Somministrazione irregolare: autonomia del rapporto di lavoro con l'utilizzatore ed applicazione analogica dell'art. 2112, comma 3, c.c.

08 Febbraio 2021

Accertata giudizialmente l'irregolarità della somministrazione, il rapporto costituito tra il lavoratore e l'utilizzatore è regolato dalla disciplina legale e collettiva applicata presso quest'ultimo. L'estensione del trattamento retributivo e normativo adottato dall'agenzia interinale è possibile solo per il periodo di tempo in cui ha avuto esecuzione il contratto commerciale, non anche per quello successivo alla sentenza.
Massima

Accertata giudizialmente l'irregolarità della somministrazione, il rapporto costituito tra il lavoratore e l'utilizzatore è regolato dalla disciplina legale e collettiva applicata presso quest'ultimo.

L'estensione del trattamento retributivo e normativo adottato dall'agenzia interinale è possibile solo per il periodo di tempo in cui ha avuto esecuzione il contratto commerciale, non anche per quello successivo alla sentenza.

Il caso

Il lavoratore agiva in giudizio affinché venisse dichiarata l'illegittimità del contratto di somministrazione e la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell'utilizzatore.

Accolto il ricorso, il lavoratore agiva nuovamente affinché la retribuzione allo stesso dovuta fosse parametrata a quella applicata presso l'agenzia di somministrazione. La domanda veniva respinta in primo grado ma accolta in appello. Secondo il giudice del gravame la sostituzione di diritto del datore avrebbe dovuto comportare la conservazione degli altri elementi contrattuali, ivi compreso il trattamento retributivo.

L'utilizzatore, pertanto, doveva ritenersi obbligato a corrispondere il trattamento retributivo già applicato dal somministratore. Avverso tale decisione proponeva ricorso l'impresa utilizzatrice.

La questione

Costituito giudizialmente il rapporto tra lavoratore ed impresa utilizzatrice, quest'ultima è tenuta ad applicare il trattamento retributivo riconosciuto al lavoratore dall'agenzia interinale o l'operatività della precedente disciplina negoziale è limitata al periodo di durata della somministrazione?

La soluzione giuridica

La Corte ha innanzitutto richiamato l'art. 12 disp. prel. c.c. in forza del quale, nell'applicare la legge, non si può ad essa attribuire un significato diverso da quello fatto palese, secondo il criterio della interpretazione letterale e teleologica. L'interprete non può comunque assegnare alle parole un senso diverso da quello che, letteralmente e dal contesto della legge stessa, risulta corrispondere alla finalità perseguita dal legislatore. Muovendo da tali premesse, la Corte ha ritenuto fondato il ricorso.

L'art.27 d.lgs. n. 276/2003 prevede che, qualora la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni fissate dalla legge, il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore, con effetto dall'inizio della somministrazione. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.

La Corte ha evidenziato che, sebbene il legislatore abbia voluto sanzionare le ipotesi di illegittimo ricorso al lavoro in somministrazione, l'estensione all'utilizzatore degli atti di gestione del rapporto compiuti dall'agenzia di somministrazione deve limitarsi al periodo durante il quale ha avuto esecuzione il contratto commerciale. Venuto meno il rapporto trilaterale per effetto dell'accertata irregolarità della somministrazione, l'utilizzatore è libero di gestire il rapporto – autonomo e diverso da quello precedente funzionale alla somministrazione - secondo le regole applicate della propria organizzazione aziendale. Diversamente opinando il trattamento economico e normativo applicato da parte del somministratore dovrebbe permanere anche successivamente all'inserimento del lavoratore in una diversa realtà imprenditoriale, a prescindere da eventuali mutamenti nell'esecuzione della prestazione.

Conferma di tale posizione ermeneutica è individuata nell'art. 2112 comma 3 c.c. ove il “contratto collettivo applicabile” è quello adottato dal cessionario al momento del trasferimento, con immediata sostituzione della disciplina collettiva vigente presso il cedente, anche laddove risulti peggiorativa. L'originario contratto collettivo potrebbe invece continuare ad essere applicato solo nel caso in cui presso l'acquirente dell'azienda i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva. In questo modo, ha evidenziato la Corte, si realizza un equo contemperamento fra il principio di libertà di impresa (art. 41 Cost.) e il diritto del lavoratore a conseguire un giusto trattamento normativo e retributivo (artt. 4 e 36 Cost.).

Osservazioni

La fattispecie di trasferimento di azienda di cui all'art. 2112 c.c. evidenzia il carattere di sostanziale fungibilità della posizione soggettiva datoriale: il trasferimento determina, infatti, la sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità del rapporto di lavoro.

L'effetto sostitutivo si verifica ope legis, a prescindere dal consenso dell'altro contraente (rectius il lavoratore) e indipendentemente da una comparazione delle discipline negoziali in vigore presso il cedente ed il cessionario. Al lavoratore ceduto verranno applicati i trattamenti economici e normativi cui sono soggetti i dipendenti dell'acquirente dell'azienda, anche nel caso in cui questi siano meno favorevoli rispetto a quelli goduti precedentemente. L'art. 2112 c.c. garantisce il ceduto nel caso di modifica in senso peggiorativo mediante la possibilità di recedere dal contratto, con addebito in capo al datore ex art. 2119 c.c.

Sulla individuazione del contratto collettivo da applicare ai dipendenti trasferiti la dottrina ha assunto diverse posizioni:

- alcuni sostengono l'immediata applicazione della disciplina negoziale vigente presso il cessionario, fatta salva la sola ipotesi in cui presso lo stesso non sia applicabile alcun contratto collettivo. Il legislatore avrebbe pertanto privilegiato l'omogeneità della regolamentazione contrattuale, escludendo l'applicazione di trattamenti collettivi differenziati tra lavoratori trasferiti e quelli già dipendenti dell'acquirente. Tale interpretazione sarebbe compatibile anche con la direttiva n. 23/2001, come interpretata dalla CdgUE e non troverebbe un ostacolo nel divieto di deroga in peius del contratto collettivo previgente, estendendosi a tali ipotesi la giurisprudenza in tema di successione nel tempo dei regimi contrattuali: il contratto superveniens può derogare quello precedente, senza tuttavia incidere sui diritti che il lavoratore ha già acquisito al suo patrimonio;

- altri, facendo leva sull'espressione “contratti applicabili” presso il cessionario, ritengono che debba farsi riferimento alla disciplina che entrerà a regime per effetto del normale meccanismo di rinnovo contrattuale, ovvero ad altri contratti collettivi finalizzati ad armonizzare le differenze esistenti tra le diverse discipline applicate dal cedente e dal cessionario;

- a quest'ultima tesi si affianca quella del c.d. contratto di ingresso, ossia di un accordo raggiunto con le rappresentanze sindacali circa il trattamento normativo ed economico da attribuire al personale ceduto. In caso di mancato raggiungimento di un accordo, il contratto collettivo previgente produrrebbe effetti fino alla sua naturale scadenza. Limite evidente di tale orientamento è la non validità erga omnes del contratto di ingresso, potendo esso essere valido solo nei confronti dei lavoratori ceduti appartenenti alle oo.ss. coinvolte nell'accordo. Ne deriverebbe il rischio di applicazione, medio tempore, di una pluralità di contratti collettivi.

La giurisprudenza di legittimità ha già in passato aderito al primo degli orientamenti sopra esposti, affermando che solo nel caso in cui il cessionario non applichi alcun contratto collettivo può trovare applicazione la disciplina negoziale vigente presso il cedente, indipendentemente dall'attività svolta dall'acquirente dell'azienda. Diversamente la sostituzione deve ritenersi immediata e totale, potendo il trattamento normativo ed economico del lavoratore ceduto risultare anche meno favorevole per lo stesso, essendo ciò ammesso in generale in materia di successione temporale di contratti collettivi.

Una diversa interpretazione, ha evidenziato la Corte, finirebbe per introdurre una cristallizzazione della regolamentazione collettiva, imponendo al cessionario l'onere di applicare, contemporaneamente, due diverse discipline negoziali, una sola delle quali insuscettibile di un mutamento in peius.

La previsione da parte dell'art. 2112 c.c. della conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto di lavoro con il cedente avrebbe una finalità conservativa limitatamente ai crediti già maturati dal lavoratore, anche con riferimento ai livelli economici già raggiunti dallo stesso (anzianità conseguita presso l'impresa cedente e trattamento economico e di carriera non inferiore a quello dei lavoratori, con pari anzianità, operanti presso l'impresa cessionaria). La normativa infatti non prevede che la sostituzione della contrattazione avvenga retroattivamente.

Alla luce di quanto sopra il legislatore sembra aver attribuito maggior rilievo all'interesse del cessionario all'applicazione di trattamenti uniformi ai propri dipendenti piuttosto che a quello del lavoratore a non essere in alcun modo pregiudicato dalla vicenda traslativa del complesso aziendale, riconoscendo allo stesso la (sola) garanzia di un recesso entro un certo arco temporale.

La sentenza in commento ha esteso ex art. 12 disp. prel. c.c. l'orientamento formatosi in materia di trasferimento di azienda anche all'ipotesi di accertata irregolarità di un contratto di somministrazione, con costituzione – in forza della pronuncia giudiziale – di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore.

La posizione espressa dalla Corte deve essere letta considerando congiuntamente l'art. 41 Cost. e la normativa comunitaria, i.e. la direttiva n. 23/2001.

La "funzionalizzazione" dell'attività di impresa al perseguimento dell'”utilità sociale" impone all'interprete di tenere conto del mutare delle condizioni socio-economiche e dell'evoluzione della normativa in materia anche alla luce dell'ordinamento dell'UE, individuando quello che tra i due contrapposti diritti a copertura costituzionale -in relazione alla fattispecie da scrutinare – debba essere privilegiato (“principio di gerarchia mobile”). In merito alla libertà di iniziativa economica privata la Corte di giustizia UE, nel caso Asklepios (cause riunite C-680/15 e C-681/15, sent. del 27 aprile 2017) ha evidenziato come, nella fattispecie di trasferimento d'azienda, la direttiva n. 23/2001 (art. 3 par. 3) non mira unicamente a salvaguardare gli interessi dei lavoratori, ma intende assicurare un giusto equilibrio tra gli interessi di questi ultimi e quelli del cessionario il quale deve essere in grado di procedere, successivamente alla data del trasferimento, agli adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività.

Più nello specifico l'articolo 3 della sopracitata direttiva, letto alla luce della libertà di iniziativa economica, richiede che il cessionario abbia la possibilità di far valere efficacemente i propri interessi in un iter contrattuale al quale partecipa, negoziando gli elementi afferenti le condizioni di lavoro dei propri dipendenti in relazione all'attività svolta (Corte giust. UE, 18 luglioo 2013, Alemo-Herron e a., C‑426/11).

Tali considerazioni vengono estese alla fattispecie oggetto della sentenza in commento: la Corte, infatti, ha sottolineato come, venuta meno la struttura trilaterale del contratto commerciale per effetto dell'accertata irregolarità della somministrazione, l'utilizzatore è libero di gestire il rapporto di lavoro in autonomia (art. 38, comma 3, d.lgs. n. 81/2015 – art. 27, comma 2 d.lgs. n. 273/2006). Diversamente opinando il trattamento economico e normativo applicato da parte del somministratore risulterebbe intangibile e, de facto, imposto nell'ambito di una distinta organizzazione imprenditoriale, a prescindere da qualsivoglia mutamento nell'esecuzione della prestazione. Venuto meno il contratto commerciale, la costituzione di un rapporto di lavoro con l'utilizzatore determina– anche alla luce della giurisprudenza europea sopra richiamata - l'applicazione della disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro, pena una ingiustificata restrizione della libertà di iniziativa economica, tutelata anche a livello sovranazionale.

Per approfondire:

M. La Terza, Art. 2112, in Diritto del lavoro: La Costituzione, il Codice civile e le leggi speciali, (a cura di) G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, L. Fiorillo, Giuffrè Editore, 2017, pp. 1001 ss.;

G. Braico, I diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa nella sentenza della Corte di giustizia, in Lav. giur., 2017, fasc. 7, pp. 712 ss.;

E. Bavasso, Sostituzione automatica della contrattazione collettiva del cessionario e usi aziendali, in Lav. giur., 2010, fasc. 8, pp. 785 ss.;

R. Romei, Il campo di applicazione della disciplina sul trasferimento di azienda, in Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema della l. 14 febbraio 2003, n. 30 al d.lgs 10 settembre 2003, n. 276, ESI, Napoli, 2004, pp. 582 ss.;

A. Maresca, Le “novità” del legislatore nazionale in materia di trasferimento d'azienda, in ADL, 2001, pp. 587 ss.;

R. Romei, Il rapporto di lavoro nel trasferimento d'azienda, Giuffrè Editore, Milano, 1993.