Avvocato a bocca asciutta se non dimostra l'effettivo svolgimento dell'incarico

Redazione scientifica
01 Febbraio 2021

Nel caso di azione giudiziale per il pagamento del compenso professionale spettante all'avvocato per l'attività giudiziale e stragiudiziale prestata, il legale deve offrire la duplice prova del conferimento dell'incarico e dell'effettivo svolgimento dell'attività per la quale egli pretende di essere pagato.

Così la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 1421/21 depositata il 22 gennaio.

Un avvocato chiedeva dinanzi al Tribunale la condanna dei convenuti al pagamento di oltre 19 mila euro a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali giudiziali e stragiudiziali prestate a loro favore. La domanda veniva rigettata, ma la decisione veniva parzialmente riformata in appello con la condanna degli appellati al pagamento della somma di circa 2 mila euro. La pronuncia è stata impugnata dinanzi alla Corte di cassazione.

Secondo il ricorrente, il giudice di merito avrebbe erroneamente applicato l'art. 7 del d.m. n. 392/1990 escludendo il suo diritto al compenso per l'intero giudizio di merito. In particolare, poichè i clienti avevano conferito mandato congiunto a due avvocati, entrambi avevano maturato il diritto al compenso per l'intero giudizio. La Corte di appello avrebbe pertanto errato nel limitare il diritto al compenso del ricorrente alla sola predisposizione del ricorso introduttivo.
La Corte di legittimità ritiene infondata la censura, avendo la pronuncia impugnata correttamente motivato la decisione in relazione alla mancata dimostrazione dello svolgimento dell'attività per cui l'istante richiedeva il pagamento, ad eccezione della predisposizione del ricorso introduttivo.
Il ricorrente sostiene, inoltre, che in presenza di un mandato conferito ad un difensore, si possa configurare una presunzione di riferibilità dell'intera attività difensiva espletata, ma la Corte precisa che «non v'è traccia di simile presunzione nell'ordinamento, essendo invece sempre onerato il professionista, in presenza di contestazione della parte assistita, di offrire la duplice prova del conferimento dell'incarico e dell'effettivo svolgimento dell'attività per la quale egli pretende di essere pagato».

Con il secondo motivo, l'avvocato ha censurato la sentenza della Corte territoriale per l'omessa liquidazione delle spese forfettarie sulla somma riconosciuta a titolo di compensi ai sensi dell'art. 2 del d.m. n. 55/2014. La censura risulta però inammissibile. Richiamando il testo normativo, la Corte di legittimità conferma l'interpretazione giurisprudenziale secondo cui la norma ha inteso individuare un criterio determinativo - del massimo aumento applicabile, ovvero dell'importo normale delle spese forfettarie da riconoscere all'avvocato - che, non necessitando di specifica motivazione, sia prestabilito ed automaticamente applicabile. Nel caso di specie risultano quindi dovute al ricorrente le spese forfettarie, nella misura del 15 % prevista come di regola dal d.m. n. 55/2014, anche a prescindere dalla specifica indicazione, tanto della loro debenza, che della loro percentuale, nel provvedimento impugnato.

Con il terzo motivo, il ricorrente ha censurato la pronuncia della Corte territoriale con riferimento alle spese del doppio grado di giudizio, poste per i tre quarti a suo carico e compensate per il restante quarto, nonostante l'esito complessivo della lite fosse stato, almeno in parte, a lui favorevole. La censura è fondata. Secondo la Cassazione il fatto che il ricorrente «si sia visto riconoscere, all'esito del doppio grado di giudizio, una somma pari a circa un nono di quella invocata ab origine, giustifica la compensazione delle spese, ma non l'accollo della parte preponderante di esse a carico della parte comunque risultata vittoriosa». Per questo motivo, decidendo la controversia nel merito, la Corte accoglie solo il terzo motivo del ricorso con compensazione integrale delle spese del doppio grado del giudizio di merito.

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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