Nelle controversie bancarie il cliente ed il fideiussore hanno la facoltà di richiedere gli estratti conto in corso di causa?

15 Febbraio 2021

Il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell'art. 119 del d.lgs. n. 385/1993, anche in sede giudiziaria...lo stesso diritto spetta, inoltre, al fideiussore...

Massima

Il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell'art. 119 del d.lgs. n. 385/1993, anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell'esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all'art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante. Lo stesso diritto spetta, inoltre, al fideiussore il quale, in ragione dell'accessorietà del rapporto di fideiussione rispetto al contratto di conto corrente, può definirsi, in senso lato, un cliente della banca, non diversamente dal correntista debitore principale.

Il caso

Nel giudizio intrapreso da Tizio e Caio in qualità di fideiussori della società Alfa sas rispetto a contratto di conto corrente stipulato dalla medesima società con la Banca Beta, gli attori, per quanto qui rileva, chiedevano in via istruttoria che alla Banca convenuta fosse ordinata l'esibizione, ex art. 210 c.p.c., degli estratti conto relativi al rapporto di conto corrente, anche in vista dell'assunzione di una CTU per la rideterminazione del saldo passivo del conto facente capo alla società debitrice principale. L'istanza ex art. 210 c.p.c. era rigettata dal Tribunale adito, in base all'argomento che l'ordine di esibizione alla banca non potesse eludere l'onere probatorio, incombente sugli attori, del fatto costitutivo delle loro domande. Avverso la sentenza emessa a conclusione del giudizio, che solo parzialmente accoglieva le domande degli attori sulla base di una CTU fondata unicamente sulla documentazione versata in atti, Tizio e Caio interponevano appello, chiedendo la riforma della decisione di primo grado con particolare riguardo al negato ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di tutti gli estratti conto a carico della banca. Gli appellanti chiedevano, altresì il rinnovo della CTU, da reiterarsi sulla base dell'ulteriore documentazione di cui si domandava l'acquisizione. La Corte di appello, dopo aver in un primo momento accolto con ordinanza istruttoria la richiesta di ordine di esibizione di tutti gli estratti conto del rapporto di conto corrente - ordine a cui la banca non dava alcun seguito, invocando la revoca della relativa ordinanza istruttoria - rigettava il gravame, ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l'ordinanza di ammissione ex art. 210 c.p.c. dovesse intendersi revocata, in quanto gli attori non avevano provato il fatto costitutivo della loro domanda con documentazione che avrebbero dovuto conservare e che, in ogni caso, avrebbero dovuto richiedere alla banca ex art. 119 del d.lgs. n. 385/1993 (di seguito T.u.b.). Sulla base di questo argomento, presi in considerazione i soli estratti conto già presenti agli atti, e ritenuto di non doversi discostare dai risultati della CTU svoltasi in primo grado, i giudici di appello integralmente rigettavano l'impugnazione.

La questione

Avverso la sentenza in questione Tizio e Caio interponevano ricorso per Cassazione, deducendo, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell'art. 119 comma 4 del T.u.b. e dell'art. 210 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver negato i giudici del gravame che la parte potesse far ricorso all'art. 119 del T.u.b. anche in corso di causa, trattandosi di strumento a tutela della trasparenza dei rapporti bancari, che, quindi, deve considerarsi utilizzabile in qualsiasi momento dal cliente, anche nel corso del giudizio, determinandosi altrimenti l'indebita trasformazione di uno strumento di protezione del cliente in un mezzo di penalizzazione del medesimo.

Le soluzioni giuridiche

Il motivo era ritenuto fondato dalla Suprema Corte, che annullava la sentenza impugnata e rinviava per nuovo esame al giudice di merito.

Nel motivare la propria decisione, la Corte prende le mosse dalla propria giurisprudenza più recente sull'all'art. 119 del T.u.b. ferma nel ritenere che «il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 (T.u.b.), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell'esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all'art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante» (vengono richiamate, in particolare, Cass. civ., sez. VI, ord., 8 febbraio 2019, n. 3875 e Cass. civ., sez. I,11 maggio 2017, n. 11554). Tale principio di diritto viene giustificato sul presupposto che l'art. 119 del T.u.b. è norma speciale rispetto all'art. 210 c.p.c., che non può essere assoggettata ai medesimi presupposti applicativi dell'ordine si esibizione, pena la frustrazione della funzione sua propria. Nella pronuncia in commento si osserva, inoltre, che la norma dell'art. 119 comma 4 del T.u.b.. non contempla, o dispone, nessuna limitazioneche risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito e, trattandosi di norma a presidio della trasparenza dei rapporti bancari, l'applicazione di essa non può essere limitata alla fase anteriore all'avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto, così come l'esercizio del potere riconosciuto dalla norma non può essere subordinato al rispetto di formalità espressive o di date vesti documentali, potendosi pretendere dal cliente unicamente la prova del rapporto contrattuale.

Fermi tali principi, la Corte, nell'arresto in commento, affronta il tema dell'estensibilità della facoltà di cui all'art. 119 comma 4 del T.u.b. anche al fideiussore del diretto cliente della Banca. Al quesito viene data risposta positiva, potendosi anche il fideiussore considerare «cliente» ai sensi e per gli effetti della norma citata; ciò «in considerazione del fatto che, in ragione dell'accessorietà del rapporto di fidejussione rispetto al contratto di conto corrente e dunque dell'assunzione del contratto di conto corrente dal fideiussore garantito nel profilo dell'oggetto della fideiussione, il diritto del cliente di richiedere in ogni tempo la documentazione degli estratti conto deve ritenersi esteso anche al fideiussore atteso che la fideiussione determina - come è rivelato dalle norme degli artt. 1944 c.c. e ss. - «rapporti fra il creditore ed il fideiussore», i quali certamente e se si vuole sulla base di una lettura lata dell'art. 1945 c.c. implicano che il fideiussore debba potersi «informare», proprio per esercitare i diritti riconosciuti da dette norme, sullo svolgimento del contratto di conto corrente e, dunque, necessariamente implicando il diritto all'esercizio del potere di cui all'art. 119 del T.u.b. Detti rapporti, al di là di quanto implica lo stesso profilo causale della fideiussione, giustificano ampiamente che il fideiussore sia «cliente» agli effetti di quella norma».

Non viene considerata contrastante con tale principio la giurisprudenza (in particolare, Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2007, n. 233919) che ha escluso l'applicabilità automatica al fideiussore, garante dei crediti bancari, delle disposizioni contenute nel T.u.b. e dettate per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi stipulati con il cliente, giacché detta giurisprudenza è relativa alla posizione del cliente e del fideiussore ai fini della stipulazione e dunque del contenuto dei rispettivi rapporti contrattuali (in particolare con riferimento all'operare della norma dell'art. 1938 c.c. per il fideiussore). Con riferimento, invece, all'art. 119 del T.u.b. viene in rilievo una norma che prevede l'esercizio di una facoltà concernente l'informazione sullo stato del rapporto con l'istituto di credito, che non può che spettare, secondo i giudici di legittimità, anche al fideiussore.

Da qui l'annullamento della sentenza impugnata.

Osservazioni

Ai sensi dell'art. 210 c.p.c. «negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell'art. 118 c.p.c. l'ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all'altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo». L'esibizione, quindi, può essere ordinata soltanto ove il giudice ritenga necessaria l'acquisizione di documenti o altre cose al processo. La necessità di cui parla la norma rappresenta, già in sé, un requisito ulteriore e maggiormente pregnante rispetto alla semplice rilevanza richiesta per l'ammissione delle prove costituende, in quanto il legislatore ammette il sacrificio della libertà e dell'autonomia della parte e del terzo solo in presenza di un'esigenza «qualificata» di acquisizione del documento. Ancora più restrittiva appare essere l'interpretazione della norma data dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene che, ai fini dell'accoglimento dell'istanza formulata ai sensi dell'art. 210 cpc, il documento di cui si invoca l'ostensione debba essere indispensabile ai fini della decisione della lite e non debba essere possibile acquisire aliunde la prova del fatto, se non appunto mediante l'esibizione (Cass. civ., sez. lav., 24 gennaio 2014, n. 14824; Sez. II, 11 giugno 2013, n. 14656). L'istanza, inoltre, è ritenuta non accoglibile quando l'iniziativa presenti finalità esplorative, ravvisabili allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e del suo contenuto per verificarne la rilevanza nel giudizio (Cass. civ., sez. VI, ord., 16 novembre 2020, n. 23120).

La disciplina dettata dall'art. 210 c.p.c. si è spesso intersecata, in materia di contenzioso bancario, con la norma contenuta nel comma 4 dell'art. 119 T.u.b., il quale dispone che «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioniposte in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione». Si è, infatti, spesso osservato, specie nell'ambito della giurisprudenza di merito, che sussistendo il diritto del correntista, ai sensi dell'art. 119 comma 4 T.u.b., di ottenere dall'istituto bancario, a proprie spese, la consegna di copia della documentazione relativa a ciascuna operazione registrata sull'estratto conto nell'ultimo decennio, indipendentemente dall'adempimento del dovere di informazione da parte della banca e anche dopo lo scioglimento del rapporto, il correntista che agisca per la ripetizione delle somme indebitamente versate sul conto corrente deve, per poter avanzare l'istanza ex art. 210 c.p.c., dimostrare l'inerzia o il rifiuto della banca di consegnargli la documentazione a seguito di espressa sua richiesta. Tale tesi non è stata condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha osservato (cfr. Cass. civ., Sez. VI, ord., 8 febbraio 2019, n. 3875 e Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2017, n. 11554) che la norma di cui al quarto comma dell'art. 119 del T.u.b. ha carattere sostanziale e non processuale e non contempla, o dispone, alcuna limitazione che possa essere in qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito: trattandosi, quindi, di norma a presidio della trasparenza dei rapporti bancari, l'applicazione di essa non può essere limitata alla fase anteriore all'avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto, convertendosi, altrimenti, uno strumento a tutela del correntista in onere vincolante a carico di esso. Si è escluso, altresì, che l'esercizio del potere in questione possa essere in qualche modo subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali, giacché simili imposizioni si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell'esercizio del potere del cliente, non previsti dalla legge e contrari alla funzione propria dell'istituto.

Non mancano, comunque, giudici di merito che continuano a ritenere necessaria la previa istanza ex art. 119 del TUB da parte del correntista ai fini dell'accoglimento in corso di causa della richiesta di esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c. discostandosi consapevolmente dalla tesi fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità,che da un lato favorirebbe l'introduzione di giudizi e dall'altro trascurerebbe la ratio deflativa della previsione dell'art. 119 del T.u.b., che è quella di consentire al correntista, una volta che abbia ottenuto copia dei documenti, di valutare l'andamento del rapporto e, quindi, decidere, documenti alla mano, se intraprendere, ed eventualmente su quali basi e con quali pretese, iniziative giudiziali (in tal senso si veda Trib. Verona, 29 gennaio 2019).

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, oltre a ribadire i princìpi sopra enunciati - censurando i giudici di merito che avevano ritenuto inaccoglibile l'istanza di esibizione sul presupposto del mancato esercizio della facoltà di cui all'art. 119 comma 4 antecedentemente all'instaurazione del giudizio - si occupa, poi, di una peculiare questione, vale a dire la possibilità di considerare legittimato alla richiesta di rendiconto in corso di causa anche il fideiussore del debitore principale. Simile legittimazione viene, quindi, ritenuta sussistente in capo al fideiussore, in ragione dell'accessorietà del rapporto di fideiussione rispetto al rapporto garantito, che porta a ritenere che al fideiussore debba essere consentito di informarsi sullo svolgimento del rapporto medesimo, attraverso il ricorso ai medesimi strumenti messi a disposizione del debitore principale, trattandosi, sia pure in senso lato, di «cliente» dell'istituto di credito. Trattasi di impostazione certamente condivisibile: tra la Banca ed il fideiussore, infatti, al momento della sottoscrizione dell'obbligazione, sorge un rapporto negoziale che rende il fideiussore potenziale destinatario degli effetti del rapporto con il debitore principale. Come, quindi, il fideiussore è legittimato ad opporre al creditore tutte le eccezioni spettanti al debitore principale (art. 1945 c.c.), allo stesso modo al medesimo devono garantirsi gli strumenti di informazione e trasparenza che il T.u.b. riconosce al debitore principale. Conclusioni analoghe sono state raggiunte anche dalla giurisprudenza di merito occupatasi della questione, che ha concluso per la sussistenza in capo al fideiussore del diritto alla consegna di documenti relativi ai rapporti bancari, oltre che sulla base della qualificabilità quale cliente ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 119 comma 4 del TUB, anche in ragione del dovere generale di buona fede nella esecuzione del contratto, enunciato dall'art 1375 c.c. (cfr., nell'ambito della giurisprudenza di merito, Trib. La Spezia, 30 maggio 2019, n. 345; Trib. Prato, 8 ottobre 2015, n. 1069).

Riferimenti
  • Sul rapporto tra art. 210 c.p.c. e art. 119 T.u.b. si vedano le sentenze richiamate da quella in commento, in particolare, Cass. civ., Sez. VI, ord., 8 febbraio 2019, n. 3875 e Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2017, n. 11554, nonché la più recente Cass. civ., sez. VI, ord., 14 marzo 2020, n. 6975;
  • Aratari, L'onere della prova, in AA.VV., Il contenzioso tra le banche e i clienti, Milano 2018;
  • Fiorucci, Le controversie bancarie, Milano 2019;
  • Pellegrini, Le controversie in materia bancaria e finanziaria. Profili definitori, Padova 2007.

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