Il concorso dell'estraneo nel reato di dichiarazione fraudolenta

25 Gennaio 2021

E' configurabile il concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta di colui che, pur essendo estraneo e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione, abbia comunque partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all'amministratore della società di avvalersi della documentazione fiscale fittizia.
Massima

E' configurabile il concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta di colui che, pur essendo estraneo e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione, abbia comunque partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all'amministratore della società di avvalersi della documentazione fiscale fittizia.

Il caso

La Corte di Cassazione, Sez. V Penale, con la sentenza in commento ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di concorso nei reati tributari, con specifico riferimento al reato di dichiarazione fraudolenta.

Nel caso di specie, all'amministratore di fatto della società, in concorso con gli amministratori di diritto e con il consulente fiscale e socio della predetta società, veniva contestato di aver indicato nelle dichiarazioni dei redditi della società fatture relative ad operazioni inesistenti, emesse nel corso degli anni 2012 - 2015.

Era stato quindi disposto provvedimento di sequestro dal Gip del Tribunale in relazione al reato di frode fiscale (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti), stabilendo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta del profitto del predetto reato, nella misura di Euro 1.202.852,78 e, in subordine, il sequestro finalizzato alla confisca di valore dei beni immobili, mobili registrati e del denaro, fino alla concorrenza della somma di Euro 196.962,14.

Il Tribunale del riesame, in parziale accoglimento dell'istanza presentata dall'imputato, aveva annullato il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Gip del medesimo Tribunale, limitatamente al sequestro finalizzato alla confisca diretta, confermando invece il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, disposto fino a concorrenza dell'importo di Euro 196.962,14, con restituzione di quanto in esubero rispetto a tale importo.

Contro tale Ordinanza l'indagato aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge in relazione agli artt. 2 ed 8, d.lgs. n 74 del 2000 e 110 c.p., nonché il correlato vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, tale da configurare l'errata applicazione di norme di diritto in relazione alla sussistenza del concorso del reato.

In sintesi, il ricorrente sosteneva che i giudici del riesame avevano proposto una lettura frammentata e decontestualizzata delle risultanze investigative, cercando di desumere la prova della sua compartecipazione nelle fattispecie di reato, solo in quanto socio della società, attraverso argomentazioni di tipo congetturale ed apodittico.

In particolare, secondo il ricorrente, vi era stato un vizio metodologico di fondo dell'Ordinanza, avendo il Tribunale seguito un percorso motivazionale del tutto incoerente, mediante una inversione dell'iter logico nella valutazione della responsabilità in punto di concorso nel reato.

Secondo la difesa, la posizione del ricorrente avrebbe invece meritato una separata trattazione rispetto a quella degli altri coindagati, atteso che egli sembrava essere chiamato in causa in forza di una sorta di responsabilità oggettiva, o meglio in virtù di una posizione di garanzia quale socio della società.

Il giudice del riesame aveva dunque attribuito particolare rilevanza al ruolo formale di socio piuttosto che al dato dell'attività concretamente svolta, richiamando una serie di risultanze investigative che lo collegavano al reato contestato.

Secondo la difesa del ricorrente, la motivazione del Tribunale del riesame era inoltre illogica laddove faceva leva su risultanze investigative assolutamente inidonee a dimostrare il ruolo di concorrente nel reato di dichiarazione fraudolenta, non potendo da tali risultanze desumersi né una istigazione, né un rafforzamento delle intenzioni nella condotta dell'indagato verso i soggetti obbligati o preposti ex lege alla presentazione delle dichiarazioni fiscali della società.

L'Ordinanza aveva dunque ritenuto sussistente il fumus del reato in capo al medesimo ricorrente in assenza di sue specifiche condotte, anche solo astrattamente idonee ad integrare l'ipotesi del concorso nel reato contestato.

Nessuna delle risultanze investigative, secondo il ricorrente, era del resto indicativa di una correlazione, né fattuale ne temporale, rispetto la condotta contestata, risultando peraltro la correlazione temporale della condotta imputata all'indagato sostanzialmente impossibile a fronte della indeterminatezza dei capi di imputazione sotto il profilo del tempus commissi delicti, che non risultava essere chiaramente determinato, e non essendo specificato in relazione a quali anni d'imposta lo stesso avesse concorso nella consumazione del delitto.

In definitiva, rilevava il ricorrente, una responsabilità del socio nel reato dichiarativo commesso dagli amministratori poteva essere ammissibile solo a condizione che il suo contributo si fosse manifestato sotto forma di un impulso psicologico al reato materialmente ascrivibile ad altri soggetti, dovendosi in sostanza accertare l'effettivo suo contributo o quale determinatore, o quale istigatore.

Diversamente, l'Ordinanza impugnata pretendeva di attribuire rilevanza, ai fini della prova del concorso dell'indagato nel reato dichiarativo, alla sua mera qualifica di socio, rievocando un orientamento di legittimità ormai superato, che riteneva il socio ex se concorrente, atteso che i soci sono tra i principali beneficiari dell'evasione d'imposta attribuibile alla società ed essendo quindi ipotizzabile una loro responsabilità quali concorrenti morali nelle scelte dell'amministratore della società.

Tale ricostruzione concettuale, però, secondo il ricorrente, era contraria ai principi della personalità della responsabilità penale, di cui all'articolo 27 della Costituzione.

La questione

Il richiamo operato dall'Ordinanza alla giurisprudenza di legittimità che ammette la configurabilità del concorso, secondo il ricorrente, era erroneo in quanto ciò che veniva contestato non era di avere emesso in proprio, ossia in concorso interno con altre persone, le fatture che poi la società utilizzatrice aveva ricevuto e messo in contabilità per giungere alle dichiarazioni infedeli, ma di avere concorso, agevolando il soggetto emittente o rafforzando il suo proposito illecito, condotta rilevante ai sensi dell'articolo 110 c.p., e in quanto tale non procedibile ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 74/2000.

Secondo la difesa doveva pertanto ritenersi erronea l'interpretazione del Tribunale proprio avuto riguardo al profilo meramente soggettivo rappresentato dall'identità delle persone chiamate a rispondere dei due reati, atteso che il ricorrente risultava indagato in relazione ad entrambe le fattispecie di reato a titolo di concorso quale estraneo, ed in nessuna delle due ipotesi di reato a titolo diretto.

E dunque, doveva trovare applicazione l'orientamento giurisprudenziale che ritiene che la deroga all'artt. 110c.p., prevista dall'art. 9 d.lgs. n. 74 del 2000, non può operare nei casi in cui la medesima persona procede in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione.

In definitiva, il Tribunale del riesame, in base a tale impostazione, era così pervenuto ad un'interpretazione illegittima e restrittiva del contenuto della norma di cui all'articolo 9 cit., finendo per richiamare, in maniera contraddittoria ed illogica, un principio di diritto enunciato dalla Cassazione, laddove però l'elemento caratterizzante l'ipotesi presa in esame dalla giurisprudenza era l'emissione e l'utilizzo delle fatture da parte della stessa persona "in proprio", quale tipica ipotesi di osmosi economica tra i soggetti giuridici che costituiscono uno schermo formale della persona che ha emesso ed utilizzato in propriole medesime fatture, ipotesi che non riguardava pacificamente il caso in esame.

Peraltro, si aggiungeva, il Tribunale non aveva nemmeno indicato le specifiche condotte dell'indagato, astrattamente idonee ad integrare il concorso.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che il Tribunale del riesame aveva puntualmente motivatole ragioni della configurabilità della responsabilità concorsuale dell'indagato.

I giudici non condividevano quanto assunto dalla difesa dell'indagato, secondo cui la partecipazione dello stesso al fatto criminoso, per come rappresentato, si estrinsecava in una forma di responsabilità oggettiva basandosi la contestazione sul mero fatto che l'indagato, in ragione della professione esercitata, avesse curato l'invio dei dichiarativi fiscali.

Precisavano del resto i giudici che la compartecipazione criminosa al reato di dichiarazione fraudolenta non era tratteggiata quale forma di responsabilità del professionista nel reato tributario del contribuente, non rivestendo l'indagato, per quanto prospettato dagli investigatori, l'ufficio di consulente fiscale della società.

La professione esercitata dall'indagato, piuttosto, puntualizzava il Tribunale, costituiva solo uno degli elementi valorizzati dall'organo inquirente, che, unitamente alle altre emergenze investigative, concorreva a svelare, a livello indiziario di fumus, la sua consapevolezza dell'inesistenza delle operazioni sottese alle fatture emesse dalla ditta individuale, e la volontà, quanto meno sub specie di dolo eventuale, di contribuire alla vicenda criminosa.

Dalle indagini, peraltro, osservavano i giudici del riesame, emergevano plurime circostanze che collegavano l'indagato al reato di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74/2000, laddove, in particolare, gli elementi valorizzati erano stati i seguenti: a) l'indagato era socio della società e, per tale ragione, vantava un interesse proprio e personale al risultato economico della stessa;

b) l'indagato aveva prestato la propria opera professionale nei confronti della ditta individuale, della quale deteneva pacificamente anche le fatture attive emesse nei confronti della società, fatture peraltro connotate dall'indeterminatezza delle causali;

c) lo stesso indagato era anche depositario delle fatture attive e passive della società, pur non essendo il professionista che ne curava la contabilità.

Tali circostanze, unitariamente considerate, avevano spinto i giudici del riesame a confermare, a livello di fumus, la sussistenza dell'elemento psicologico normativamente richiesto in capo al concorrente nel delitto di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74/2000.

E sulla base di tali elementi il Tribunale aveva per l'appunto ritenuto che non potesseescludersi che l'indagato avesse, così come prospettato dall'accusa, non solo piena contezza dell'inesistenza delle operazioni sottese ai documenti fiscali dallo stesso detenuti (non potendo seriamente dubitarsi che il predetto, proprio in ragione della professione esercitata non fosse in grado di avvedersi della anomala e reiterata genericità delle causali di pagamento, trattandosi, peraltro, di fatture che riguardavano l'attività asseritamente prestata nei confronti della società di cui era socio), ma avesse, altresì, scientemente contribuito alla consumazione dell'illecito in esame, quanto meno in termini di agevolazione.

Né, sotto altro profilo, era stata ritenuta meritevole di pregio la violazione dell'art. 9 d.lgs. n. 74/2000, così come sostenuta dalla difesa.

Tale norma, in deroga all'art. 110 c.p., esclude infatti la configurabilità del concorso del soggetto che abbia emesso le fatture per operazioni inesistenti - condotta già punita dall'art 8 d.lgs. n. 74/2000 - nel delitto di frode fiscale commesso dall'utilizzatore (e di riflesso il concorso dell'utilizzatore nel reato di emissione).

La ratio di tale disciplina derogatoria consiste però nel fatto che, essendo l'emittente punito autonomamente, ammettere che egli possa essere chiamato a rispondere anche di concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta dell'utilizzatore, significherebbe punirlo due volte per il medesimo fatto.

Del tutto diversa era invece la situazione, così come nel caso di specie, in cui il medesimo soggetto abbia operato in relazione alla stessa fattura sia come emittente che come utilizzatore di quel documento: in questi casi, infatti, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il soggetto che abbia operato sia come emittente che come utilizzatore della fattura relativa ad operazioni inesistenti risponderà di entrambi i reati (cfr., Cass.,Sent., n. 19247 del 21/5/2012).

Ne conseguiva quindi, in conclusione, che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non poteva ritenersi che risultasse violato l'art. 9 d.lgs. n. 74/2000 per il solo fatto che le persone fisiche a cui veniva ascritta la condotta di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74/2000, fossero in parte coincidenti con i soggetti cui era addebitato anche il fatto dell'emissione, essendosi in presenza comunque di soggetti giuridici diversi e distinti.

Rileva infatti a tal proposito la Corte di Cassazione che è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che è comunque configurabile il concorso, nel reato di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, di colui che - pur essendo estraneo e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta - abbia partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all'amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia (cfr. Cass., n. 14815 del 27/03/2017).

E, nella specie, la responsabilità del ricorrente, come ben chiarito dal Tribunale del riesame, era stata individuata attraverso una serie di indizi, che connotavano, anche psicologicamente, il suo contributo alla consumazione degli illeciti contestati.

Era pertanto manifestamente infondato il motivo di ricorso con cui si sosteneva che i giudici avevano attribuito rilevanza, ai fini del concorso del ricorrente nel reato dichiarativo commesso dal terzo, alla sua mera qualifica di socio.

Quanto, poi, alla presunta violazione di legge relativa alla deroga all'art. 110, c.p., di cui all'art. 9, d.lgs. n. 74 del 2000, laddove i giudici, secondo la difesa, avevano ritenuto sussistente la responsabilità concorsuale dell'indagato, in deroga al divieto di cui all'art. 9 citato, richiamando erroneamente quella giurisprudenza che ritiene ammissibile il concorso tra emittente ed utilizzatore ove si tratti della medesima persona che ha emesso ed utilizzato in proprio le medesime fatture per operazioni inesistenti, era evidente, secondo la Corte, il vizio di fondo su cui si basava la censura difensiva.

Trattandosi infatti di responsabilità concorsuale dell'extraneus nel reato (di emissione ex art. 8 e di utilizzazione, ex art. 2, di fatture operazioni inesistenti), il concorrente, rileva la Corte, "partecipa" paritariamente (come chiaramente afferma l'art. 110,c.p.) all'intraneus nella commissione di ciascun reato oggetto di volontà comune, laddove dalle stesse imputazioni cautelari di cui al decreto emesso dal Gip emergeva che il ricorrente era coindagato:

1) del delitto di concorso nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti;

2) del delitto di utilizzazione in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti.

Ed era quindi evidente che, essendogli attribuita una responsabilità concorsuale quale extraneus in ambedue i reati, non trovava applicazione la deroga all'art. 110, c.p. prevista dall'art. 9, Dlgs. n. 74del 2000, atteso che la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall'art. 9 cit. non si applica laddove il soggetto emittente le fatture per operazioni inesistenti coincida con l'utilizzatore delle stesse (cfr., Cass., n. 5434 del06/02/2017).

E, stando alle contestazioni, il concorso del ricorrente con l'intraneus riguardava nella specie il fatto della contestazione "incrociata", consistente nell'aver egli concorso nell'emissione e nell'utilizzazione delle stesse fatture, di cui il destinatario era una persona giuridica (la società) e l'emittente una persona fisica (il titolare dell'impresa individuale) indicata quale amministratore di fatto della società.

Ne conseguiva, pertanto, che, formalmente, stante proprio la veste attribuita al titolare della ditta individuale di amministratore di fatto della società, non vi era dubbio che sussistesse la coincidenza tra l'utilizzatore (la società) e l'emittente (il titolare della ditta individuale, quale "amministratore di fatto della società), con conseguente inapplicabilità della disciplina in deroga all'art. 110, c.p. prevista dall'art. 9, Dlgs. n. 74 del 2000, inapplicabilità che si estendeva pertanto anche al concorrente extraneus.

Osservazioni

La concezione unitaria del concorso di persone nel reato, accolta dal vigente codice penale, comporta che gli atti dei singoli sono nello stesso tempo considerati loro propri e comuni anche agli altri, sicché ciascuno ne risponde interamente.

Questo principio si applica non solo nell'ipotesi di più atti volti al compimento di un reato singolo, ma anche in quelli di più reati, finalizzati, nel quadro di un piano con una più articolata distribuzione di compiti, ad un risultato perseguito da più soggetti.

Infatti, l'accordo preventivo realizza una partecipazione morale di ognuno dei concorrenti ad ogni reato sotto forma di istigazione, perché vale a rafforzare la determinazione dell'esecutore materiale, che, a conoscenza del ruolo degli altri, si sente sicuro di conseguire il prodotto del piano concordato.

Ne discende, in conclusione, che partecipando il concorrente extraneus paritariamente, secondo i principi del concorso di persone ex art. 110, c.p., alla commissione di ciascuno dei reati oggetto di volontà comune, di cui coautore è il concorrente intraneus, come per quest'ultimo non è applicabile la deroga all'art.110, c.p. prevista dall'art. 9, Dlgs. n. 74 del 2000, allo stesso modo tale deroga non vale nemmeno per il secondo, proprio in considerazione della natura paritaria della partecipazione a ciascuno dei due illeciti.

A prescindere poi dal fatto che nella fattispecie in esame l'indagato non era tale in vista del suo ruolo di “consulente”, giova anche evidenziare l'art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74/2000, introdotta dall'art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, prevede una circostanza aggravante speciale, che dispone che le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II del d.lgs. n. 74 del 2000 (ovvero i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili, omesso versamento di ritenute dovute o certificate, omesso versamento di Iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, reato quest'ultimo per cui si procedeva) sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

La locuzione adoperata dal legislatore, pur non menzionandolo espressamente, evoca in tal caso, almeno implicitamente, il presupposto della "serialità" di un determinato modus agendi, dovendosi peraltro rilevare che la Relazione Illustrativa dello schema di decreto, nel descrivere molto sinteticamente la novella normativa, fa riferimento alla predisposizione di "modelli seriali" di evasione fiscale, mentre il riferimento alla commercializzazione, oltre che alla elaborazione, lascia intendere che l'aggravante in esame si configura non solo quando il soggetto attivo elabori personalmente i modelli di evasione, ma anche quando diffonda, fornendoli ai suoi clienti, modelli elaborati da altre persone.

Se dunque è vero che al concetto di "modelli di evasione" non viene attribuito nella norma in esame un contenuto specifico, tuttavia, può affermarsi, anche alla luce della individuazione dei soggetti attivi del reato, che tale locuzione sia riferibile alla creazione e all'utilizzo, per finalità di illecito profitto, di schemi procedimentali volti all'elusione degli obblighi fiscali sanzionati con le previsioni delittuose di cui agli art. 8, 10, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, dovendosi precisare che il ricorso a tali indebite operazioni elusive deve avvenire su iniziativa di un professionista qualificato e che i modelli di evasione adoperati devono essere seriali, cioè suscettibili di essere riprodotti in una pluralità di casi.

In conclusione, il disvalore, alla cui operatività è connesso un aggravamento del trattamento sanzionatorio non indifferente, risiede non nella predisposizione o nella diffusione di accorgimenti estemporanei volti a realizzare una singola evasione fiscale, ma nel ricorso a iniziative elusive sistematiche, perché già sperimentate in casi analoghi, e perché comunque riproducibili in futuro a beneficio di altri potenziali evasori.

L'aggravante in esame, in definitiva, deve ritenersi applicabile non con riferimento a un singolo episodio elusivo, realizzato mediante l'occasionale intervento di un professionista, ma in relazione ad ogni iniziativa delittuosa scaturita dall'adesione a un ben preciso modello comportamentale, che, in quanto elaborato o applicato da un esperto del settore, denota la maggiore pericolosità del fatto, stante anche la possibilità di replica del sistema di operazioni preordinate all'illecito in favore di una pluralità indifferenziata di altri utenti.

L'aggravante rappresenta quindi un'ipotesi di "concorso qualificato", relativo a condotte che, in realtà, erano già punibili - e punite - a titolo di concorso "ordinario" ex 110 c.p.

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