Actio nullitatis in ambito fallimentare: discrimine tra vizi e abnormità nel procedimento di cui all'art. 79 l. fall.
26 Gennaio 2021
Massima
In caso di recesso dal contratto di affitto di azienda esercitato ai sensi dell'art. 79 della l. fall., non è esperibile l'actio nullitatis avverso il provvedimento del giudice delegato che, in accoglimento dell'istanza del curatore, esclude il riconoscimento di un equo indennizzo senza previa audizione dell'affittuario; pertanto, anche la mancata audizione deve essere fatta valere dal soggetto pretermesso, a pena di decadenza, nelle forme e nei termini del reclamo di cui all'art. 26 della l. fall. Il caso
Il curatore, con istanza rivolta al giudice delegato, domandava l'autorizzazione allo scioglimento anticipato ex art. 79 della l. fall. di un contratto di affitto di azienda senza corresponsione di indennizzo in favore della società affittuaria. Il giudice delegato autorizzava la curatela ad esercitare il recesso alle condizioni indicate senza tuttavia disporre l'audizione delle parti. Il provvedimento del giudice delegato veniva comunicato, a cura della curatela, alla affittuaria, la quale ometteva di proporre reclamo nel termine, previsto dall'art. 26 della l. fall., di dieci giorni dalla comunicazione. Tuttavia, la società affittuaria, dopo oltre sei mesi dalla comunicazione del provvedimento di autorizzazione al recesso, proponeva istanza al giudice delegato domandando il riconoscimento dell'indennizzo precedentemente negato. Sennonché, il giudice delegato rigettava con decreto la predetta istanza sul rilievo che lo stesso si era già pronunciato in senso negativo sulla liquidazione dell'indennizzo, e che il precedente provvedimento non era stato reclamato nel termine di decadenza di cui all'art. 26 della l. fall. Avverso il predetto decreto la società affittuaria proponeva reclamo al Tribunale, il quale, seguendo la ricostruzione operata dal giudice delegato, rigettava l'impugnazione, ritenendo ormai preclusa ogni doglianza riguardo alla liquidazione dell'equo indennizzo di cui all'art. 79 della l. fall. Tale provvedimento veniva allora impugnato con ricorso in Cassazione. In particolare, la società ricorrente deduceva l'errore in cui era incorso il Tribunale - e, prima ancora, il giudice delegato - attesa l'abnormità del primo provvedimento emesso senza previa audizione delle parti. Pertanto, secondo la tesi della ricorrente, ogni doglianza relativa alla liquidazione dell'equo indennizzo di cui all'art. 79 della l. fall. avrebbe dovuto ritenersi ammessa, prescindendo dal mancato rispetto delle forme e dei termini previsti dall'art. 26 della l. fall. per il reclamo avverso il primo decreto del giudice delegato. La questione
La questione principale su cui la Suprema Corte si è trovata a pronunciarsi è la seguente: nel procedimento di cui all'art. 79 della l. fall., il vizio che affligge il provvedimento del giudice delegato, il quale, nell'autorizzare il curatore a recedere da un contratto di affitto senza corresponsione di un indennizzo, ha omesso di disporre l'audizione dell'affittuario, deve comunque essere fatto valere nella forma del reclamo e nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione, ai sensi dell'art. 26 della l. fall., ovvero può essere fatto valere in ogni tempo attraverso l'actio nullitatis?. Accanto a tale questione principale, nelle maglie della decisione in commento, si ravvisa un altro interessante problema che, tuttavia, la Cassazione tocca solo incidentalmente: in caso di provvedimento abnorme, l'abnormità può essere rilevata, e conseguentemente rimossa, solo attraverso un'azione di accertamento negativo, ovvero anche mediante il mezzo di impugnazione in tesi applicabile, pur prescindendo, proprio per l'abnormità, dal rispetto del termine di decadenza previsto per tale mezzo?. Le soluzioni giuridiche
Sono davvero poche le sentenze, sia di merito che di legittimità, che riguardano l'art. 79 della l. fall. E ancora meno sono quelle nelle quali si affrontano questioni che attengono al procedimento di determinazione dell'equo indennizzo spettante alla controparte, in caso di recesso dal contratto di affitto di azienda. La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, si trova, dunque, a decidere, per la prima volta, una questione di rilevante importanza, la quale, come si può facilmente intuire, travalica i confini della materia fallimentare, assumendo una chiara valenza per la disciplina processual-civilistica in genere. Il Giudice di legittimità statuisce che la mancata audizione delle parti, pur integrando un vizio del provvedimento del giudice delegato che decide sull'indennizzo - si badi, anche sull'an e non solo sul quantum -, non rende, per ciò solo, abnorme (recte: inesistente) il provvedimento. Com'è noto, un provvedimento giurisdizionale può dirsi inesistente quando è emanato in totale carenza di potere decisorio, quando è inesistente il soggetto a cui le regole del provvedimento dovrebbero indirizzarsi, e, infine, quando il giudice non individua la situazione sostanziale oggetto di statuizione. Se così è, allora per i Giudici la conclusione è obbligata: il provvedimento del giudice delegato che omette di sentire il soggetto a cui spetterebbe l'equo indennizzo negato è sì viziato, ma non già inesistente. Con la conseguenza, ricavata per deduzione, che il vizio del provvedimento in parola deve necessariamente farsi valere con l'impugnazione ordinaria prevista ratione materiae: reclamo al Tribunale ex art. 26 della l. fall. Nell'affermare ciò, la Corte si richiama ai noti, per quanto eterogenei, precedenti in tema di actio nullitatis e di provvedimento abnorme (recte: inesistente). A titolo esemplificativo: domanda decisa dopo la pubblicazione della sentenza (Cass. civ., ord., 28 dicembre 2009, n. 27428); sentenza priva di dispositivo (Cass. civ., 1 settembre 2006, n. 18948); sentenza emessa nei confronti delle parti del giudizio ma con motivazione relativa a diversa causa riguardante altri soggetti (Cass. civ., 29 dicembre 2011, n. 30067). Osservazioni
Un corretto inquadramento della vicenda e della soluzione datane dalla pronuncia in commento, presuppone di circoscrivere l'ambito della nozione di provvedimento abnorme e conseguentemente i limiti di esperibilità dell'actio nullitatis, soprattutto nella variegata materia fallimentare. Pur con grande eterogeneità di vedute, la giurisprudenza distingue tra diverse forme di abnormità. In specie, si afferma che un provvedimento è abnorme non solo quando è emanato in assenza di potere, ma anche quando vi è una divergenza procedurale rispetto allo schema legale, e tale divergenza è di particolare gravità (come nel caso di violazione del principio del contraddittorio). La differenza non è di poco rilievo giacché solo nel primo caso il rimedio va ravvisato nell'actio nullitatis, con possibile superamento dei limiti delle preclusioni operanti. Nelle altre ipotesi di abnormità-inesistenza, invece, la giurisprudenza di legittimità sembra orientata nell'ammettere il ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost., pur distinguendo, a seconda dei casi, se la pronuncia determini, o meno, il rinvio al giudice del merito (nel primo senso si veda Cass. civ., 20 aprile 2001, n. 5915; nel secondo, Cass. civ., 12 settembre 1995, n. 9628). La pronuncia in commento si pone in perfetta coerenza con quando affermato dalla (se pur intricata) giurisprudenza in materia. Peraltro, la decisione si adatta perfettamente alle circostanze del caso concreto. La società ricorrente in Cassazione era stata, infatti, destinataria della comunicazione del provvedimento, se pur emanato in violazione del contraddittorio, e, pertanto, avrebbe potuto proporre l'impugnazione prevista dall'art. 26 della l. fall. nel termine di legge. Ma vi è di più. La medesima conclusione sarebbe stata corretta anche se, nel caso concreto, la medesima società affittuaria non fosse stata destinataria di alcuna comunicazione. In tal caso, infatti, non sarebbe stato il provvedimento del giudice delegato, benché viziato, ad essere inesistente, ma, evidentemente, la comunicazione, con conseguente possibilità di prescindere dal rispetto del termine perentorio di cui all'art. 26 della l. fall. E ciò anche alla luce dell'orientamento prevalente secondo cui gli effetti del recesso esercitato ai sensi dell'art. 79 della l. fall. decorrono dalla data di comunicazione. Si può, dunque, aderire alla soluzione data dalla Cassazione nel caso concreto. Le esigenze di non far «arenare» la procedura concorsuale depongono, in modo inequivoco, nel senso di non dilatare eccessivamente la nozione di provvedimento abnorme e conseguentemente la esperibilità dell'actio nullitatis. Qualora un provvedimento degli organi giurisdizionali della procedura sia viziato, quand'anche in modo grave per mancata instaurazione del contraddittorio, la maglia dei rimedi endo-fallimentari è tendenzialmente completa ed esaustiva. E tanto basta per assicurare la tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti, incluso l'affittuario non recedente. Peraltro, la decisione in commento, pur nella stringata forma della ordinanza, risulta meritevole di adesione anche sotto altro profilo. Ancorché incidentalmente, la Cassazione chiarisce che un conto è la possibilità di ammettere, mediante l'actio nullitatis, il superamento delle preclusioni derivanti dalla decadenza da un mezzo di impugnazione; altro conto è voler usufruire del mezzo di impugnazione tipico non più esperibile, adducendo una presunta abnormità del provvedimento gravato. La Corte evidenzia che, malgrado tale fattispecie non ricorra nella vicenda decisa, quand'anche il provvedimento fosse stato abnorme e avesse giustificato il superamento delle preclusioni all'impugnazione, l'unico rimedio esperibile sarebbe stata l'actio nullitatis, e non anche la proponibilità ad nutum del rimedio impugnatorio tipico, ravvisabile nel caso di specie nel binomio nuova istanza al giudice delegato e reclamo ex art. 26 della l. fall. Con buona pace di eventuali, e sempre tentati, abusi della procedura. Riferimenti
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