Sindacabilità della stazione appaltante sulla scelta del CCNL da applicare nell'appalto
28 Gennaio 2021
Massima
Nell'ipotesi di “cambio appalto” deve escludersi che una clausola sociale possa consentire alla stazione appaltante di imporre agli operatori economici l'applicazione di un dato contratto collettivo ai lavoratori e dipendenti da assorbire.
L'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto.
Le stesse clausole dei contratti collettivi che disciplinano il “cambio appalto” con l'obbligo del mantenimento dell'assetto occupazionale e delle medesime condizioni contrattuali ed economiche vincolano l'operatore economico, non già in qualità di aggiudicatario della gara, ma solo se imprenditore appartenente ad associazione datoriale firmataria del contratto collettivo; soltanto a queste condizioni la clausola, frutto dell'autonomia collettiva, ove più stringente, prevale anche, sulla clausola contenuta nel bando di gara. Il caso
L' appellante, gestore del servizio di portierato nelle strutture di una università, impugnava il bando relativo alla procedura di gara europea indetta dall'università per l'affidamento dell'appalto del servizio di portierato, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
L'illegittimità del bando degli atti impugnati veniva censurata sotto una pluralità di profili:
1) gli atti di gara, in sede di determinazione dell'importo dell'appalto, avrebbero erroneamente preso a riferimento il costo orario medio del personale inquadrato nel II Livello del CCNL di riferimento, senza considerare che il personale da riassorbire, adibito alla commessa da oltre venti anni, dei quali quindici alle dipendenze dell'appellante, sarebbe invece per gran parte inquadrato nel III Livello del medesimo CCNL con relativi maggiori costi e oneri; 2) la disciplina di gara non avrebbe specificato elementi fondamentali ed essenziali concorrenti ad integrare le condizioni economiche e normative di detto personale (qualifica; percentuale di part-time; tipo di retribuzione; anzianità di settore; premi mensili derivanti da accordi sindacali di 2° livello; presenza di fondo assistenza integrativa), la cui assenza non solo inciderebbe sulla corretta determinazione del costo del lavoro compreso nell'importo a base di gara, ma renderebbe anche non comparabili tra loro le offerte economiche dei concorrenti, potendo ciascun partecipante alla gara prescindere in tutto o in parte da detti elementi, a differenza dell'appellante che, quale appaltatore uscente e attuale datore di lavoro del predetto personale, non potrebbe unilateralmente modificarli; 3) sarebbe stato impossibile determinare in modo certo e attendibile il costo della manodopera, in ragione della mancata indicazione del CCNL di riferimento ‒ ovvero il contratto collettivo applicato da oltre un ventennio al personale in questione e per di più unico contratto collettivo applicabile per attinenza merceologica e teleologica, oltre che per maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie ‒, nonché in ragione dell'assenza di una clausola di salvaguardia del trattamento retributivo e normativo del personale; 4) l'azione amministrativa sarebbe contraddittoria sul piano, sia intrinseco (avuto riguardo alla disciplina delle precedenti procedure di affidamento indette dall'università), sia estrinseco (considerate le gare per l'affidamento del servizio pubblico di portierato indette nel 2019 da altre Amministrazioni della Regione), non avendo l'impugnata lex specialis obbligato i concorrenti quanto meno a mantenere le medesime condizioni normative e retributive praticate dall'appellante al personale attualmente impiegato nella commessa; 5) il metodo di attribuzione dei punteggi alle offerte economiche sarebbe illegittimo, in quanto la formula matematica attribuirebbe sempre e comunque il punteggio pari a 0 al ribasso meno elevato, il quale non potrebbe che essere quello dell'appellante in ragione dei vincoli giuslavoristici sopra menzionati.
Il giudice di prime cure dichiarava il ricorso inammissibile.
La società propone appello, riproponendo le censure sollevate già in primo grado; l'università si costituisce in giudizio, insistendo per il rigetto del gravame. La questione
Il caso in esame affronta il tema della possibilità per la stazione appaltante di imporre la scelta del CCNL da applicare nell'appalto. Si tratta dunque di vagliare i limiti della discrezionalità amministrativa in ordine alle clausole dei bandi di gara concernenti l'applicazione di un determinato contratto collettivo.
In via preliminare il Consiglio di Stato richiama un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., Ad. Pl., n. 4/2018; sez. V, nn. 5789/2019, 5057/2019, 1736/2019), secondo cui il carattere immediatamente escludente ai fini della immediata impugnazione va individuato: a) nelle clausole impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione; b) nelle regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. St., Ad. Pl., n. 3/2011); c) nelle disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara oppure prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (Cons. St., sez. V, n. 980/2003); d) nelle condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e non conveniente (Cons. St., sez. III, n. 293/2015); e) nelle clausole impositive di obblighi contra ius; f) nei bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta oppure che presentino formule matematiche del tutto errate; g) negli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso (Cons. St., sez. III, n. 5421/2011).
Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha precisato (Cons. St., sez. III, n. 1331/2019) che tra le clausole da considerare immediatamente escludenti rientrano anche quelle che prevedono un importo a base d'asta insufficiente alla copertura dei costi, inidoneo cioè ad assicurare ad un'impresa un sia pur minimo margine di utilità o addirittura tale da imporre l'esecuzione della stessa in perdita (ciò poiché l'amministrazione deve contemperare l'interesse all'ottenimento della prestazione alle condizioni più favorevoli con l'esigenza di garantire l'utilità effettiva del confronto concorrenziale. Inoltre, il carattere escludente di una siffatta clausola deve essere verificato e apprezzato in concreto, cioè anche in relazione allo specifico punto di vista dell'impresa e della sua specifica organizzazione imprenditoriale (Cons. St., sez. III, n. 513/2019).
In particolare, nel caso di specie, l'appellante lamenta l'impossibilità di presentare un'offerta competitiva e di non avere concrete chances di aggiudicazione in considerazione del fatto che, nel bando, non era stata richiesta l'applicazione obbligatoria del CCNL che la società ricorrente, gestore uscente del servizio, applicava (e avrebbe dovuto continuare ad applicare) ai propri dipendenti; aggiungendo che il costo della mano d'opera, componente del prezzo posto a base della gara nella misura dell'85%, è stato determinato con riferimento al costo orario previsto per i dipendenti di II livello del CCNL di riferimento mentre la maggior parte dei propri dipendenti impiegati nel servizio è inquadrato nel III livello.
Il Consiglio di Stato ritiene le censure infondate, in quanto le clausole del bando impugnate non impongono oneri, né eccessivamente onerosi, né irragionevoli, né discriminatori nei confronti del gestore uscente.
In particolare, con riguardo al costo del lavoro, quale componente dell'offerta economica, il Consiglio di Stato rimarca che ‒ come si desume dagli artt. 23, comma 16, 30, comma 4, e 97, commi 5 e 6, lettera d, del D.lgs. n. 50/2016 ‒, mentre il rispetto delle norme a tutela dei livelli retributivi dei lavoratori costituisce per gli operatori economici un vincolo inderogabile, la determinazione tabellare del costo del lavoro costituisce per la stazione appaltante soltanto un indice valutativo del giudizio di adeguatezza economica (Cons. St., sez. V, nn. 1097/2019, 1099/2019, 690/2019, 6689/2018, 4785/2018).
Per quanto attiene alle ore mediamente lavorate, considerate per la determinazione tabellare del costo medio orario, le stesse scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali le ore annue non lavorate, le quali sono in parte predeterminabili in misura fissa (ferie, riduzioni di orario contrattuale, festività e festività soppresse), in altra parte sono suscettibili di variazione caso per caso (assemblee, permessi sindacali, diritto allo studio, formazione professionale, malattia, gravidanza, e infortunio). Inoltre, sulla misura del costo orario incidono anche le eventuali agevolazioni di cui può godere il datore di lavoro in considerazione della natura giuridica dell'azienda e delle tipologie contrattuali utilizzate (contratti di formazione, assunzioni di lavoratori disoccupati a vario titolo, assunzioni di giovani).
Ne consegue che l'elemento costituito dal costo del lavoro risulta composito e non va considerato atomisticamente e rigidamente, bensì valutato nel complesso dell'organizzazione imprenditoriale, specie per imprese di notevoli dimensioni ed ampia operatività che possono compensare gli oneri derivanti da un maggior costo del lavoro con offerte qualitativamente migliori e soluzioni organizzative appropriate. In proposito, la giurisprudenza distingue tra “costo reale”, da un lato, costituito da quanto dovuto dal datore di lavoro per il singolo lavoratore quale sia il numero di ore effettivamente lavorate e “costo della specifica commessa”, dall'altro, il quale, per svariate ragioni, può essere inferiore al “costo totale reale”, vale a dire alla somma del costo reale di ogni singolo lavoratore (Cons. St., sez. V, nn. 5700/2017, 5939/2017).
Ciò posto, mette conto evidenziare che l'operatore economico può sempre, mediante l'organizzazione della sua impresa, realizzare economie di scala (Cons. St., sez. V, n. 2951/2018) che rendono il costo del lavoro offerto inferiore a quello di altro operatore, pur a parità di ore lavorate (essendo normale che il costo del lavoro non sia uguale per tutte le imprese che partecipano ad una procedura di gara, Cons. St., sez. V, n. 2844/2017; sez. III, n. 589/2016); si pensi anche al lavoro supplementare quale modalità di organizzazione del lavoro volta a consentire un legittimo risparmio di spesa (Cons. St., sez. VI, nn. 3244/2018, 8303/2019). Le soluzioni giuridiche
Il Consiglio di Stato richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “l'applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione né la mancata applicazione di questo può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l'esclusione, sicché deve negarsi in radice che l'applicazione di un determinato contratto collettivo anziché di un altro possa determinare, in sé, l'inammissibilità dell'offerta” (Cons. St., sez. III, nn. 975/2017, 5597/2015). Si tratta di un assunto che vale anche in relazione alla valutazione di anomalia dell'offerta (Cons. St., sez. V, nn. 932/2017, 1901/2016).
Dunque, non rientra nella discrezionalità dell'amministrazione appaltante imporre o esigere un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare (Cons. St., sez. V, nn. 4443/2018, 4109/2016).
Ciò posto, sembra opportuno ricordare che la libertà imprenditoriale non è assoluta, ma incontra il limite logico, ancor prima che giuridico in senso stretto, della necessaria coerenza tra il contratto che in concreto si intende applicare (ed in riferimento al quale si formula l'offerta di gara) e l'oggetto dell'appalto. La scelta del contratto collettivo di lavoro applicabile al personale dipendente, che diverge insanabilmente, per coerenza e adeguatezza, da quanto richiesto dalla stazione appaltante in relazione ai profili professionali ritenuti necessari, è idonea di per sé a determinare un'ipotesi di anomalia, riflettendosi sulla possibilità di formulare adeguate offerte sotto il profilo economico incoerenti o incompatibili essendo i profili professionali di riferimento.
Nel caso di specie, non era stato dimostrato che, in relazione al contenuto delle prestazioni oggetto di affidamento ed ai livelli professionali richiesti agli operatori, fosse applicabile un unico CCNL; essendo invece emerso che erano astrattamente applicabili, anche altre tipologie di CCNL (in cui peraltro figuravano costi orari del personale inferiori rispetto al contratto di riferimento).
In particolare, il Consiglio di Stato, dopo aver affermato che l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d'impresa e con la facoltà di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto (Cons. St., sez. V, nn. 3885/2019, 731/2018, 272/2018, 2433/2016; sez. III, nn. 750/2019, 726/2019, 142/2019, 5444/2018, 2078/2017, 1255/2016), esclude che una clausola sociale possa consentire alla stazione appaltante di imporre agli operatori economici l'applicazione di un dato contratto collettivo ai lavoratori e dipendenti da assorbire (Cons. St., sez. III, nn. 5444/2018, 5597/2015; sez. V, nn. 932/2017, 6148/2019).
Invero, le clausole del contratti collettivi che disciplinano il “cambio appalto” con l'obbligo del mantenimento dell'assetto occupazionale e delle medesime condizioni contrattuali ed economiche vincolano l'operatore economico, non già in qualità di aggiudicatario della gara, ma solo se imprenditore appartenente ad associazione datoriale firmataria del contratto collettivo; soltanto a queste condizioni la clausola, frutto dell'autonomia collettiva, ove più stringente, finisce col prevalere anche sulla clausola contenuta nel bando di gara. Osservazioni
La questione affrontata dalla pronuncia in commento trova riscontro anche alla luce delle norme del D.lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici).
Infatti, l'art. 30, comma 4, D.lgs. n. 50/2016 statuisce che al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il CCNL e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente. Ne consegue che tale previsione intende riferirsi al contratto che meglio regola le prestazioni rese dalla categoria dei lavoratori impiegati nell'espletamento del servizio, e non a quello imposto dai vincoli e alle clausole sociali inserite negli atti di gara.
Inoltre, merita osservare che ai sensi dell'art. 50, D.lgs. n. 50/2016 si richiede al bando di inserire, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, ma senza che ciò determini un irrigidimento o comporti una limitazione in ordine alla possibilità per l'amministrazione di adottare scelte organizzative differenti nel tempo, o con riferimento alla possibilità dell'imprenditore di organizzare al meglio la propria struttura produttiva. |