Liquidazione dei compensi degli avvocati: si applica il rito ex art. 14 d.lgs. 150/2011 anche se è controverso l'an debeatur
03 Febbraio 2021
Massima
Il rito speciale di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 si applica a tutte le liti in cui si controverte dei compensi spettanti ai difensori, anche ove la domanda non abbia esclusivamente una finalità liquidatoria. Pertanto, qualora la domanda di liquidazione del compenso abbia ad oggetto un credito professionale rimasto inadempiuto, anche se fondato su un accordo con cui le parti abbiano quantificato il compenso o stabilito preventivamente i criteri di calcolo per la liquidazione, essa dovrà esser proposta o nelle forme del procedimento speciale ex art. 14 o in quelle del ricorso monitorio, restando preclusa per l'attore la possibilità di avvalersi del rito ordinario di cognizione o di quello sommario di cognizione di cui agli art. 702 bis e ss. c.p.c.
Qualora la richiesta di pagamento riguardi compensi maturati in più gradi di giudizio, il difensore deve obbligatoriamente proporre un'unica domanda dinanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della causa in cui sia stato svolto il patrocinio, essendo tale giudice l'unico in grado di apprezzare complessivamente le prestazioni svolte e di riconoscere al difensore il giusto compenso, a meno che non risulti in capo al creditore un interesse, oggettivamente valutabile, alla tutela frazionata del credito. Il caso
Un avvocato adiva il Tribunale di Catanzaro per la condanna di una società al pagamento dei compensi professionali per l'attività di difesa svolta dinanzi al Tribunale e alla Corte d'appello di Napoli. Il giudice adìto dichiarava la propria incompetenza indicando quali giudici tenuti a decidere la causa nel merito il Tribunale e la Corte d'appello di Napoli, in quanto uffici giudiziari ove l'avvocato aveva svolto la sua prestazione professionale, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011. L'ordinanza veniva impugnata con regolamento di competenza, deducendosi a fondamento del ricorso ex art. 42 c.p.c. che, avendo le parti con apposita convenzione già determinato quanto dovuto, la domanda proposta dal legale era meramente volta a dare esecuzione al contratto professionale, per cui il processo avrebbe dovuto svolgersi secondo il rito ordinario ed essere attribuito alla competenza del tribunale monocratico del luogo di residenza del creditore, non essendo invocabili al caso di specie le regole speciali del rito sommario di cognizione c.d. obbligatorio di cui al d.lgs. n. 150/2011. La questione
Viene così sottoposta alla Cassazione la questione concernente la definizione dell'ambito di applicazione del procedimento speciale ex art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, se cioè si possa ricorrere a tale rito solo per le cause che riguardino il quantum del compenso richiesto o se invece sia necessario ricorrere a siffatto rito anche laddove sia in discussione l'an della pretesa. Le soluzioni giuridiche
Per la Suprema Corte il rito speciale di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 si applica a «tutte le liti in cui si controverte dei compensi spettanti ai difensori, anche ove la domanda non abbia esclusivamente una finalità liquidatoria». Da tale premessa trae le seguenti conclusioni: in primo luogo, la domanda del difensore va in ogni caso proposta nelle forme del rito sommario di cognizione c.d. necessario di cui all'art. 14 cit. (o in quelle del procedimento monitorio) anche se vi è un accordo con cui le parti abbiano quantificato il compenso o stabilito preventivamente i criteri di calcolo per la liquidazione, senza che la parte possa in via alternativa introdurre la causa nelle forme del ordinario di cognizione o di quello sommario codicistico di cui all'art. 702-bis e ss. c.p.c.; secondariamente, la causa va in ogni caso attribuita alla competenza del tribunale in composizione collegiale, in virtù dell'espresso dettato normativo contenuto nel comma dell'art. 14, precisandosi che qualora, come accaduto nel caso portato all'attenzione della Suprema Corte, la richiesta di pagamento riguardi compensi maturati in più gradi di giudizio, il difensore deve «obbligatoriamente proporre un'unica domanda dinanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della causa in cui sia stato svolto il patrocinio, essendo tale giudice l'unico in grado di apprezzare complessivamente le prestazioni svolte e di riconoscere al difensore il giusto compenso», a meno che non risulti in capo al creditore un interesse, oggettivamente valutabile, alla tutela processuale frazionata del credito. Osservazioni
Con la decisione che qui si commenta la Cassazione non solo ribadisce i recenti arresti posti dal Supremo Consesso in materia, ma si spinge anche oltre, giungendo ad affermare esplicitamente e senza alcuna limitazione l'estensione del rito sommario speciale alle controversie sull'an debeatur. Ponendosi idealmente in continuità (più che con Cass. civ., sez. un., n. 4485/2018) con il precedente rappresentato da Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 4002, la Suprema Corte afferma esplicitamente che il rito sommario «necessario» di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 è applicabile ad ogni controversia concernente il pagamento delle competenze maturate in favore del difensore nell'ambito delle controversie civili. La decisione è sicuramente da apprezzare e da condividere. Come afferma esplicitamente la decisione, l'ambito del suddetto procedimento va definito valorizzando l'esplicita riconduzione ad opera dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 delle controversie attinenti al compenso del difensore per prestazioni giudiziali civili non solo al rito sommario di cognizione ma anche all'opposizione ex art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, in relazione al quale il legislatore omette qualsiasi riferimento alla nozione di «liquidazione», con ciò ammettendo la possibilità della proposizione di un ricorso monitorio volto ad ottenere il soddisfacimento di una «pretesa creditoria sic et simpliciter e non di una domanda monitoria soltanto 'liquidatoria'». A ciò può aggiungersi più in generale che il procedimento di liquidazione degli onorari nasce proprio allo scopo di garantire al professionista la possibilità di avvalersi di uno strumento celere e rapido, avente la precipua finalità di evitare, a tutela della dignità della professione forense, che in un rapporto accessorio del processo, qual è quello relativo alle spese processuali, «potessero patrono e cliente esser tentati per spirito di rappresaglia (specie in caso di sconfitta della lite) di trascinare un'incresciosa contestazione per tutti i gradi della giurisdizione» (Cass. civ., 21 febbraio 1948, n. 273; sulle origini storiche dell'istituto sia consentito rinviare a Metafora, op. cit., pp. 39 ss.). Se, dunque, come ricordato anche dalle Sezioni unite, la ratio sottesa alla scelta legislativa dell'introduzione del rito speciale per le controversie introdotte dagli avvocati era quella di garantire al professionista un mezzo rapido per ottenere le sue spettanze, allora, è lecito pensare che non si possa limitare la procedura speciale di «liquidazione» dei compensi alla sola discussione sui criteri e sulla misura degli onorari all'avvocato, perché ciò finirebbe coll'essere contrario allo spirito della legge; peraltro, come giustamente osservato in dottrina, non si può «arbitrariamente limitare la speciale procedura a sole determinate ipotesi, una volta che il legislatore non le ha espressamente individuate» (Deluca, op. cit., p. 832). Accanto a tali rilievi, possono poi aggiungersi ulteriori considerazioni. In primo luogo, la stretta correlazione tra la pura quantificazione dell'importo e la causa giustificativa dello stesso trova conferma nelle incertezze della giurisprudenza più risalente sulla identificazione dei confini della c.d. «liquidazione» (si veda per una più compiuta descrizione del fenomeno a Metafora, op. cit., pp. 72 ss.).
In altre parole, la distinzione tra liquidazione e accertamento è tanto chiara in teoria, quanto opaca nella sua applicazione pratica; appare dunque lodevole e condivisibile l'opzione interpretativa compiuta dalle Sezioni unite con la sentenza n. 4485/2018 e ribadita dalla decisione in commento. Soprattutto, il carattere, ormai indiscusso, di procedimento semplificato sì, ma pur sempre a cognizione piena del rito sommario di cui all'art. 14 (e prima ancora di quello c.d. codicistico ex art. 702-bis e ss. c.p.c.) spinge verso un ampliamento del suo ambito di applicazione, essendo ormai opinione comune in dottrina ed in giurisprudenza che il rito sommario di cognizione rappresenta un giudizio dalle forme processuali semplificate e rimesse alla discrezionalità del giudice nella fase successiva a quella introduttiva, ma pur sempre a cognizione piena (ossia tendente all'accertamento pieno e con efficacia di giudicato dei diritti dedotti in giudizio) e come tale rientrante a pieno titolo nella tutela dichiarativa dei diritti; se, dunque, la sommarietà viene intesa solo quale attributo delle forme processuali e non della cognizione in sé, può senza alcun tema di smentita affermarsi che il procedimento sommario è utilizzabile per ogni tipologia di domanda. Ora, è vero che il modello sommario delineato dall'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 non ricalca in tutto e per tutto la disciplina prevista per il rito di estrazione codicistica: l'attore non può scegliere se utilizzare il sommario oppure un altro rito, giacché legislatore ha preventivamente stabilito che le controversie ad esso ricondotte devono essere trattate attraverso questo procedimento. Inoltre, il giudice non può disporre la conversione del rito in ordinario: il modello sommario assume una struttura rigida, essendo frutto della valutazione della semplicità della lite effettuata a priori dal legislatore. Infine, è esclusa l'applicazione dell'art. 702-quater c.p.c., poiché «l'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile» (art. 14 comma 4). Sennonché, le deviazioni appena segnalate non paiono tuttavia essere tali da rendere il modello di processo così risultante irrispettoso delle condizioni minime che in base all'art. 111 comma 2 Cost. comma si intendono necessarie e sufficienti perché il processo possa essere qualificato come «giusto». Difatti, con riguardo al procedimento di liquidazione degli onorari dei professionisti legali può essere senz'altro ripetuto quanto affermato riguardo al processo sommario di cognizione e cioè che esso, oltre ad essere dettagliatamente disciplinato quanto ai poteri del giudice e delle parti non solo nella fase introduttiva ma anche nella fase di trattazione, è in grado di assicurare lo svolgimento di una un'istruttoria, sì semplificata, ma nella sostanza completa ed esauriente, idonea dunque a garantire a ciascuna parte il pieno dispiegamento dei poteri in punto di allegazione e di prova. La pienezza della cognizione e per tale via l'attuazione dei principi del contraddittorio e di difesa, allora, «rappresentano una sorta di effettivo contrappeso al fatto che il modello procedimentale del rito sommario c.d. «esclusivo» sia privo del meccanismo di conversione in rito ordinario e, del secondo grado di merito in appello» (Martino, op. cit., p. 937). Ancora, ulteriore argomento non esplicitato dalla decisione, ma che traspare dalla lettera dell'art. 14 cit. e dai lavori preparatori al d.lgs. n. 150/2011, è rappresentato dalla circostanza per cui la tipologia del rito applicabile alle controversie in questione è il frutto di una decisione sovraordinata e predeterminata senza possibilità di scelte discrezionali della parte o del giudice. Il legislatore avrebbe, cioè, deciso una volta per tutte, con verifica astratta e irrevocabile la compatibilità della singola lite, nei casi espressamente indicati, con le forme semplificate del rito. Pare allora che non sussistano più ostacoli (invero in precedenza ravvisati dalle Sezioni Unite con la più volte citata sentenza n. 4485/2018) ad ammettere l'estensione del rito speciale anche alle controversie tra patrono e cliente in cui si ponga in discussione l'an della pretesa e ciò anche alla luce dell'orientamento di recente affermato (Cass., sez. un., 19 febbraio 2020, n. 4247) e ribadito anche dalla decisione in commento, a mente del quale laddove l'avvocato abbia scelto di agire per la condanna al pagamento dei compensi nei confronti del proprio cliente, proponendo l'azione prevista dall'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 per ottenere la liquidazione degli onorari relativi all'opera prestata in più gradi e/o fasi del giudizio, la competenza è dell'ufficio giudiziario di merito che per ultimo ha deciso la causa. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 23 settembre 2020, n. 19906), tale conclusione è obbligata in considerazione dell'«orientamento già formatosi nel vigore della speciale procedura di cui all'art. 28 della l. n. 794/1942 che, in base alla valorizzazione dell'uso della forma verbale «deve» presente nell'art. 28 dell'epoca – è pervenuto a configurare come funzionale ed inderogabile la competenza del Capo dell'ufficio giudiziario adito per i vari gradi o le varie fasi del processo». Può allora affermarsi che l'attribuzione della competenza a decidere delle eventuali controversie tra patrono e cliente in capo all'ufficio giudiziario adìto per il processo (in cui è sorto il rapporto accessorio relativo agli onorari per l'opera professionale), unitamente alla piena idoneità del procedimento, pur semplice e rapido, a risolvere tutte le liti che possono insorgere fra loro, costituiscano argomenti più che sufficienti per affermare che l'art. 14 può essere interpretato estensivamente. Può in sostanza affermarsi che il legislatore, nell'attribuire il potere di decidere le controversie in materia di liquidazione degli onorari al giudice che ha trattato la causa da cui essi hanno tratto origine, abbia configurato un vero e proprio criterio di competenza per materia, quella relativa alla liquidazione degli onorari, che resterebbe assoggettata senz'altro, indipendentemente dalle contestazioni svolte soggetto che agisce, al rito speciale ivi disciplinato e alla relativa competenza. Riferimenti
|