I costi della diversa attività individuale degli associati non possono essere imputati allo studio legale

28 Gennaio 2021

Nell'ordinanza n. 1290/21 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione cassa con rinvio la sentenza di gravame con la quale sono stati ritenuti legittimi gli avvisi di accertamento emessi per il periodo di imposta 2005 nei confronti di una associazione professionale (uno studio legale) e di ciascun professionista associato (due avvocati) sulla base delle risultanze degli studi di settore.

Nell'ordinanza n. 1290/21 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione cassa con rinvio la sentenza di gravame con la quale sono stati ritenuti legittimi gli avvisi di accertamento emessi per il periodo di imposta 2005 nei confronti di una associazione professionale (uno studio legale) e di ciascun professionista associato (due avvocati) sulla base delle risultanze degli studi di settore.

Così la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 1290/21, depositata il 22 gennaio.

Accogliendo le doglianze dei contribuenti, il Collegio rileva che la Commissione Tributaria Regionale ha omesso di pronunciarsi in merito al motivo di ricorso concernente l'applicazione retroattiva dello strumento standardizzato più recente: il Giudice di legittimità dà continuità al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l'applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile (così Cass., sez. unite civ., 18 dicembre 2009, n. 26635, in CED Cass., Rv. 610693; in senso conforme, Cass., sez. trib., 18 novembre 2015, n. 23554, ibidem, Rv. 637453).

La Suprema Corte rigetta invece il motivo di ricorso concernente la violazione dell'obbligo della c.d. “motivazione rafforzata” dell'atto impositivo in relazione alle risultanze del contraddittorio endoprocedimentale, ritenendo che, nel caso di specie, l'ufficio procedente abbia indicato le ragioni che l'hanno indotto a ritenere non persuasivi gli argomenti difensivi enunciati dai contribuenti in sede istruttoria con riferimento ai criteri di riparto delle spese tra l'ente e i due associati.

Di particolare interesse sono le ragioni che inducono il Collegio a rigettare l'ulteriore motivo di ricorso concernente l'inattendibilità delle risultanze degli studi di settore con riferimento alle specificità del caso concreto.


I contribuenti allegano che, nel caso di specie, l'associazione professionale sostiene la maggior parte dei costi di struttura (canoni di locazione, personale, utenze e ammortamento dei beni strumentali) e percepisce i compensi derivanti dall'esercizio di una specifica attività professionale (attività stragiudiziale di recupero crediti), mentre i due professionisti associati sostengono in proprio alcuni costi e percepiscono compensi in relazione a ulteriori attività svolte in forma individuale (attività giudiziale).


Preliminarmente la Corte di Cassazione ricorda che i redditi di una associazione professionale, determinati secondo il regime analitico di cui agli artt. 53 e 54 TUIR, vengono imputati agli associati per trasparenza ex art. 5 TUIR proporzionalmente alla propria quota di partecipazione agli utili, così come le perdite sono sottratte dal reddito di ciascun associato secondo il medesimo parametro di proporzionalità ex art. 8, comma 2, TUIR.


Il Collegio osserva che «dal punto di vista fiscale non è consentito imputare all'Associazione i costi dell'autonoma, diversa attività individuale del professionista», perché, «ove si verifichi una simile evenienza contabile, come è accaduto nel caso all'esame in cui i due professionisti hanno fatto dichiarare all'Associazione i “costi di struttura” (compresa la parte di essi che, invece, era imputabile alle rispettive attività professionali, autonome ed individuali, distinte dagli affari dello studio associato), si scinde, illegittimamente, la necessaria correlazione tra costi (effettivi e reali) e ricavi (del pari effettivi e reali), funzionale alla rappresentazione veritiera della situazione reddituale da una parte dell'Associazione professionale e dall'altra dei singoli soci/associati (i quali, nell'ottica tributaria, sono le due facce di una stessa realtà economica)».

La Suprema Corte ritiene che, «così come non è consentito attribuire allo studio legale costi ad esso estranei in quanto non correlati al reddito prodotto dai professionisti associati, del pari […] non è condivisibile la pretesa […] di apportare dei correttivi al risultato dell'applicazione dello studio di settore, considerando come “uno stesso unicum”, l'associazione (vale a dire i professionisti che vi partecipano, in relazione all'attività svolta in forma associata) e ciascuno dei legali, in relazione alla propria attività, svolta in forma individuale».

Fonte: Diritto e Giustizia

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