Inammissibili in sede di legittimità le censure sulla CTU ove la parte non le abbia adeguatamente mosse in sede di merito

20 Gennaio 2021

I ricorrenti censurano, in sede di legittimità, sotto due differenti profili, le conclusioni della CTU. La Corte ritiene inammissibili le censure prospettate, non essendo stati adeguatamente specificati nel ricorso i termini e le modalità con cui le critiche svolte all'elaborato peritale sarebbero state avanzate nel corso del giudizio di appello.

E' quanto affermato dalla Corte di cassazione nell'ordinanza n. 643/21, depositata il 15 gennaio.

La Corte di appello determinava con sentenza, in favore dei proprietari, il pagamento di somma di denaro a titolo di indennità di reiterazione del vincolo, apposto su un appezzamento di terreno, avente natura espropriativa, con condanna del Comune al deposito di tale somma – oltre interessi al tasso legale – presso la Cassa Depositi e Prestiti.

In particolare, la Corte distrettuale aveva accertato e dichiarato, con precedente pronuncia non impugnata, la natura espropriativa del vincolo e il diritto dei proprietari all'indennizzo e, con ordinanza di pari data, aveva disposto il proseguo del giudizio per la quantificazione dell'indennizzo con il rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio. Il Collegio distrettuale, affermava, infatti, che l'indennizzo dovuto era pari alla differenza tra il valore del bene in presenza del vincolo ed il valore del medesimo bene che ne risultava privo e determinava l'indennità in ragione dei frutti civili ovvero degli interessi semplici e della rivalutazione monetaria incidenti sul valore differenziale rapportati al periodo di permanenza del vincolo, poichè se fosse stata attribuita la differenza indicata, la stessa avrebbe configurato una duplicazione, sia pure parziale, dell'ipotetica futura indennità di espropriazione.

I proprietari proponevano ricorso per Cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, deducendo, con due motivi, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 39 del D.p.r. n. 327/2001 e dell'art. 3 Cost. in relazione all'art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., nonchè degli artt. 1224 c.c. e 1283 c.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., poiché il Consulente tecncio d'ufficio aveva applicato due diverse modalità di calcolo che tra loro non erano assolutamente comparabili; inoltre il risarcimento del danno era stato calcolato dalla data reiterazione del vincolo alla data del deposito della perizia, con ciò violando il principio secondo cui il debito di valore doveva essere attualizzato alla data di pronuncia della decisione.

I Giudici ritenevano inammissibili entrambe le censure proposte dai ricorrenti, non essendo stati adeguatamente specificati nel ricorso i termini e le modalità con cui le critiche svolte all'elaborato peritale sarebbero state avanzate nel corso del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di appello.

E' stato ribadito, infatti, in ossequio ad un costante orientamento di legittimità, come «in tema di ricorso per Cassazione, per infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di aver rivolto critiche alla consulenza stessa già davanti al giudice di merito e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell'elaborato peritale, correlata da valutazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità».

I Giudici hanno concluso affermando che, nel caso di specie, la Corte di appello aveva correttamente statuito «che, a norma dell'art. 39 del D.p.r. n. 327/2001, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuto al proprietario un'indennità, commisurato all'entità del danno effettivamente prodotto». «In tale ottica, considerato che il vincolo non determinava la perdita della proprietà vanificando soltanto i poteri ad essa correlati, la Corte distrettuale aveva correttamente ritenuto che il vincolo determinasse un minore valore commerciale del bene per cui il parametro di riferimento per commisurare i danni in questione potesse essere costituito dalla differenza tra il valore del bene in presenza del vincolo e il valore del medesimo bene che ne risultava privo». Con la precisazione che «se fosse stata attribuita la differenza indicata, la stessa avrebbe configurato una duplicazione, sia pure parziale, dell'ipotetica futura indennità di espropriazione, atteso che quest'ultima avrebbe compreso anche la prima in quanto discendente da un vincolo non considerabile a tal fine».

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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