui confronti può essere intrapresa l'azione.

Ma diversamente opinando, il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza parrebbe, dal suo tenore letterale, attribuire al liquidatore giudiziale anche la controversa azione dei soci esterni.

Potrebbe anche sostenersi che la soluzione qui sopra esposta sia enfatizzata anche dalla relazione di accompagnamento, che parla di «attribuzione al curatore della legittimazione all'esercizio di tutte le azioni di responsabilità contemplate dall'art. 2497 c.c.».

Ma se così fosse, l'interpretazione de qua sarebbe in contrasto, non solo, con l'art. 255 CCII che, ricordo, attribuisce al curatore, la sola azione prevista dal quarto comma, dell'art. 2497 c.c., ma altresì, per chi scrive, con l'art. 382, comma terzo, CCII, che nel ridefinire il quarto comma dell'art. 2497 c.c. si è limitato ad espungere dalla norma il riferimento al fallimento, per prevedere la “liquidazione giudiziale”. L'omissione, indirettamente, conferma che il curatore possa esercitare la sola azione spettante ai creditori della società eterodiretta dichiarata insolvente.

Sennonché, l'analisi si complica, data la disposizione dell'art. 255, lett. e), CCII, che dispone il riconoscimento in capo al curatore della legittimazione ad agire per «tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge».

Ciò che appare è che il dato letterale non aiuta a risolvere le sopraesposte questioni di identificazione e coordinamento delle azioni esercitabili da parte del curatore in caso di fallimento (ora liquidazione giudiziale) di una società soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento, anzi. Il Codice della crisi d'impresa e della insolvenza ripropone i medesimi problemi interpretativi che si è tentato di illustrare.

Probabilmente il legislatore ha voluto lasciare alla sensibilità pratica degli operatori la individuazione di un equilibrio tra le diverse azioni.

Guida all'approfondimento

Con riguardo al tema di azioni di responsabilità per le società monadi: A.Fidanzia, L'azione di responsabilità degli amministratori alla luce delle modifiche apportate dal D.lgs.n.14/2020, inwww.ilFallimentarista.it , 11 settembre 2020; F. Di Mundo, Le azioni di responsabilità esperibili dagli organi delle procedure concorsuali: il regime attuale e la nuova disciplina introdotta dal codice della crisi e dell'insolvenza, in Il Caso.it, 2019;

Sull'azione di responsabilità da parte del curatore: P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. Soc. 2007, 317: «Trattare in un unico scritto tutti i molteplici e complessi problemi suscitati dalle disposizioni in materia di direzione e coordinamento di società, peccherebbe o di presunzione o di superficialità»;

P.G. JAEGER, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle procedure concorsuali: una valutazione critica, in Giur. Comm., 1988, I, 549;

M. FABIANI, Fondamento e azione per la responsabilità degli amministratori di s.p.a. verso i creditori sociali nella crisi dell'impresa, in Riv. Soc. 2015, 272 e segg.

Sul rapporto tra l'esercizio dell'azione da parte della società eterodiretta e l'azione esperita dal socio di minoranza: G. Scognamiglio, Danno sociale e azione individuale nella disciplina della responsabilità da direzione unitaria, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Vol. 3, a cura di P.Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2007, 948 e ss.;

A. Valzer, Le responsabilità da direzione e coordinamento di società, Torino, 2011.

Sul tema di cui al paragrafo “L'azione del socio esterno e la esclusione della legittimazione sostituiva del curatore”: F. Guerrera, Gruppi di società, operazioni straordinarie procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2005, I, 24;

V. Cariello, Direzione e coordinamento, in Società di capitali, (a cura di) G. Nicolini, A. Stagno D'Alcontres, 2004;

A. Jorio, I Gruppi, in AA.VV., La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, (a cura di) S. Ambrosini, Torino, 2003, 201;

M. Rescigno, Eterogestione e responsabilità nella riforma societaria fra aperture ed incertezze: una prima riflessione, in Società, 2003, 334;

U. Tombari, Disciplina del gruppo di imprese e riflessi sulle procedure concorsuali, in Fall., 2004, 1168;

A. Nigro, La responsabilità degli amministratori nel fallimento delle società, in RDS, 2008, 759;

A.R. Adiutori, Questioni in tema di art. 2497 c.c., in Riv. Dir. Comm., 2017, I, 679;

M. Miola, Riflessioni su responsabilità per eterodirezione dell'impresa e procedure concorsuali, in Rivista Orizzonti del diritto commerciale, 2015, 7.

Sul tema trattato nel paragrafo “La concorrente legittimazione del curatore e la (mancata) soluzione del quesito”: S. Serafini, Responsabilità degli amministratori e interessi protetti, Giuffré-Milano, 2013, 270 e segg.;

A. Badini Confalonieri, R. Ventura, Commento art. 2497 cod. civ., in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, III, 2174;

U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Giuffrè-Milano, 2010, 152;

G. D'Attorre, Le azioni di responsabilità da direzione e coordinamento nel fallimento della “eterodiretta”, in Riv. Dir. Comm., 2015, II;

A.R. Adiutori, Insolvenza e responsabilità nel gruppo, Giuffrè-Milano, 2013, 95.

Sul tema di cui al paragrafo “Sulla legittimazione attiva della società eterodiretta e sulla concorrente azione del socio esterno”: P. Trimarchi, La riforma del diritto societario, a cura di M. Vietti, F. Auletta, G. Lo Cascio, U. Tombari, A Zoppini, Milano, 2006, pag.2296 e segg.;

P. Abbadessa, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, in Banca borsa titoli di credito, 2008, I, pag.279 e segg.;

M. Bussoletti, Le nuove norme del Codice civile in tema di processo societario, in Giur. Comm., 2004, I, 308;

M. Bussoletti, Sulla “irresponsabilità” da direzione unitaria abusiva e su altre questioni aperte in tema di responsabilità ex art. 2497 c.c., in Riv. Dir. Comm., 2013, I, 422;

M. Rossi, I molti problemi “aperti” della disciplina dei gruppi: considerazioni a margine di una recente ordinanza, in Società, 2014, 575;

R. Pennisi, La legittimazione della società diretta all'azione di responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento, in M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi (diretto da), Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum P. Abbadessa, Torino, 2014, II, 1634 e segg;

G. Scognamiglio, “Clausole generali” principi di diritto e disciplina nei gruppi di società, in Riv. Dir. Priv., 2011,523;

G. D'Attore, Le azioni di responsabilità da direzione e coordinamento, 80.

Con riguardo al paragrafo “Quali novità dal codice dalla crisi e dell'insolvenza? Nulla nova, bona nova”:

G. Scognamiglio, I gruppi di impresa nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 423;

L. Benedetti, La disciplina dei gruppi d'impresa e il piano unitario di risanamento, in Italia Oggi, n. 2, 23 gennaio 2019, 158;

N. Abriani, Le azioni di responsabilità alla luce del codice della crisi, in Italia Oggi, La riforma del fallimento, n. 2, 23 gennaio 2019, 61.

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