Chiamata per ordine del giudice ed estensione della domanda
10 Febbraio 2021
La questione presuppone la corretta qualificazione della norma in commento. Si ritiene, infatti, che la chiamata per ordine del giudice determini una forma di litisconsorzio meramente processuale (in analogia alla chiamata su istanza di parte prevista dall'art. 106 c.p.c.). Essa può, quindi, essere disposta, a differenza da quanto disciplinato dall'art. 102 c.p.c., sulla base di un giudizio di mera opportunità processuale e non richiede, pertanto, che il rapporto sostanziale sia comune ed indivisibile rispetto ai soggetti chiamati. Questo conduce a ritenere che la domanda oggetto del processo non venga automaticamente estesa nei confronti del soggetto così chiamato, il quale potrà partecipare al processo unicamente affinché gli effetti del giudizio si svolgano anche nei suoi confronti. Saranno, quindi, le parti che procederanno alla chiamata per ordine del giudice a dover formulare la domanda anche nei confronti del soggetto così intervenuto, realizzandosi, in tal modo, un principio di economia processuale ed escludendosi che si possa formare la pronuncia di giudicati contraddittori nell'ambito di un medesimo oggetto processuale. In questo senso sembra attestarsi anche la giurisprudenza di legittimità ove afferma che : «Il litisconsorzio meramente processuale, che si verifica in caso di chiamata in causa, per ordine del giudice, di un terzo cui è ritenuta comune la controversia, impone la presenza in causa del terzo anche nei successivi gradi di giudizio, ma non comporta che a tale soggetto debbano ritenersi automaticamente estese le domande e le conclusioni formulate nei confronti di altri soggetti processuali, occorrendo a tal fine un'espressa manifestazione di volontà al riguardo. La chiamata in causa del terzo per ordine del giudice può mirare, infatti, tanto a evitare al terzo gli effetti pregiudizievoli della sentenza resa fra le parti quanto a prevenire la possibilità di giudicati contraddittori, ma in entrambi i casi, pur determinandosi in vista del superiore interesse al corretto funzionamento del processo una limitazione del principio della libertà di agire, non vi è alcuna proposizione d'ufficio della domanda né sostituzione del giudice alle parti nell'estensione del giudizio, onde non risultano derogate le regole di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. che individuano nella domanda e nell'eccezione di parte i limiti dell'attività giurisdizionale». (Cass. civ., sez. VI, 19 luglio 2019, n. 19605). Infatti, l'estensione della domanda nei confronti del terzo, a seguito della sua chiamata in causa ex art. 107 c.p.c., non discende automaticamente dalla sua costituzione in giudizio e, quindi, dalla sua accettazione del contraddittorio. La funzione di tale chiamata mira, infatti, sia ad evitare al terzo gli effetti pregiudizievoli della sentenza resa fra le parti, dato che, ai sensi dell'art. 2909 c.c. il giudicato fa stato fra le parti, i loro eredi o aventi causa, sia ad impedire il formarsi di giudicati contraddittori e ciò nel superiore interesse del corretto funzionamento del processo. Pertanto, non vi è alcuna proposizione «d'ufficio» della domanda: il giudice, infatti, non si sostituisce alle parti nell'estensione del giudizio ad un altro soggetto. |