Trasferimento in arbitrato delle controversie pendenti

26 Gennaio 2021

E' una peculiare forma di arbitrato introdotta dall'art. 1 del d.l. n. 132/2014 - conv. nella l. n. 162/2014 - con evidenti finalità deflattive, che si realizza mediante trasferimento della controversia pendente, anche in grado di appello, dinanzi agli arbitri.
Inquadramento

L'art. 1 del d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, nella l. n. 162/2014, ha introdotto una peculiare forma di arbitrato che si realizza, con finalità evidentemente deflattive, mediante trasferimento della controversia pendente, anche in grado di appello, dinanzi agli arbitri.

Il meccanismo si differenzia da istituiti pressocché coevi, come la mediazione obbligatoria e la negoziazione assistita, in quanto volto esclusivamente ad «aggredire» il contenzioso già in essere.

Secondo l'opinione dominante, l'arbitrato in esame è istituto riconducibile al modello di quello rituale con conseguente applicabilità, salve le deroghe specificamente previste, degli artt. 806 e ss. c.p.c., come attestato dall'ultima parte del primo comma del predetto art. 1 del d.l. n. 132/2014 laddove fa riferimento alla possibilità per le parti di richiedere con istanza congiunta la promozione «di un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile». (Bove, op. cit., p. 205; Briguglio, op .cit., § 1.1.; Trapuzzano – Giordano, op. cit., p. 6).

Ambito di applicazione

La disciplina dettata dall'art. 1 del d.l. n. 132/2014 trova applicazione esclusivamente per le cause civili pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, ossia quella del 13 settembre 2014. Ciò significa che le parti di una causa incardinata successivamente potranno soltanto stipulare, come da sempre consentito, un «classico» compromesso lite pendente.

La possibilità del trasferimento in arbitrato è limitata alle controversie che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale.

Si ripropongono, quindi, come già per le controversie arbitrabili ex art. 806 c.p.c., le problematiche interpretative circa la latitudine del concetto di diritto indisponibile.

Per alcuni, infatti, le cause aventi ad oggetto diritti indisponibili sono quelle per cui è previsto l'intervento necessario del pubblico ministero dall'art. 70 c.p.c.

Per altri, invece, occorre considerare le caratteristiche di ciascuna situazione giuridica soggettiva, sicché sarebbero ad esempio indisponibili i diritti della persona, i diritti della personalità, i diritti dei figli nei confronti dei genitori.

Sotto un distinto profilo, è esclusa la trasmigrazione nella sede arbitrale delle controversie in tema di lavoro, previdenza ed assistenza sociale. E' possibile, tuttavia, trasferire dinanzi agli arbitri anche tali cause ove abbiano la propria fonte esclusiva nel contratto collettivo di lavoro «quando il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale».

Il trasferimento in arbitrato è possibile per le sole cause civili: tale precisa locuzione induce a ritenere che esulino dall'ambito applicativo dell'istituto sia le controversie demandante alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia quelle rientranti nella giurisdizione del giudice tributario (cfr. Bove, op. cit., p. 205).

Inoltre, come si evince dall'art. 1 del d.l. n. 132/2014, il trasferimento in arbitrato è consentito per le sole controversie pendenti di fronte al Tribunale o alla Corte d'appello, con conseguente esclusione, quindi, i quelle demandate al giudice di pace.

Non sembra sussistere, invece, alcuna limitazione quanto al trasferimento dinanzi agli arbitri del contenzioso civile pendente in ragione del rito, speciale o sommario, al quale la controversia è assoggettata (Di Salvo, op. cit., p. 13).

Fase introduttiva

La natura volontaria dell'arbitrato comporta la necessità, affinché si realizzi il trasferimento della controversia pendente dinanzi agli arbitri, che le parti presentino un'istanza congiunta in tal senso, come previsto dall'art. 1 del d.l. n. 132/2014.

Tale istanza non è che una convenzione d'arbitrato e, più precisamente, un compromesso lite pendente (Valerini, op. cit., p. 4).

E' discusso se la sottoscrizione dell'istanza rientri nell'ambito dei poteri demandati al difensore con il conferimento del mandato.

Secondo alcuni la risposta al quesito dovrebbe essere affermativa perché l'atto in questione non rientra tra quelli di disposizione del diritto il cui compimento non è consentito al difensore (Navarrini, op. cit., § 5).

Per altri, invece, l'istanza deve essere sottoscritta dalle parti personale o dai difensori muniti di una procura ad hoc, in quanto la scelta di trasferire la causa in arbitrato costituisce una rinuncia alla giurisdizione dello Stato, e quindi influisce sul diritto di azione costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost. (Bove, op. cit., p. 8; Dalmotto, op. cit., p. 1261; Giordano - Vaccari– Masoni, op. cit., p. 25).

Sebbene l'art. 1 del d.l. n. 132/2014 faccia riferimento ad un'istanza congiunta delle parti, il principio di libertà delle forme processuali induce a ritenere che possano essere presentate al giudice dinanzi al quale il procedimento pendente due istanze separate di analogo tenore (cfr. Trapuzzano-Giordano, op. cit., p. 20, il quale osserva che il relativo negozio processuale può perfezionarsi secondo il meccanismo di cui all'art. 1326 c.c.).

La valenza neutra della contumacia nel nostro sistema processuale, implica che debba escludersi un consenso presunto della parte contumace alla trasmigrazione della cause pendente in arbitrato (Giordano -Vaccari- Masoni, op. cit., p. 30). Unico escamotage potrebbe essere quello di notificare personalmente al contumace, in applicazione analogica dell'art. 292 c.p.c., la relativa istanza dell'altra parte con concessione di un termine per esprimere il proprio dissenso al trasferimento in questione (Dalmotto, op. cit., p. 1261).

Una disposizione specifica è dettata per le controversie civili pendenti nelle quali sia parte una Pubblica Amministrazione. Si prevede, in particolare, che per le controversie di valore non superiore ad Euro 50.000 in materia di responsabilità extracontrattuale, contrattuali o aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, il consento della pubblica amministrazione si deve ritenere prestato a fronte della richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dall'altra parte, salvo che, entro trenta giorni dalla richiesta, esprima dissenso scritto (Trapuzzano-Giordano, op. cit., p. 24).

Nell'accordo (rectius, istanza) di trasferimento della lite in sede arbitrale deve essere determinato a pena di nullità l'oggetto della stessa che, di norma, corrisponde a quella pendente dinanzi all'autorità giudiziaria e può quindi essere individuata per relationem alla stessa (Zucconi Galli Fonseca, op. cit., p. 235).

Il terzo comma dell'art. 1 del d.l. n. 132/2014 stabilisce che il giudice dinanzi al quale pende la trasferenda controversia, a fronte della presentazione dell'istanza congiunta, prima della trasmissione del fascicolo d'ufficio al Presidente del Consiglio dell'Ordine del circondario nel quale ha sede il tribunale ovvero la Corte d'appello è tenuto a valutare la sussistenza delle esaminate condizioni che consentono la trasmigrazione della stessa dinanzi agli arbitri.

Gli arbitri sono individuati concordemente dalle parti ovvero, in difetto di accordo, dal Presidente del Consiglio dell'Ordine, il cui intervento ha una funzione solo integrativa del potere di nomina demandato in prima battuta alle parti.

Per le controversie aventi un valore inferiore ad Euro 100.000,00 la regola generale del collegio arbitrale è derogata in favore di quella dell'arbitro unico.

Non è indicato alcun termine per la nomina dell'arbitro unico o del collegio arbitrale.

Possono essere nominati arbitri – e di qui la denominazione «arbitrato forense» – solo avvocati. Questi ultimi devono aver reso una preventiva dichiarazione di disponibilità al proprio Consiglio dell'ordine, essere iscritti all'albo locale da almeno cinque anni e non aver subito, nell'ultimo quinquennio, condanne disciplinari definitive o comportanti la sospensione dall'albo.

Procedimento dinanzi agli arbitri e pronuncia del lodo

Occorre premettere che, salve specifiche previsioni contenute nell'art. 1 del d.l. n. 132/2014, il procedimento dinanzi agli arbitri segue le regole dettate dagliartt. 816 e ss. c.p.c. per l'arbitrato rituale (Di Salvo, op. cit., p. 4).

La caratteristica peculiare dell'arbitrato in esame è che restano fermi gli effetti, sostanziali e processuali, correlati alla proposizione della domanda dinanzi all'autorità giudiziaria (cfr. Bove, op cit., p. 206).

Il procedimento ha inizio con l'accettazione scritta da parte di tutti i componenti del collegio arbitrale, momento a partire dal quale decorre il termine per la pronuncia del lodo.

Sebbene gli arbitri abbiano poteri istruttori alla medesima stregua di quanto avviene nell'arbitrato di diritto comune, opera la regola per la quale a seguito del trasferimento del giudizio pendente in tribunale o in corte d'appello dinanzi agli arbitri restano ferme le preclusioni e le decadenze già intervenute.

Ciò comporta che non potrà essere richiesta agli arbitri l'ammissione di mezzi istruttori ormai preclusi nel processo a quo.

Quando il trasferimento in arbitrato si realizza in primo grado la disciplina del termine per la pronuncia del lodo è quella generale dettata dall'art. 820 c.p.c.

Considerato il generale rinvio dell'art. 1 del d.l. n. 132/2014 alle norme in tema di arbitrato rituale, gli arbitri devono di regola decidere secondo diritto, salvo che le parti abbiano disposto che gli stessi si pronuncino secondo equità.

Come precisato - in modo forse superfluo, stante il disposto dell'art. 824-bis c.p.c. - dal terzo comma del predetto art. 1, il lodo emanato dagli arbitri nel procedimento trasferito dinanzi agli stessi ha i medesimi effetti di una sentenza.

Secondo alcuni, per incentivare il ricorso all'istituto, il legislatore avrebbe dovuto avere «maggiore coraggio» attribuendo al lodo efficacia esecutiva senza necessità di instare alla Corte d'appello per l'ottenimento dell'exequatur (Di Salvo, op. cit., p. 38).

Trasferimento in arbitrato durante il giudizio di appello

L'art. 1 del d.l. n. 132/2014 detta alcune regole peculiari per l'ipotesi in cui il trasferimento della controversia di fronte agli arbitri si realizzi durante il giudizio di appello.

Occorre a riguardo premettere che possono trasmigrare in sede arbitrale sia le cause pendenti dinanzi alla corte d'appello che, in secondo grado, di fronte al tribunale a seguito del gravame proposto avverso una sentenza del giudice di pace (Di Salvo, op. cit., p. 42).

In entrambe le ipotesi, si realizza un meccanismo per il quale la causa si trasferisce agli arbitri quando è stata già pronunciata una sentenza, all'impugnazione pendente della quale le parti rinunciano a condizione della tempestiva emanazione del lodo (cfr. Briguglio, op. cit., p. 12).

E' discusso, in dottrina, se oggetto del compromesso debba essere l'originaria domanda giudiziale, ipotesi nella quale l'istanza congiunta costituirebbe una tacita rinuncia agli effetti della pronuncia impugnata purché sopravvenga un lodo valido ed efficace entro i termini previsti (Trapuzzano- Giordano, op. cit., p. 41), ovvero le sole questioni che sono state devolute al giudice d'appello con la proposizione dei motivi ex art. 342 c.p.c. o in sede di riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c. (cfr. Dalmotto, op. cit., p. 1267; Giordano, op. cit., p. 62, i quali rilevano che non sarebbe altrimenti giustificata la previsione che fa salve le preclusioni e le decadenze già maturate).

L'art. 1 comma 4 del d.l. n. 132/2014 stabilisce che, quando la controversia trasferita in arbitrato pende in grado di appello, il procedimento dinanzi agli arbitri debba concludersi entro termini molto più brevi rispetto a quelli stabiliti dall'art. 820 c.p.c., ossia 120 giorni decorrenti dall'accettazione della nomina da parte del collegio arbitrale, ferma la possibilità, prima del decorso del termine, di richiederne una proroga per un termine massimo di ulteriori trenta giorni.

Se entro il termine originariamente contemplato o prorogato non viene emesso il lodo, le parti possono, entro 60 giorni dalla scadenza, riassumere la causa in sede giudiziaria ed, in mancanza, il processo sarà estinto con gli effetti di cui all'art. 338 c.p.c., ossia il passaggio in giudicato della pronuncia oggetto di gravame.

Riferimenti
  • Bove, Sul cd. arbitrato forense, in Nuove leggi civ. comm., 2015, n. 2, p. 205;
  • Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile: mini-riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si confida su altri e più utili versanti) sul serio, in Giustiziacivile.com;
  • Chiarloni, Minime riflessioni critiche su trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, n. 1, p. 221;
  • Dalmotto, L'arbitrato deflattivo dei processi pendenti e la classe forense, in Giur. it., 2015, n. 5, p. 1257;
  • Di Salvo, Trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria, in La nuova riforma del processo civile a cura di Santangeli, Roma 2014, p. 3 ss.; Giordano, Arbitrato deflattivo, in (Vaccari-Masoni), Arbitrato deflattivo, negoziazione assistita e mediazione, Milano 2016, p. 3 ss.;
  • Navarrini, Riflessioni a prima lettura sul nuovo «arbitrato deflattivo» (Art. 1, d.l. 12 settembre 2014, n. 132), in www.judicium.it;
  • Romano A.A., Il trasferimento dinanzi ad arbitri delle cause civili pendenti ex art. 1 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, in Riv. dir. proc., 2015, n. 2, p. 474;
  • Trapuzzano-Giordano, La riforma del processo civile, Milano 2015, p. 1 ss.;
  • Valerini, Il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria, in Processo civile efficiente e riduzione dell'arretrato a cura di Luiso, Torino 2014, p. 1 ss.;
  • Zucconi Galli Fonseca, L'arbitrato lite pendente, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, n. 1, p. 233.