La cessione del contratto di locazione per effetto della cessione dell'azienda: aspetti peculiari e problematiche

10 Febbraio 2021

La disciplina generale in tema di cessione del contratto è derogata dall'art. 36 della l. n. 392/1978 che, con riferimento agli immobili ad uso commerciale, consente la cessione della locazione, anche in mancanza del consenso del locatore, purchè sia contestualmente trasferita o affittata l'azienda e sia data comunicazione al locatore. La ratio legis consiste nell'agevolare il trasferimento delle aziende, il subentro nel godimento degli immobili locati e nella tutela dell'avviamento commerciale. Solo la comunicazione della cessione al locatore la rende efficace nei confronti di quest'ultimo e costituisce la condizione perché Il terzo (cessionario) subentri al conduttore (cedente) nella posizione che questi aveva nel contratto di locazione. Il locatore può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo. Il vincolo che si crea tra cedente (non liberato) e cessionario, è ex lege, salvo diversa esplicita volontà espressa dal locatore, un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore/ceduto, anche nel caso di opponibilità della cessione, di agire contro quest'ultimo per l'adempimento delle obbligazioni principali del contratto, dopo che si sia consumato l'inadempimento del nuovo conduttore, per la cui constatazione è sufficiente la costituzione in mora. L'opposizione del locatore per gravi motivi, invece, produce l'effetto immediato di sospendere, nei confronti del contraente ceduto, l'efficacia della cessione della locazione, sino a quando non risulti definita, nella sede giudiziale, l'assenza dei dedotti gravi motivi.
Inquadramento

Il contratto di locazione, in generale, può formare oggetto, ad opera di una delle parti, di cessione nell'ambito della fattispecie della cessione del contratto. Coerentemente con l'art. 1406 c.c., anche nella disciplina codicistica della cessione della locazione, il consenso del locatore - richiesto espressamente dall'art. 1594, comma 1, c.c. - è ritenuto elemento imprescindibile per il perfezionamento del negozio.

Al riguardo, vengono in rilievo due norme codicistiche: l'art. 1408, comma 2, c.c., che attribuisce al contraente ceduto la facoltà di liberare il cedente; l'art. 1409 c.c., che consente al ceduto di opporre al cessionario solo le eccezioni derivanti dal contratto ma non quelle fondate su altri rapporti con il cedente (diversi da quelli che hanno costituito oggetto della cessione. Infatti, non vi sono dubbi che il cessionario sia terzo nel caso della cessione del contratto di locazione, stante l'inequivoca espressione dell'art. 1406 c.c.: “ciascuna parte può sostituire a sè un terzo...”.

Nell'ipotesi di cessione della locazione effettuata senza la necessaria adesione del ceduto, invece, il terzo non subentra nei diritti e negli obblighi del conduttore cedente: egli, dunque, qualora sia stato immesso nella detenzione del bene, potrebbe essere convenuto in un giudizio di rivendica dal locatore, al quale non potrebbe opporre eccezioni fondate su un negozio inefficace.

Inoltre, nella cessione della locazione senza il consenso del locatore è ravvisabile un inadempimento contrattuale del conduttore che potrebbe giustificare, ai sensi dell'art. 1453 c.c., il risarcimento dei danni e la risoluzione del contratto di locazione (previa valutazione giudiziale del grave inadempimento ex art.1455 c.c.).

La disciplina generale in tema di cessione del contratto è derogata dall'art. 36 l. n. 392/1978 che, con riferimento agli immobili ad uso commerciale, consente la cessione della locazione anche in mancanza del consenso del locatore.

La speciale cessione di cui all'art. 36 l. n. 392/1978

Se il consenso del ceduto è elemento costitutivo essenziale della cessione ex art. 1406 c.c., la legge sull'equo canone consente al conduttore, titolare di una azienda, di cedere il contratto locatizio anche senza il consenso del locatore, purchè - recita l'art.36 della l. n.392/1978 - sia contestualmente trasferita o affittata l'azienda e sia comunicata la cessione al locatore. Ciò anche nel caso in cui un apposito patto contrattuale contenga il divieto espresso di sublocare l'immobile o di cedere il contratto (Cass.civ.,sez. III, 13 aprile 2000, n.4802).L'art. 36 costituisce, infatti, norma inderogabile dalle parti, che non possono concordare di escludere il regime legale, con conseguente nullità, ex art. 79 della legge c.d. sull'equo canone, dell'eventuale pattuizione in danno del debitore (Trib. Roma 15 febbraio 2018, n. 3363; Trib. Roma 12 luglio 2017, n. 9638; Cass.civ.,sez.III, 15 luglio 2016, n.14442; Cass. civ., sez.III, 2 luglio 2010, n. 15700).

In questa fattispecie, l'effetto traslativo del contratto prescinde dalla volontà delle parti tanto da potersi ravvisare un fenomeno di successione ope legis nel contratto, quale effetto collegato dall'ordinamento al trasferimento a titolo particolare di un diritto.

Precisamente, nella speciale cessione di cui al citato art. 36 la deroga è all'art.1406 c.c., nel senso che viene modificata in bilaterale la struttura tipicamente trilaterale della cessione del contratto (v., in questi termini, Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2013, n.11967).

Infatti, la cessione della locazione è perfetta ed efficace già quando, ai sensi dell'art. 1326 c.c., il proponente (cedente o cessionario) ha conoscenza dell'accettazione da parte dell'altro (cessionario o cedente), purchè sia contestualmente ceduta o locata l'azienda condotta nell'immobile e sia data comunicazione della cessione al locatore ceduto: ai sensi dell'art. 36 citato, la cessione, da parte del conduttore, del contatto di locazione (di un immobile adibito ad uso non abitativo), cui si accompagni la cessione o la locazione dell'azienda, si perfeziona con l'incontro delle volontà del cedente e del terzo, indipendentemente dal consenso del locatore.

Nell'ipotesi di cui all'art. 36, è irrilevante il consenso del locatore, ai fini della valida conclusione del negozio e la cessione della locazione è validamente compiuta anche - come detto - in presenza di un divieto contrattuale alla stessa (Cass.civ., sez.III, n. 4802/2000, cit.)

A dimostrare l'ininfluenza del consenso del locatore ai fini del perfezionamento della cessione della locazione, la Suprema Corte ha chiaramente statuito che: “In caso di cessione senza il consenso del locatore del contratto di locazione insieme all'azienda, ai sensi dell'art. 36 della l. n. 392/1978, tutti i conduttori, cedenti e cessionari, sono solidalmente obbligati nei confronti del locatore ceduto per le obbligazioni discendenti dal contratto di locazione, oggetto di cessione”: tale meccanismo di “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati costituisce adeguato “contrappeso” per riequilibrare la vicenda contrattuale, che si sviluppa in deroga al generale principio di incedibilità del rapporto obbligatorio in mancanza dell'assenso del contraente ceduto”.

La deroga, operata dall'art. 36 citato alla disciplina codicistica, sottende una precisa ratio, individuabile nella volontà legislativa di agevolare la sostituzione del soggetto conduttore nel godimento dell'immobile ricevuto in locazione, così da poter favorire le imprese commerciali e consentirne la continuazione anche in caso di cessione: il diritto di godere dell'immobile in cui è esercitata l'attività economica viene configurato come uno degli elementi dell'azienda a quest'ultima funzionalmente collegato (Cass. civ., sez.III, 2 luglio 2010, n. 15700).

Tale ratio legis è chiaramente espressa in varie sentenze della Suprema Corte, dove si evidenzia che essa “consiste nell'agevolare il trasferimento delle aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall'imprenditore e di tutelare l'avviamento commerciale” o si descrive l'articolato normativo come “evidentemente volto ad agevolare il subentro di altri soggetti nel godimento dell'immobile locato in modo da tutelare le imprese commerciali e facilitarne la conservazione nel caso di cessione” (Cass. civ., sez.III, 28 febbraio 2013, n.4986).

Pertanto, sia che la cessione della locazione avvenga con negozio separato dalla cessione di azienda, sia che i due negozi siano contestuali, sia che costituisca un effetto automatico dell'art. 2558 c.c., essa è finalizzata a sostituire un terzo in un rapporto giuridico preesistente.

Perchè vi sia successione, dunque, non è necessario il consenso del terzo contraente (ceduto), il quale, tuttavia, non è privo di tutela: il locatore - ai sensi dell'art. 36 citato, può opporsi alla cessione entro trenta giorni dalla comunicazione. In ogni caso, il capovolgimento della regola di cui all'art.1408, comma 1, c.c., costituisce ulteriore garanzia per il locatore atteso che il cedente non è mai liberato, in mancanza di una volontà del locatore ceduto, appositamente manifestata.

Cessione dell'azienda quale presupposto della cessione della locazione: presunzione sino a prova contraria

Il meccanismo della successione ex lege opera solo in caso di trasferimento o cessione, in generale, dell'azienda. Quanto alla nozione di “cessione” o “locazione” dell'azienda di cui al citato art. 36, la dottrina ritiene che essa debba essere interpretata in senso ampio, sì da ricomprendere ogni trasferimento della detta universitas iuris, sia della titolarità che del godimento. Peraltro, è del tutto irrilevante che il nuovo imprenditore svolga la medesima attività del cedente o invece un'attività diversa. Secondo la Suprema Corte, la disposizione di cui all'art. 36 citato trova applicazione anche in caso di trasferimento parziale d'azienda, come nel caso di cessione di un ramo di azienda, purchè sia un ramo suscettibile di esistenza autonoma (Cass.civ., sez. lav., 8 novembre 2018, n. 28593; Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1983, n. 623). Anche il conferimento di un'azienda in una società di capitali o di persone costituisce trasferimento d'azienda e può determinare la cessione del contratto di locazione dell'impresa ai sensi dell'art. 36 (Cass.civ., sez.III, 1 aprile 1995, n. 3821).

Va precisato, tuttavia, che l'alienazione dell'azienda esercitata in un immobile adibito ad uso commerciale non comporta, né ai sensi dell'art.2558 c.c., né ai sensi dell'art.36 della l. n.392/1978, l'automatica cessione del contratto di locazionein quanto le norme suddette consentono, ma non impongono, rispettivamente, all'acquirente dell'azienda di subentrare nei contratti stipulati per l'esercizio di essa, sempreché non sia pattuito diversamente, nonché al venditore dell'azienda quale conduttore dell'immobile in cui la stessa si esercita di sublocare l‘immobile o di cedere il contratto di locazione senza il consenso del locatore (Trib. Roma 9 settembre 2019, n. 12910; Cass.civ., sez.II, 2 dicembre 2000, n.1133).

Pertanto, la successione nella locazione ex art. 36 citato non può considerarsi un effetto automatico e necessario della cessione dell'azienda, come chiarito in Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2017, n. 12016: essa è soltanto eventuale, come emerge dal tenore letterale dell'art. 36 (“può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione”), e richiede, comunque, la conclusione di un apposito negozio di sublocazione o di cessione del contratto di locazione (Cass.civ., sez.III, 30 gennaio 2009, n. 2491; Trib. Roma 19 aprile 2018, n. 8047).

Pertanto, fino a prova contraria, si presume che la cessione o l'affitto, il trasferimento dell'azienda comporti automaticamente la successione nel contratto di locazione (Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2017, n.12016) in virtù, in particolare, dell'art. 2558 c.c. il quale dispone “Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale” (v. in tali termini anche Trib. Roma 23 agosto 2019, n.15077; Cass.civ., sez.III, 16 maggio 2017, n.12016): salvo che le parti, nello stipulare il contratto di affitto di azienda, non abbiano espressamente disciplinato le sorti di quello di locazione dell'immobile, nel qual caso la predetta presunzione non opera (Cass.civ.,sez.II, 16 maggio 2013, n.11967).

La presunzione inerente il trasferimento della posizione di conduttore dell'immobile in capo al cessionario dell'azienda, determina che, nella ripartizione degli oneri probatori, è posto a carico del cessionario l'onere di fornire la prova contraria del presunto trasferimento.

Inoltre, la disciplina di cui al citato art. 36 deve essere negata nel caso di mera alienazione di singoli beni (non costituenti azienda intesa come universitas iuris), nel qual caso, quindi, è necessario il consenso del locatore alla cessione (Cass.civ.,sez.III, 19 aprile 2001, n. 5817).

Né integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo all'obbligo di pagare il canone pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento (Cass. civ., sez.III, 3 agosto 1999, n.8389).

Cessione dell'azienda quale presupposto della cessione della locazione: tesi della c.d. fonte negoziale

Come noto, il meccanismo della successione ex lege previsto dall'art. 36 citato opera solo in caso di trasferimento o cessione, in generale, dell'azienda. Su alcuni punti non sono mai sorti dubbi e, precisamente: che la nozione di “cessione” o “locazione” dell'azienda debba essere interpretata in senso ampio, sì da ricomprendere ogni trasferimento della detta universitas iuris, sia della titolarità che del godimento; la irrilevanza del fatto che il nuovo imprenditore svolga la medesima attività del cedente o invece un'attività diversa; l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 36 anche in caso di trasferimento parziale d'azienda, come nel caso di cessione di un ramo di azienda, purchè suscettibile di esistenza autonoma (Cass. civ., sez. lav., 8 novembre 2018, n. 28593; Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1983, n. 623); che anche il conferimento di un'azienda in una società di capitali o di persone costituisce trasferimento d'azienda e può determinare la cessione del contratto di locazione dell'impresa ai sensi dell'art. 36 citato (Cass. civ., sez.III, 1 aprile 1995, n. 3821).

Inoltre, la disciplina di cui al citato art. 36 deve essere negata nel caso di mera alienazione di singoli beni (non costituenti azienda intesa come universitas iuris), nel qual caso, quindi, è necessario il consenso del locatore alla cessione (Cass.civ.,sez.III, 19 aprile 2001, n. 5817).

Né integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo all'obbligo di pagare il canone pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento (Cass. civ., sez.III, 3 agosto 1999, n.8389).

Meno pacifiche le conclusioni di dottrina e giurisprudenza in ordine al rapporto con l'art. 2558 c.c. per stabilire se l'art. 36 costituisca una applicazione, con lievi differenze di disciplina, dell'art. 2558c.c. all'ipotesi del contratto di locazione dell'immobile, con la conseguenza che il trasferimento del rapporto conseguirebbe automaticamente alla cessione dell'azienda, ovvero sia espressione di una diversa disciplina che, da un lato, tutela maggiormente le ragioni della proprietà immobiliare, prevedendo precisi oneri formali di comunicazione e la permanente responsabilità del conduttore originario, dall'altro, consentendo, non solo la cessione del contratto, ma anche la sublocazione, riconduce necessariamente entrambe le vicende ad una fonte contrattuale e non già all'automatismo dell'effetto legale di cui all'art. 2588 citato.

Il dibattito dottrinale, che può ritenersi ormai risolto in giurisprudenza, ha visto inizialmente contrapporsi la tesi di chi sosteneva l'automatismo della cessione della locazione per effetto della cessione dell'azienda (art.2558 c.c.) e di coloro che ritenevano, invece, la necessità di una (autonoma) fonte negoziale per la cessione della locazione.

L'argomento era pervenuto all'esame della giurisprudenza già a pochi anni dall'entrata in vigore del codice civile e fu risolto facendo prevalere, sul principio della (automatica) successione nei contratti di cui all'art. 2558 c.c., l'art. 1594 stesso codice per il quale “il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore”. Da quest'ultima norma, si ricavava il preteso carattere personale del contratto di locazione e, conseguentemente, l'inapplicabilità dell'art. 2558 c.c.

L'orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene oggi che l'alienazione dell'azienda non comporta l'automatico trasferimento del contratto di locazione: affinchè tale trasferimento si produca è, quindi, necessario che l'accordo delle parti abbia avuto ad oggetto non soltanto genericamente la cessione dell'azienda, ma anche, in particolare, la cessione del contratto di locazione dell'immobile.

Si tratta della tesi dottrinale della c.d. fonte contrattuale che ribadisce, comunque, che l'autonomo contratto di cessione della locazione o di sublocazione non deve anche essere redatto in un distinto documento, ben potendo essere documentato insieme col negozio di alienazione o di affitto di azienda, o costituire addirittura una clausola di tale contratto, dall'altro, riconduce la fattispecie alla disciplina dell'art. 1407, comma 1, c.c., per il quale, in caso di consenso preventivo alla sostituzione del contraente nel rapporto, la cessione è efficace nei confronti del contraente che ha dato preventivamente tale consenso dal momento in cui gli è stata notificata o in cui l'ha accettata. Si afferma, infatti, che il consenso preventivo è supplito, nell'ipotesi di cui all'art. 36, dalla legge, che, sovrapponendosi alla volontà dei privati, sulla base del generale principio di cui all'art. 1339 c.c., determina un effetto ad esso equivalente.

La giurisprudenza si è ormai attestata nel ritenere che l'alienazione dell'azienda esercitata in un immobile adibito ad uso commerciale non comporta, né ai sensi dell'art.2558 c.c. né ai sensi dell'art.36 della l. n.392/1978, l'automatica cessione del contratto di locazione in quanto le norme suddette consentono, ma non impongono, rispettivamente, all'acquirente dell'azienda di subentrare nei contratti stipulati per l'esercizio di essa, sempreché non sia pattuito diversamente, nonché al venditore dell'azienda quale conduttore dell'immobile in cui la stessa si esercita di sublocare l‘immobile o di cedere il contratto di locazione senza il consenso del locatore (Trib. Roma 9 settembre 2019, n. 12910; Cass.civ., sez.II, 2 dicembre 2000, n.1133).

Pertanto, la successione nella locazione ex art. 36 non può considerarsi un effetto automatico e necessario della cessione dell'azienda, come chiarito in Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2017, n. 12016: essa è soltanto eventuale, come emerge dal tenore letterale dell'art. 36 cit. (“può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione”), e richiede, comunque, la conclusione di un apposito negozio di sublocazione o di cessione del contratto di locazione (Cass.civ., sez.III, 30 gennaio 2009, n. 2491; Trib. Roma 19 aprile 2018 n. 8047).

La giurisprudenza ha invocato l'istituto della presunzione ritenendo potersi presumere, fino a prova contraria, che la cessione o l'affitto, il trasferimento dell'azienda comporti automaticamente la successione nel contratto di locazione (Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2017, n.12016) in virtù, in particolare, dell'art. 2558 c.c. il quale dispone “Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale” (in tali termini, anche Trib. Roma 23 agosto 2019, n.15077; Cass.civ., sez.III, 16 maggio 2017, n.12016): salvo che le parti, nello stipulare il contratto di affitto di azienda, non abbiano espressamente disciplinato le sorti di quello di locazione dell'immobile, nel qual caso la predetta presunzione non opera (Cass.civ.,sez.II, 16 maggio 2013, n.11967). Quindi, detta presunzione inerente il trasferimento della posizione di conduttore dell'immobile in capo al cessionario dell'azienda, determina che, nella ripartizione degli oneri probatori, è posto a carico del cessionario l'onere di fornire la prova contraria del presunto trasferimento.

In ogni caso, ove la volontà delle parti non emerga chiaramente dal testo contrattuale, la soluzione del problema interpretativo non potrà prescindere dall'esame del concetto giuridico di azienda che l'art. 2555 c.c. definisce come il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.

Nell'applicazione dell'art. 36 della l. n. 392/1978 e, prima ancora, nell'individuazione del complesso - azienda trasferito, non si potrà prescindere dal verificare, di volta in volta, se l'immobile aziendale condotto in locazione costituisca un elemento essenziale, tale cioè da incidere sull'identità e/o sulle caratteristiche qualitative dell'azienda, ovvero costituisca un mero elemento accessorio in quanto facilmente sostituibile senza che ne risulti intaccata l'identità e/o le caratteristiche qualitative dell'azienda.

Ciò perché se l'immobile condotto in locazione è un elemento essenziale per quel tipo di azienda, tale circostanza non può non influenzare l'interpretazione del contratto di cessione di azienda nel senso di ricomprendervi anche la cessione del rapporto di locazione, anzi addirittura di esigerla quando si tratta di elemento che incide sulla funzionalità e sulle qualità dei beni o dei servizi e non soltanto sull'avviamento.

Se, invece, l'immobile è un elemento accessorio, in quanto facilmente sostituibile senza che ne risulti intaccata l'identità e/o le caratteristiche qualitative dell'azienda - si pensi ad un locale di deposito - ne deriva che lo stesso non può farsi rientrare direttamente nel contenuto oggettivo di quanto trasferito e la cessione del contratto di locazione non potrà ricavarsi implicitamente in via interpretativa, ma necessiterà di un'espressa pattuizione.

Il giudice dovrà, quindi, dare rilievo preminente all'assetto concretamente fissato dalle parti ricostruendo la reale intenzione delle dette, per esempio tenendo conto delle modalità di individuazione dell'azienda ceduta attraverso la sua ubicazione e, più in generale, di tutte le altre circostanze idonee a rilevare che il corrispettivo pattuito per il valore dell'azienda e, segnatamente, per il suo valore di avviamento è stato determinato, avendo presente tutti i fattori costitutivi dello stesso e, quindi, anche la cessione del contratto di locazione dell'immobile.

Effetti della comunicazione al locatore ceduto e l'opposizione

La comunicazione della cessione al locatore la rende efficace nei confronti di quest'ultimo (ex multis, Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1993, n. 5235; Trib. Roma 26 settembre 2019, n. 18363; Trib. Roma 1 dicembre 2017, n. 22601; Trib. Roma 18 luglio 2018, n.15108).

Va precisato che la cessione della locazione si considera ipso facto perfezionata, inter partes, alla sola condizione che sia ceduta anche l'azienda, la comunicazione al locatore la rende a questi opponibile, senza che rilevi la esercitabilità della facoltà di quest'ultimo di opporsi alla cessione stessa poiché detta opposizione costituisce vicenda successiva ed estranea al negozio originario ed è funzionale solo all'elisione, ex post, dell'effetto negoziale già prodottosi con l'accordo cedente-cessionario (Cass.civ., sez.III, 20 aprile 2007, n.9486). Diversamente ragionando si produrrebbe l'effetto, non voluto dal legislatore, di un'equiparazione con l'art. 1407,comma 1, c.c.: nella cessione ex art. 36, la comunicazione al locatore non è richiesta per l'efficacia nei suoi confronti della cessione, nè per dirimere eventuali conflitti tra più cessionari di azienda o della locazione, ma soltanto per far decorrere il termine di trenta giorni entro il quale il locatore può opporsi per gravi motivi. Ne deriva, che il conduttore non è inadempiente per il semplice fatto di avere trasferito la disponibilità dell'immobile al cessionario dell'azienda e del contratto di locazione prima di avere effettuato la comunicazione, essendo la cessione già perfetta ed efficace.

Quanto alle modalità di comunicazione dell'intervenuta cessione, il testo normativo fa riferimento alla forma scritta (“lettera raccomandata”) perciò ritenuta da alcuni necessaria (Cass. civ.,sez. VI/III, 4 luglio 2018, n. 17545): dalla “ricezione” della comunicazione decorre, infatti, il termine di trenta giorni entro il quale il locatore ha facoltà di opporsi, ricorrendo gravi motivi.

La Suprema Corte (Cass. civ., sez.III, 20 febbraio 2014, n.4067) ha precisato la ratio del requisito di forma, sicchè rispondendo al quesito se: “la comunicazione al locatore della cessione del contratto di locazione unitamente alla cessione dell'azione esercitata nell'immobile locato possa essere validamente data anche con mezzi diversi dalla lettere raccomandata con avviso di ricevimento e, in particolare, mediante il pagamento dei canoni di locazione eseguito dal cessionario a proprio nome” ha ribadito il proprio orientamento consolidato: “…ai sensi della l. 27 luglio 1978, n. 392, art. 36, la cessione del contratto di locazione di immobile destinato ad attività di impresa, che avvenga con la cessione contestuale dell'azienda del conduttore, non ha bisogno del consenso del locatore, ma deve essergli comunicata con lettera raccomandata con avviso di ritorno (o con modalità diverse, purché idonee a consentire la conoscenza della modificazione soggettiva del rapporto). Tale comunicazione, se non costituisce requisito di validità della cessione nel rapporto tra conduttore cedente e terzo cessionario, condiziona tuttavia l'efficacia della cessione stessa nei confronti del contraente ceduto, nel senso che essa non è opponibile al locatore sino a quando la comunicazione non avvenga (e salva, comunque, la possibilità che il locatore vi si opponga per gravi motivi nel termine di trenta giorni), sicché la conoscenza allunale della cessione da parte del locatore non rileva, a meno che egli, avendola conosciuta, l'abbia accettata secondo la disciplina comune dettata dall'art. 1407 c.c. Indagine, questa, che involge un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, il quale è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e sufficiente (tra le tante, Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2002, n. 741; Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2003, n. 2311)”.

Nella più recente Cass.civ., sez.II, 4 luglio 2018, n.17545, pur ribadendosi la necessità della comunicazione della cessione al locatore con “lettera raccomandata con avviso di ritorno”, è stata enunciata la possibilità dell'utilizzo di “modalità diverse, purché idonee a consentire la conoscenza della modificazione soggettiva del rapporto)” (v. anche Trib. Roma 27 settembre 2019, n. 18569, in cui si precisa che la comunicazione “condiziona…l'efficacia della cessione stessa nei confronti del contraente ceduto” al punto della irrilevanza della “conoscenza aliunde della cessione da parte del locatore” salvo che il predetto, avendola conosciuta, l'abbia accettata secondo la disciplina comune dettata dall'art. 1407 c.c. (v. anche Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2014, n.4067; Trib. Roma 1 aprile 2015, n. 9143; Trib. Roma 16 maggio 2017, n. 10045).

Importante, dal punto di vista operativo, la considerazione di Trib. Roma 13 marzo 2018, secondo la quale, poiché “la comunicazione prevista dall'art. 36 l.n. 392/1978, costituisce un onere del cedente, la relativa omissione non è opponibile dal cessionario evocato in giudizio per la risoluzione del contratto, per il rilascio e il pagamento dei canoni...”

Parte della giurisprudenza ammette forme equipollenti alla raccomandata, purché idonee ad assicurare la certezza della conoscenza della cessione in capo al locatore (così Cass.civ., sez.III, 23 gennaio 2002, n. 741; per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Trani 12 gennaio 2009, n. 10).

Inoltre, la comunicazione in esame costituisce un onere, piuttosto che un obbligo, per il cedente sicchè la sua mancanza non potrà essere motivo di risoluzione del contratto per inadempimento ma renderà inopponibile la cessione stessa al locatore (Cass. civ., sez.III, 13 aprile 2000, n.4802).

In ordine al contenuto si ritiene che la comunicazione ex art. 36 deve essere tale da mettere a disposizione del locatore tutti gli elementi utili concernenti la cessione (durata, identificazione del cessionario) in modo da consentirgli di esercitare una consapevole opposizione.

Quest'ultima è, tuttavia, preclusa al locatore nel caso in cui egli abbia preventivamente prestato il proprio consenso alla cessione del contratto di locazione.

I gravi motivi che giustificano la opposizione del locatore alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione debbono riguardare la persona del nuovo conduttore, la sua affidabilità e posizione economica ovvero il complesso della operazione progettata, con esclusione di quelli che attengano, in via immediata e diretta, alle esigenze e alla situazione del locatore (Cass. civ., sez.III, 7 marzo 1991, n. 2386).

Infatti, secondo Cass. civ., sez.III, 4 marzo 1998, n. 2405 “È configurabile un grave motivo per l'opposizione del locatore alla cessione della locazione di un immobile, adibito ad uso diverso dall'abitazione (art. 36 l. 27 luglio 1978, n. 392) nell'insolvibilità del cessionario”.

La successione ope legis nel contratto

Nell'ipotesi di cui all'art.36 della l. n. 392/1978 l'effetto traslativo del contratto di locazione, e quindi, la modifica soggettiva ex latere conductoris, prescinde dalla volontà delle parti, quale effetto collegato dalla legge al trasferimento a titolo particolare di un diritto.

Le condizioni perchè detta successione avvenga sono: l'esistenza di una cessione efficace (questa è perfetta ed efficace già quando, ai sensi dell'art. 1326 c.c., il proponente (cedente o cessionario) ha conoscenza dell'accettazione da parte dell'altro (cessionario o cedente); sia contestualmente ceduta o locata l'azienda condotta nell'immobile e sia data comunicazione della cessione al locatore ceduto.

Come in ogni ipotesi di cessione, il terzo (cessionario) subentra al conduttore (cedente) nella posizione che questi aveva nel contratto di locazione e, conseguentemente, nel rapporto di cui questo era la fonte. Una volta che la cessione sia stata comunicata al locatore, unico conduttore del rapporto locativo e titolare diretto dell'azienda è il cessionario, legittimato attivamente (Cass.civ., sez.III, 18 marzo 2003,n.3996) e passivamente (Cass.civ., sez.III, 28 giugno 2001, n.8854) rispetto all'esercizio delle azioni contrattuali (in tali esatti termini Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2013, n.11967).

Per effetto della cessione, validamente comunicata ex art. 36 citato, si verifica quindi, la sostituzione di un terzo nel rapporto giuridico preesistente fra cedente e ceduto quale automatica conseguenza del principio di cui all'art. 2558 c.c. (Trib. Roma 7 marzo 2019; Cass. civ., sez.III, 28 febbraio 2013, n.4986). Di contro, la inopponibilità al locatore della cessione per difetto della comunicazione prevista, comporta, sul piano processuale, che per tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o alla estinzione del rapporto locatizio la legittimazione passiva permane in capo all'originario conduttore, senza che il terzo cessionario del contratto abbia titolo per pretendere una estensione necessaria del contraddittorio nei suoi confronti e per rivendicare la posizione di legittimato passivo (Cass. civ., sez.III, 23 gennaio 2002, n. 741).

Al fine di individuare il momento di trapasso della legittimazione passiva - ad esempio nell'azione di convalida - è necessario verificare la comunicazione al locatore (ex art. 36) e l'eventuale opposizione spiegata dal predetto.

Infatti, poiché la comunicazione della cessione al locatore funge da condizione di opponibilità della cessione, l'omissione della detta determina la persistenza, in capo al conduttore cedente, della legittimazione a contraddire nell'eventuale procedimento di convalida o nelle altre azioni contrattuali (Cass.civ., sez.III, 2 agosto 2000, n.10124), giacchè ove la cessione non sia opponibile al locatore, la legittimazione rispetto a tutte le azioni attinenti la prosecuzione e all'estinzione del rapporto locatizio permane in capo al conduttore originario (Cass.civ., sez.III, 17 marzo 2009, n. 6427).

Quindi, come evidenziato dal Trib. Roma 12 luglio 2019, n. 15044, in materia di cessione di azienda ex art. 36 della l. n. 392/1978, che sia efficace “non sussiste alcun litisconsorzio necessario tra il cedente, il ceduto ed il cessionario, ma si determina piuttosto tra cedente e cessionario una situazione di litisconsorzio facoltativo in relazione all'azione che il locatario esperisca per la risoluzione del contratto ed il pagamento dei canoni insoluti, sicché è rimesso alla scelta di quest'ultimo convenire in giudizio solo il cessionario ovvero anche il cedente (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2017, n. 13706; v. anche Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1997, n. 12454)” con la precisazione, invece, che “si ha litisconsorzio necessario in giudizio di accertamento, quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione. Non è invece necessaria la presenza in giudizio del cedente quando si controverta unicamente circa le vicende del contratto ceduto”. Ancora in Trib. Roma 9 gennaio 2020, n. 576, si legge:” …il cessionario intimato è l'unico legittimato passivo del presente giudizio in ordine al rilascio, mentre in ordine al pagamento dei canoni di locazione, è facoltà del locatore ceduto, in caso di inadempimento, agire anche nei confronti dei precedenti cessionari”.

E' la comunicazione della cessione, infatti, che produce, quale effetto automatico tipico, la traslazione della legittimazione in capo al cessionario affittuario dell'azienda, al contempo cessionario del contratto di locazione, fatta salva l'ipotesi in cui, nel termine legale di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione il locatore spieghi opposizione sussistendo i gravi motivi.

In Cass. civ., sez.III, 18 marzo 2003, n.3996, la Suprema Corte precisa che, con l'avvenuta cessione del contratto di locazione, l'originario conduttore diviene soggetto estraneo al rapporto locatizio che è venuto ad instaurarsi con il consenso del proprietario-locatore direttamente tra il cessionario ed il locatore (pur mantenendosi l'unitarietà del rapporto, ad altri fini, come ad esempio per l'esercizio della prelazione).

L'opposizione del locatore e la sospensione dell'effetto traslativo

La disciplina dell'art.36 della l. n. 392/1978 evidenzia come il legislatore abbia dato prevalenza alle ragioni dell'impresa rispetto a quelle del proprietario. Infatti, non esiste a favore del terzo - locatore un potere di rifiuto libero ed incondizionato della stipulazione a suo favore, che giustifica la deroga al principio dell'efficacia inter partes: il locatore può opporsi alla cessione solo per gravi motivi.

Con riferimento agli effetti dell'opposizione del locatore, si registrano diversi orientamenti in giurisprudenza.

In alcune pronunce più datate si legge che “il beneficiario della cessione resta soggetto estraneo al rapporto finché non sia decorso inutilmente il termine di trenta giorni per l'opposizione del locatore, o sia stata accertata, in caso di opposizione, l'assenza di gravi motivi che potrebbero giustificare l'opposizione stessa” (v. la motivazione di Cass.civ., sez. III, 21 giugno 1990, n.5699).

Con una successiva sentenza, la Corte ha ritenuto, invece, che, fino a quando non venga emessa, a fronte della opposizione del locatore, pronunzia di risoluzione della locazione per inadempimento, legittimato passivo rispetto a tutte le azioni concernenti l'esistenza o la durata del rapporto locativo deve considerarsi il cessionario della locazione e non il cedente (v. Cass. civ., sez. III, 7 giugno 1996, n. 5305, e successivamente Cass. civ., sez.III, 20 aprile 2007, n.9486) sul presupposto che l'opposizione del locatore, ove ritenuta fondata in sede giudiziaria, costituisce vicenda successiva ed estranea al negozio originario e si prospetta funzionale solo alla elisione ex post dell'effetto negoziale già prodottosi con l'accordo cedente-cessionario). Si ravvisava, infatti, nella opposizione del locatore, non già un atto idoneo ad impedire il perfezionamento di un contratto, il quale potrebbe risultare già concluso, ma una mera contestazione di inadempimento, rivolta al conduttore e preordinata ad una verifica giudiziale diretta ad ottenere una pronuncia di risoluzione della locazione anche nei confronti del cessionario.

Già in Cass. civ., sez.III, 9 gennaio 2002, n.201, si leggevano analoghe argomentazioni in ordine all'efficacia sospensiva dell'opposizione con la precisazione che l'accertamento in sede giudiziale della fondatezza dei gravi motivi di opposizione determinerà che gli effetti della cessione non si saranno mai prodotti per lo stesso locatore.

A tale conclusione, la Corte è pervenuta in base alla qualificazione data all'opposizione del locatore ex art. 36 della l. n. 392/1978, la quale - rivolgendosi all'attività negoziale altrui, al fine di produrre la inefficacia dell'atto contro cui è diretta nei confronti del solo opponente (inefficacia non erga omnes ma erga personam quale tratto distintivo della c.d. inopponibilità) realizza una ipotesi definita in dottrina di “opposizione specifica del tipo invalidante”, che incide su una fattispecie compiuta e perfetta, operante tra altri soggetti, impedendone la propagazione degli effetti all'esterno. In questa tipologia di opposizioni, pur quando la legge ciò espressamente non preveda, deve collegarsi alla loro proposizione e sino a quando su di esse venga fatta chiarezza, sospensivo, che, risolvendosi nella temporanea prevalenza dell'interesse dell'opponente, è giustificato da ragioni di opportunità, di cautela in senso proprio e di certezza delle situazioni giuridiche e che deve operare per il tempo occorrente all'accertamento dei presupposti, sia di legittimazione che di merito, su cui le opposizioni medesime si fondano.

Diversamente ragionando, ritiene la Corte, ove si facesse derivare dalla comunicazione del conduttore la immediata opponibilità al locatore dell'avvenuta cessione del contratto senza, tuttavia, assegnare alla avanzata contestazione dei gravi motivi in contrario alcuna valenza sospensiva di tale opponibilità, sarebbe, poi, problematico, in caso di pronuncia di risoluzione della locazione a seguito di positiva verifica della sussistenza dei gravi motivi, conciliare con la regola della retroattività tra le parti della risoluzione per inadempimento (art. 1458, comma 1, c.c.) la opponibilità medio tempore di un contratto dichiarato estinto, proprio per la illegittima cessione che il conduttore ne aveva fatto, con efficacia anteriore.

L'opposizione alla cessione per gravi motivi ha l'effetto immediato di sospendere, nei confronti del contraente ceduto, l'efficacia del contratto di locazione sino a quando non risulti definita, in sede giudiziale, l'assenza dei dedotti gravi motivi, in presenza dei quali, invece, (perché accertati in giudizio ovvero riconosciuti sussistenti dal conduttore cedente) gli effetti della cessione devono ritenersi come mai prodotti con retroattiva caducazione dell'effetto negoziale e con riviviscenza della legittimazione in capo al conduttore cedente.

Nelle more dell'accertamento giudiziale, quindi, poiché la cessione del contratto è ipso facto perfezionata, purchè sia contestualmente ceduta l'azienda e avvenuta la comunicazione informativa al locatore, l'opposizione alla cessione “non impedisce il perfezionamento del contratto eventualmente già concluso ma si configura come mera contestazione di inadempimento, rivolta al conduttore per avere ceduto il contratto, pur in presenza dei suddetti gravi motivi in contrario e preordinata ad una eventuale pronuncia di risoluzione della locazione “ sicchè “fino all'emissione di tale pronuncia legittimato passivo rispetto a tutte le azioni concernenti la esistenza o la durata della locazione deve considerarsi il cessionario e non il cedente, il quale, se non liberato dal locatore ceduto ai sensi del citato art. 36, resta legittimato a contraddire soltanto le domande di quest'ultimo intese a conseguire l'adempimento delle obbligazioni originate dal contratto” (Cass. civ., sez.III, 7 giugno 1996, n.5305, e Cass.civ., sez.III, 20 aprile 2007, n.9486, cit.).

La responsabilità rispetto alle obbligazioni contrattuali tra cedente e cessionario. Le cessioni a catena

Quanto alla responsabilità, l'art. 36 citato costituisce una norma speciale in rapporto all'art.1408 c.c. rispetto al quale, infatti, è diversamente formulata.

Mentre la norma civilistica recita “..il contraente ceduto, se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte” e impone, quindi, un'espressa dichiarazione del locatore di non liberare il cedente; la costruzione dell'art.36 “nel caso di cessione, il locatore se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo” richiede una espressa dichiarazione di liberazione, in difetto della quale opera la presunzione di solidarietà tra cedente e cessionario. Peraltro, è stato ribadito - Cass.civ., sez.III, 23 marzo 2017, n. 7430 e Trib. Roma 5 ottobre 2018, n. 19215 - che “è onere del conduttore cedente provare l'esistenza della dichiarazione con cui il locatore, per l'ipotesi in cui il cessionario non adempia, lo abbia liberato dalla responsabilità sussidiaria, trattandosi di fatto estintivo della corrispondente obbligazione”.

Come si legge in Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2019, n.28809, la disciplina recata dall'art. 36 (deviando in parte da quella generale di cui all'art. 1408 c.c.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell'azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario (così anche Cass.civ., sez.III, 30 settembre 2015, n. 19531).

Il vincolo che esiste tra cedente (non liberato) e cessionario, divenuto successivo conduttore dell'immobile ex art. 36 è ex lege - salvo diversa esplicita volontà espressa dal locatore - un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore-ceduto, che non abbia liberato il cedente e anche nel caso di opponibilità della cessione, di agire contro quest'ultimo per l'adempimento alle obbligazioni principali del suddetto contratto, dopo che si sia consumato l'inadempimento di detto nuovo conduttore, per la cui constatazione è sufficiente la costituzione in mora (Trib. Roma 18 ottobre 2017, n. 19782; Cass.civ., sez.VI/III, 23 novembre 2015, n.23111; Cass. civ., sez.III, 11 novembre 2011, n. 23557).

La preventiva richiesta di adempimento - pur nella modalità semplice della messa in mora - legittima, essa soltanto, la successiva domanda giudiziale nei confronti del cedente.

Quanto, poi, alla comunicazione al cedente dell'inadempimento del cessionario, la diposizione del comma 3 dell'art. 1408 c.c. (onere del locatore ceduto di dare notizia dell'inadempimento del cessionario al cedente entro 15 giorni) è previsto per l'istituto generale della cessione del contratto, ma non anche per la cessione della locazione sicchè “trattandosi di un onere gravante sul contraente ‘debole' della vicenda trilatera non è lecito invocarne l'applicazione nemmeno in via analogica in favore del cedente” (Cass. civ., sez.III, 20 aprile 2007,n. 9486).

Pertanto, la mancata esplicita liberazione del cedente da parte del locatore comporta che rispetto al predetto locatore cedente e cessionario rispondono solidalmente delle obbligazioni contrattuali, con la sola precisazione che la l. n.392/1978, art.36, non deroga all'art.1408 c.c. (Cass.civ., sez.III, 6 maggio 2010, n.10964) nei rapporti inter partes, sicchè è il cedente (soltanto) che risponde dell'adempimento delle obbligazioni sue proprie e già scadute alla data della cessione (v. anche Trib. Roma 12 dicembre 2019, n. 23843), mentre sussiste la responsabilità solidale con il cessionario per quelle maturate successivamente alla cessione (Trib. Roma 5 luglio 2019, n. 1441; Trib. Grosseto 8 giugno 2018, n.593).

Pertanto, l'esclusività della obbligazione di pagamento dei canoni scaduti anteriori alla cessione in capo al cedente fa sì che, per detta morosità pregressa, imputabile ad un soggetto ormai “terzo” (cedente), il locatore ceduto non potrà agire per la convalida dello sfratto nei confronti del cessionario (trattandosi di inadempimento anteriore alla cessione). Tuttavia, la pregressa morosità ben potrà integrare i gravi motivi di cui all'art. 36 citato perchè il locatore si opponga alla cessione medesima.

In caso di plurime cessioni, senza il consenso del locatore, del contratto di locazione insieme all'azienda, tra i cedenti “intermedi” viene a configurarsi, in presenza dell'inadempimento dei cessionari, un vincolo di corresponsabilità nei confronti del locatore, a prescindere dal numero delle cessioni ed indipendentemente dal loro rapporto “diretto” di garanzia con i singoli cessionari; tale meccanismo di “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati costituisce adeguato “contrappeso” per riequilibrare la vicenda contrattuale, che si sviluppa in deroga al generale principio di incedibilità del rapporto obbligatorio in mancanza dell'assenso del contraente ceduto (Cass. civ., sez.III, 8 novembre 2019, n. 28809; Trib. Roma 6 giugno 2019, n.12093, secondo cui, “in materia di locazione, in caso di plurime cessioni - senza il consenso del locatore - del contratto di locazione insieme all'azienda, tra i cedenti “intermedi” viene a configurarsi, in presenza dell'inadempimento dei cessionari, un vincolo di corresponsabilità nei confronti del locatore, a prescindere dal numero delle cessioni ed indipendentemente dal loro rapporto “diretto” di garanzia con i singoli cessionari” (in termini analoghi, Trib. Roma 9 gennaio 2020, n. 576).

In conclusione

La norma in esame, consentendo la circolazione del contratto di locazione, unitamente all'azienda, senza il consenso del locatore, privilegia le ragioni dell'impresa sulle ragioni della proprietà, rispetto a quella che era stata la pregressa interpretazione giurisprudenziale; dall'altro, prevedendo la mancata liberazione del conduttore cedente, dimostra di avere in considerazione anche gli interessi del proprietario, realizzandone una adeguata tutela; infine, con l'attribuire al conduttore una facoltà di cedere il rapporto di locazione, o di sublocare l'immobile, escludendo l'automatismo dell'effetto successorio, tutela il possibile interesse di chi cede l'azienda a trattenere per sè il contratto di locazione. L'emersione sul piano legislativo delle esigenze di tutela delle ragioni dell'impresa sulle ragioni della proprietà è avvenuta, per la prima volta, con la l. 27 gennaio 1963, n. 19 sulla tutela giuridica dell'avviamento commerciale, che, limitatamente ai contratti di locazione di immobili adibiti all'esercizio di un'attività commerciale o artigiana, che abbia rapporti diretti col pubblico degli utenti o dei consumatori (art. 1), prevede, all'art. 5, la possibilità per il locatore di “sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purchè venga insieme ceduta o locata l'azienda”. La legge 27 luglio 1978, n. 392, all'articolo 36, conferma nella sostanza il disposto dell'articolo 5 della precedente legge, senza peraltro la limitazione alle attività che abbiano rapporti diretti col pubblico.

Si riconosce in definitiva, la esistenza di un diritto collegato non più personalmente al conduttore, bensì anche con riflessi sulla cosa e l'immobile locato è visto come una componente per la valorizzazione dell'attività che vi si esercita e, appunto, la stessa titolarità del rapporto diventa un bene oggetto di considerazione a parte.

Riferimenti

Di Marzio - Di Mauro, Il processo locatizio, dalla formazione all'esecuzione del titolo, Milano, 2007, 176;

Lombardi, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2013, 89;

Malzani, Cessione plurima del contratto di locazione (e dell'azienda) e corresponsabilità sussidiaria dei cedenti intermedi verso il locatore ceduto, in Nuova giur. civ. comm., 2008, fasc. 1, 39;

Gazzoni, Cessione di azienda e successione nel rapporto locativo, in Giust. civ., 1980, II, 196;

Trabucchi, Cessione del contratto e successione nelle locazioni non abitative, in Riv. dir. civ., 1979, II, 442.

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