Art. 32 Cost.: diritti e doveri in tema di vaccinazione anti Covid

15 Febbraio 2021

Il legislatore dell'emergenza Covid ha dettato prescrizioni obbligatorie per il contenimento della pandemia e la prevenzione della sua diffusione: adempimenti e divieti a carico di tutti i soggetti sul territorio nazionale; diritti, obblighi e correlate responsabilità per soggetti specifici, come i datori di lavoro, i lavoratori, gli Istituti assicuratori pubblici...
L'integrazione dell'art. 2087 c.c. con i protocolli condivisi

Il legislatore dell'emergenza Covid ha dettato prescrizioni obbligatorie per il contenimento della pandemia e la prevenzione della sua diffusione: adempimenti e divieti a carico di tutti i soggetti sul territorio nazionale; diritti, obblighi e correlate responsabilità per soggetti specifici, come i datori di lavoro, i lavoratori, gli Istituti assicuratori pubblici.

Per queste ultime tre categorie, vi è un delicato problema di individuazione dell'origine professionale del contagio, la responsabilità per la prevenzione, l' indennizzo o risarcimento dell'infortunio, in ragione del carattere pandemico della infezione, e quindi della difficoltà di individuare l'origine interna o esterna, rispetto alla causa lavorativa, della infezione stessa.

Date queste caratteristiche del rischio, le misure di prevenzione catalogate dal testo unico della sicurezza d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 sono state integrate da ulteriori misure suggerite dalla esperienza e dalla scienza, ai sensi dell'art. 2087 c.c., cristallizzate nei protocolli di sicurezza concordati tra le parti sociali per la prosecuzione e messa in sicurezza dell'attività produttiva, resi obbligatori con i d.P.C.m. del 10 e 26 aprile 2020, a carico sia dei datori di lavoro che dei lavoratori. Il legislatore ha poi disposto, al fine di definire e circoscrivere la responsabilità del datore, su impulso delle parti interessate, che l'osservanza di tali protocolli integra l'adempimento delle prescrizioni dell'art. 2087 ai fini della responsabilità civile e penale del datore di lavoro (1).

Tra le misure obbligatorie indicate in tali testi non è compreso il vaccino antiCovid, ancora di là da venire.

Una volta questo disponibile, quid juris circa il suo ruolo nel rapporto di lavoro, in quello previdenziale e nei rapporti contrattuali in genere?

Tutto avrebbe fatto pensare che, costituendo il vaccino la misura risolutiva per sconfiggere la pandemia, avrebbe avuto un posto strategico nella disciplina legislativa. In effetti, in situazioni del passato molto meno drammatiche di quella presente, il nostro legislatore non ha esitato a sancire l'obbligatorietà del vaccino per determinate infezioni e per categorie di esposti, con relativa certificazione, da esibire all'occorrenza (2). In questa occasione, invece, il nostro Governo, in conformità al comune sentire tipicamente europeo, sfociato nella Risoluzione dell'assemblea del Parlamento n. 2361 del 27 gennaio 2021, ha scelto la via della raccomandazione, confidando che la persuasione costituisca il percorso migliore per raggiungere “una diffusione sufficiente alla sua efficacia”, ed attuare per tale via il precetto dell'art. 32 Cost. sulla tutela della salute collettiva (3). In questo modo però ha trascurato il versante della tutela individuale, ed ha lasciato senza guida gli operatori, sicché si sono moltiplicate le voci dubbiose e contrastanti circa la sua incidenza nei rapporti privati.

Ma il problema è urgente, perché già si sono verificati casi di personale sanitario che ha rifiutato il vaccino, e per la stessa evenienza in Paesi a noi vicini, come la Germania, che pure ha adottato la facoltatività, sono stati già comminati i primi licenziamenti.

Gli argomenti dottrinali in favore dell'onere di vaccinazione nei rapporti contrattuali; le specificità del rapporto di lavoro

Il quesito è: a) può un datore di lavoro pretendere dai propri dipendenti di vaccinarsi? b) quid juris in caso di rifiuto?

La risposta affermativa sul primo quesito è argomentata da insigni Autori (5) sulla base della seguente trama normativa:

1. l'art. 2087 c.c., costituendo una norma aperta, impone al datore di lavoro di adottare anche quelle misure preventive che la scienza, l'esperienza e la tecnica dovessero scoprire e suggerire dopo la firma dei protocolli, i quali erano esaustivi nel momento in cui sono stati emanati; trovato il vaccino, questo rientra nella previsione dinamica dell'art. 2087;

2. Tale conclusione è rafforzata dall'art. 279 del t.u. sulla sicurezza d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il quale fa obbligo al datore di lavoro di tenere a disposizione vaccini efficaci per quei lavoratori che non siano immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente. E' stato puntualmente osservato che la norma non parla di vaccini obbligatori, bensì di vaccini efficaci, e quindi anche semplicemente raccomandati (6). In ogni caso gli eventuali dubbi ermeneutici sono ora risolti dalla direttiva europea che include espressamente il SARS-CoV-2 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione, recepita dalla legge italiana (7);

3. l'art. 20 del medesimo t.u. istituisce una correlazione tra obblighi del datore e quelli del lavoratore disponendo che: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo del lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”;

4. l'art. 42, comma 2, del d.l. n. 18/2020 convertito nella legge n. 27/2020, nel ribadire la qualificazione della infezione da coronavirus per causa lavorativa come infortunio sul lavoro, secondo la nostra tradizione sistemica, espone il datore di lavoro a tutti gli obblighi di prevenzione ed alle responsabilità previste dalla legislazione sulla sicurezza sul lavoro.

L'ostacolo dell'art. 32 della Costituzione

Gli Autori che esprimono perplessità o contrarietà alla tesi della obbligatorietà contrattuale, ritengono che i dati testuali riportati, singolarmente considerati, si infrangono contro l'art. 32 della Costituzione, in forza del quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (8).

Il punto da approfondire è dunque il significato e la portata dell'art. 32 Cost.

La giurisprudenza costituzionale sulla valenza multidirezionale dell'arti. 32. La identità funzionale tra obbligo e raccomandazione

La giurisprudenza costituzionale ha enunciato in merito i seguenti principi:

- la salute costituisce un diritto fondamentale della persona, che opera, ai sensi dell'art. 32, sia in ambito pubblicistico sia nei rapporti di diritto privato;

- il precetto dell'art. 32 non si esaurisce nella tutela di posizioni attive pretensive, ma postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività (9), e quindi implica il dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui e gli interessi essenziali della comunità;

- da questo contemperamento dei diritti alla salute di ciascun individuo deriva la legittimità di un onere a carico del lavoratore di accertamenti sanitari preventivi per poter svolgere determinate attività, che il legislatore deve imporre, nella forma o dell'obbligo o della raccomandazione (10). Queste due modalità costituiscono delle scelte opportunistiche, nel senso che sono dirette al medesimo obiettivo di tutela della salute secondo valutazioni contingenti, e possono mutare tra di loro, in senso più o meno cogente, a seconda delle situazioni e della risposta collettiva alla misura in concreto adottata (11). Esplicita al riguardo la sent. 218/1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 5, terzo e quinto comma, della legge 5 giugno 1990, n.135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS, che non prevedeva l'obbligatorietà del vaccino), per contrasto con l'art. 32 Cost., nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV come condizione per l'espletamento di attività che comportino rischi per la salute dei terzi. La pronuncia è di estremo interesse, perché fa discendere la legittimità dell'imposizione di accertamenti sanitari non da una norma esistente di diritto positivo, ma dalla necessità sistematica della sua esistenza, derivante dall'art. 32 Cost.

Va poi definita la nozione di trattamenti sanitari, che già traspare dalla terza massima riportata.

Risulta acquisito, nella attuale dottrina costituzionalistica, che in tale nozione rientrano sia gli accertamenti sanitari caratterizzati da una finalità diagnostica, come ad es. i tamponi (12) sia i trattamenti sanitari curativi in senso stretto, cui i primi sono propedeutici e funzionali; entrambi accomunati dalla finalità di tutela della salute, senza che abbiano alcun valore discriminatorio la incidenza dell'intervento sull'organismo del paziente, la sua istantaneità, durata, grado di violenza esterna (13). Rientrano anche l'idratazione e alimentazione artificiali (14), la medicina preventiva e, quindi, anche i vaccini, che di per sé non hanno finalità diagnostica, né curativa di una malattia in atto, bensì di prevenzione della stessa.

In terzo luogo occorre esaminare come si possa esprimere la riserva di legge.

Intanto, si tratta di una riserva a favore della legge statale, anche delegata.

Può assumere il carattere di un obbligo coercibile, come nel caso dei trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale (15), ma più spesso prende la forma di una condizione posta per l'esercizio di altri diritti fondamentali, come ad es. quelli allo studio (16).

Anche la dottrina infortunistica ha qualificato in passato come onere la imposizione al lavoratore assicurato di sottoporsi a determinati trattamenti sanitari diretti a ridurre la inabilità, quale condizione per godere di prestazioni previdenziali (17).

La giurisprudenza costituzionale ha aggiunto una terza modalità: la raccomandazione, i cui effetti ha parificato a quelli dell'obbligo esplicito. Come spiegato in numerose sentenze (18), l'obbligatorietà e la raccomandazione, pur costituendo due tecniche legislative diverse, obbediscono a un medesimo obiettivo, la migliore realizzazione dell'art. 32 Cost. nella sua valenza di tutela della salute come interesse collettivo; non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione; la vaccinazione in adempimento di ciascuna delle due modalità realizza il dovere di solidarietà implicito nell'art. 32 ed impone allo Stato la medesima tutela in caso di complicanze. Potremmo dire che la raccomandazione rappresenta lo stadio evolutivo di un processo culturale tendente a valorizzare la collaborazione del cittadino rispetto alle precedenti modalità autoritarie. Specularmente, il cittadino può fidare sul contenuto della raccomandazione, quale trattamento sanitario prioritario per la tutela della salute individuale e collettiva.

La raccomandazione quale canone di prudenza e diligenza nei rapporti contrattuali

A questo punto la risposta al quesito se il datore di lavoro possa pretendere che il dipendente si sottoponga a vaccinazione anti Covid ci sembra affermativa in base alle seguenti ulteriori precisazioni:

a) in via generale occorre operare una doppia distinzione: 1) la sfera collettiva dell'art. 32, per la quale basta al legislatore una “diffusione sufficiente alla efficacia del vaccino”, e la sfera individuale, nella quale deve essere garantita la salute di ciascuna persona, anche nei rapporti interprivati, e per la quale giocano i diritti, obblighi e responsabilità del sistema civilistico; 2) la sfera di libertà del soggetto che, per suoi insindacabili motivi, non intenda vaccinarsi, in mancanza di una espressa disposizione di legge, e la corrispondente sfera di libertà di chi non intenda subire le conseguenze verso terzi di tale scelta, ed entrare in rapporti contrattuali con il primo, per il possibile danno alla propria salute e per le responsabilità che gli potrebbero derivare nei confronti di terzi (“coesistente e reciproco diritto degli altri” secondo la giurisprudenza costituzionale).

Non vi è perciò corrispondenza tra obbligo di vaccino ed aspetti privatistici del rapporto. Né si può far dipendere la regolazione duratura di questi dalle scelte opportunistiche, nel senso illustrato sopra, del legislatore.

È stato autorevolmente osservato che anche l'esercizio di un diritto fondamentale può essere limitato (19); ma questo giusto rilievo non spiega da dove derivi il potere della controparte contrattuale di pretendere una limitazione siffatta. Il più delle volte è una norma di legge, come ad es. il potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (artt. 2094, 2105, 2106 c.c.), l'obbligo di indossare la mascherina, quale dispositivo di protezione individuale ed altrui (da ultimo d.l. 14 gennaio 2021 n. 2) etc. Viene invocato anche il canone della ragionevolezza. A noi sembra che il più sicuro fondamento della pretesa di una parte contrattuale acché la controparte sia immune da Covid-19, in un rapporto di durata che possa esporre al contagio, sia costituito dal valore civilistico della raccomandazione, per l'autorità da cui promana e per l'intento comunitario che persegue, quale canone di prudenza, diligenza e rispetto della controparte richiesto nei rapporti contrattuali (artt. 1176 e 2104 c.c.). Non qualsiasi pretesa del datore, pur relativa alla sicurezza, ma sicuramente una che sia fondata su una base ordinamentale tanto solida.

b) nello specifico del rapporto di lavoro esiste una norma di legge attuativa della riserva dell'art. 32, costituita dall'art. 279 t.u. sicurezza citato. Il t.u., in una visione globale di tutti i fattori e di tutti gli attori della salute e sicurezza sul lavoro, correla tale disposizione con quella dell'art. 20: da una parte, l' obbligo per il datore di lavoro di tenere a destinazione il vaccino “efficace”, di somministrarlo a mezzo del medico competente, di allontanare il lavoratore in caso di inidoneità alla mansione derivante da motivi sanitari legati all'agente biologico; dall'altra l'obbligo per lo stesso lavoratore di utilizzare i mezzi forniti dal datore di lavoro ai fini della sicurezza della salute propria e delle altre persone presenti sul luogo di lavoro. Con questa norma, il più maturo testo unico sicurezza ha previsto, in luogo o in aggiunta ai precedenti singoli agenti infettivi oggetto di obbligo di vaccino, una disposizione di carattere generale sulla protezione dagli agenti biologici, indicati nell'elenco dinamico allegato XLVI. Non dunque un dovere per il solo datore di lavoro, ma obbligazioni reciproche sinallagmaticamente collegate, come è proprio di un rapporto contrattuale.

L'obiezione che la norma, facendo riferimento all'agente biologico presente nella “lavorazione”, si riferirebbe solo a quelli originati dall'atto lavorativo, e non a quelli provenienti dall'esterno, non fa onore al significato del termine “lavorazione”, pur conservato per rispetto storico, ma che nel significato attuale è sinonimo di attività protetta (20). Analoga valutazione per l'obiezione che il vaccino de quo esulerebbe dalla previsione dell'art. 279, perché non è provvisto dal datore di lavoro, bensì dallo Stato. Ciò avviene a causa della competenza esclusiva, e non concorrente con le Regioni, di quest'ultimo, a norma dell'art. 117, comma 2, lett. q), in quanto profilassi internazionale (21), ma non incide certamente sul punto essenziale, che è la funzione del vaccino nel sistema di prevenzione e di responsabilità esistenti.

c) infine, sul piano metodologico, come la singola norma, così anche la trama normativa sopra esposta va interpretata nel suo complesso, secondo un canone teleologico costruttivo e costituzionalmente orientato, che consenta la realizzazione dell'obiettivo di tutela individuale e collettiva dell'art. 32, coniugato con gli altri valori costituzionali, ivi compresi i doveri di solidarietà sociale pretesi dall'art. 2 Cost., ed impliciti anche nell'art. 32 (da ultimo C. cost. 23 giugno 2020, n. 118; in precedenza sentenze 5/2018, 268/2017, 107/2012, cit.).

Tutto ciò è tanto vero, che anche la dottrina più restrittiva nella interpretazione dell'art. 32, è costretta ad ammettere che per le categorie più esposte al rischio, come i sanitari, il datore di lavoro può pretendere la vaccinazione, proprio in virtù della sua responsabilità risarcitoria (22), senza però spiegare come questa conclusione parziale si concili con l'interpretazione asseritamente ostativa dell'art. 32, e quale sia la norma attuativa che la consenta solo per il personale sanitario.

La spiegazione inconscia è l'evidenza del rischio, o forse la suggestione di Corte cost. 218/1994 cit., e quindi la necessità sistemica di tale soluzione.

L' identità di nozione di rischio di contagio ai fini infortunistici e della responsabilità civile

Ma se così è, se tutto ruota intorno al rischio (23), individuale e collettivo, è giocoforza rifarsi alla scala presuntiva di rischio elaborata dall'Inail in varie sedi, in maniera costante e coerente, e specificamente nella circolare 3 aprile 2020 n. 13 (24), stante la stretta correlazione tra responsabilità e qualificazione dell'evento come infortunio.

Si parte dall'art. 42, comma 2, d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020 n. 27, che, fedele alla nostra storia sistemica, qualifica la infezione da coronavirus in occasione di lavoro come infortunio sul lavoro.

Su questa solida e specifica base legislativa, e su quella giurisprudenziale circa la nozione di occasione di lavoro (24), l'Inail ha costruito un sistema di tutela molto ampio, secondo una scala presuntiva, basata sul criterio probabilistico battezzato dalla Corte di legittimità, applicandolo alle diverse categorie di lavoratori, situazioni lavorative ed equiparate, con l'ausilio di un unico strumento concettuale: il diverso aggravamento del rischio pandemico per cause lavorative:

a) per gli operatori sanitari l'Inail ritiene, in continuità con la circ. 23 novembre 1995 n. 74, che vi sia una elevatissima probabilità che gli stessi vengano a contatto con il coronavirus, indipendentemente dal reparto in cui operano;

b) agli operatori sanitari vanno assimilati i lavoratori in costante contatto con il pubblico, dato l'elevato rischio di contagio: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite, banconisti, personale non sanitario operante all'interno degli ospedali con mansioni tecniche di supporto, di pulizia, operatori del trasporto infermi, etc.;

c) altri lavoratori, non esemplificati, cui si possa applicare la stessa presunzione semplice di contagio. La FAQ (Frequently Asked Questions) Inail del 10.4.2020 menziona ancora, sempre a titolo esemplificativo, gli operatori delle Residenze sanitarie assistenziali (RSA) ed i tassisti. Nella stessa ratio si possono far rientrare le addette alla pulizia negli studi medici, e simili;

d) lo stesso strumento presuntivo l'Inail ha applicato all' infortunio in itinere: nel mezzo di trasporto pubblico il rischio di contagio è più elevato, trattandosi di ambiente confinato con più persone. La conseguenza è duplice: da una parte ai lavoratori che si avvalgano del trasporto pubblico si applica la presunzione di origine professionale, anche se non appartenenti alle categorie professionali esemplificate sopra; dall'altra l'uso del mezzo privato costituisce in questa fase pandemica una ulteriore ipotesi di mezzo necessitato.

Il quadro ricostruttivo operato dall'istituto assicuratore garantisce una copertura significativa, a nostro avviso più ampia di altri Paesi, sul piano soggettivo e soprattutto probatorio (25).

Esso procede per categorie professionali (gli infermieri ospedalieri, le commesse di supermercato, etc.); è la mera appartenenza ad una di queste che fa scattare la presunzione di origine professionale. Esso è però aperto agli “altri lavoratori, non esemplificati, cui si possa applicare la stessa presunzione semplice di contagio”, e si conclude con qualsiasi lavoratore che vada al lavoro con mezzi pubblici, indipendentemente dalle modalità della prestazione lavorativa.

Su queste premesse, la dottrina ha fatto un passo ulteriore (26): il lavoro prestato durante la fase pandemica costituisce di per sé fattore di aggravamento del rischio di contagio, senza ulteriori distinzioni. Nel caso di infezione da coronavirus, l'aggravamento del rischio è costituito dall'aggregazione sociale per ragioni lavorative: aggregazione interna, con altri colleghi, o esterna, per i contatti imposti per ragioni lavorative con una pluralità di soggetti; anzi, più radicalmente, dall'obbligo di abbandonare il rifugio domestico per ragioni lavorative; solo così si spiega l'ipotesi d) della scala presuntiva Inail: sussiste la copertura assicurativa anche quando il lavoratore si rechi con mezzo pubblico nell'ufficio di cui è unico dipendente e nel quale non venga a contatto con altre persone. Argomento a contrario: il regime del lavoro agile, incentivato per ridurre il rischio di contagio, e per il quale la presunzione in esame subisce notevoli limitazioni.

Concludendo sul primo punto, noi riteniamo che in tutti i casi in cui il datore di lavoro può pretendere l'osservanza delle misure di prevenzione stabilite dai protocolli, può pretendere altresì, ai sensi dell'art. 2087 c.c., l'osservanza della misura risolutiva successivamente emersa del vaccino, prevista dall'art. 279 t.u. sicurezza, come integrato dalla l. 159/2020, salvi i casi di rifiuto giustificato da ragioni mediche. Sarebbe invero bizzarro escludere lo strumento principe sopravvenuto, il vaccino, dalle misure studiate dalle parti sociali quando il vaccino non c'era.

Conseguenze della nozione di rischio ubiquo in caso di rifiuto di vaccinazione

Passando al punto 2, e cioé le conseguenze del rifiuto ingiustificato di vaccinarsi, tutti gli autori sono molto cauti, e privilegiano le misure conservative, mediante il répêchage, e considerano il licenziamento come extrema ratio, in mancanza di mansioni immuni dal rischio di contagio.

La nozione sopra accolta di rischio ubiquo, ai fini correlati della copertura assicurativa e della responsabilità del datore di lavoro verso i dipendenti e verso i terzi, comporta due conseguenze: da una parte risulta arduo ipotizzare categorie immuni dal rischio di contagio; dall'altra la difficoltà di misure conservative quali la ricollocazione in ambienti protetti da tale rischio, salvo lo smart working.

Per questo tutti gli Autori, ed anche esponenti sindacali, auspicano un intervento chiarificatore del legislatore, come già avvenuto con l'art. 29 bis l. 40/2020, anche nel senso della obbligatorietà. E in questa direzione vi sono dichiarazioni di esponenti governativi, i quali non escludono misure più cogenti nel caso che il metodo persuasivo non raggiunga il suo obiettivo, ulteriore dimostrazione della indipendenza della regolazione privatistica rispetto alle forme del contingente intervento statale.

Note

(1) Art. 29-bis d.l. n. 23/2020, in sede di conversione con la legge 5 giugno 2020 n. 40.

(2) A partire dalla legge 6 giugno 1939 n. 891 sull'obbligo di vaccino contro la difterite alle dieci vaccinazioni obbligatorie previste dal d.l. 73/2017, conv. in l. 119/2017. Significative anche le leggi 5 marzo 1992 n. 292 e 20 marzo 1965 n. 419 sull'obbligo di vaccinazione antitetanica per determinate categorie di lavoratori.

(3) La legge 30 dicembre 2020 n. 178 (legge di bilancio 2021) dedica numerose disposizioni, a partire dal comma 457, al piano strategico nazionale dei vaccini, e detta misure di carattere amministrativo per la sua attuazione capillare, ma senza sancire l'obbligo individuale di vaccinazione. Il d.l. 5 gennaio 2021 n. 1 tiene il punto, in continuità con la legge 219 nel 2017, sulla necessità del consenso per le vaccinazioni non obbligatorie, e detta criteri compositi, in buona parte presunti, per l'espressione del consenso da parte di persone incapaci ricoverate presso strutture sanitarie assistite, epicentro della strage pandemica, a mezzo dei rispettivi tutore, curatore, amministratore di sostegno e, in ultima analisi, direttore sanitario, o, in caso di contrasto, giudice tutelare. Sul punto vedi SPACCASASSI F. Ospiti delle RSA e consenso alla vaccinazione anti Covid-19: un percorso ad ostacoli?, nonché FUMAGALLI L., Le vaccinazioni anti Sars-CoV-2 delle persone incapaci «ricoverate presso strutture sanitarie assistite». Prima lettura dell'articolo 5 d.l. n. 1/2021, entrambi in Questionegiustizia, 27 gennaio 2021.

(4) ICHINO P., Perché e come l'obbligo di vaccinazione può nascere anche solo da un contratto di diritto privato, in LavoroDirittiEuropa, 1/2021; RIVERSO R., L'obbligo di vaccino anti Covid nel rapporto di lavoro tra principio di prevenzione e principio di solidarietà, in Questionegiustizia, 18/1/2021; GUARINIELLO R., Covid- 19: l'azienda può obbligare i lavoratori a vaccinarsi?, in www.ipsoa.it 28.12.2020; POSO V.A., Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro, in Labor on-line, 27.1.2021.

(5) RIVERSO cit.

(6) Direttiva UE della Commissione 3 giugno 2020 n. 2020/739, recepita in Italia con l'art. 4 d.l. 7 ottobre 2020 n. 125, conv. in l. 27 novembre 2020 n. 159.

(7) MAZZOTTA O., Vaccino anti-Covid e rapporto di lavoro, in LavoroDirittiEuropa, n. 1/2021; A.PERULLI, Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro, in Labor on-line, 27.1.2021.

(8) da ultimo ord. 5/2018, riepilogativa della giurisprudenza della Corte in tema di vaccinazioni.

(9) La Corte ha così risolto, nel senso auspicato dal giudice remittente, il caso di una infermiera che si opponeva al provvedimento di sospensione per essersi rifiutata di sottoporsi ad accertamenti anti infezione HIV; per la valorizzazione della categoria dell'onere per risolvere il conflitto tra diritto individuale ed interesse della collettività nell'art. 32 vedi C.CESTER, Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro, in Labor, n. 6/2020, 27.1.2021.

(10) Significativa al riguardo la disposizione dell'art. 93, comma 2, legge 23 dicembre 2000 n. 388 (legge finanziaria 2001) che demanda all'autorità regolamentare di determinare i casi nei quali è obbligatoria la vaccinazione contro la tubercolosi, in relazione alle mutate condizioni sanitarie del Paese, nonché le modalità di esecuzione delle rivaccinazioni della vaccinazione antitetanica.

(11) CESTER cit.

(12) NEGRONI A.A., Sul concetto di “trattamento sanitario obbligatorio”, in Rivista dell'associazione italiana dei costituzionalisti 26/11/2017.

(13) Cass. 16 ottobre 2007 n. 21748 sul c.d. caso Englaro.

(14) L. 13 maggio 1978, n.180 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori).

(15) D.l. 7 giugno 2017, conv. in legge 31 luglio 2017 n. 119, che nel rendere obbligatorie dieci vaccinazioni, le pone come condizione per l'accesso alle scuole dell'infanzia; l'art. 4 d.p.r. 7 settembre 1965 n. 1301 pone la vaccinazione antitetanica come condizione per l'affiliazione alle associazioni sportive.

(16) ALIBRANDI, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, ed. 1994, 601, in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 87, 89, 91 e 136 t.u. 1124/1965.

(17) Da ultimo C. cost. 23 giugno 2020, n. 118; in precedenza sentenze 5/2018, 268/2017, 107/2012.

(18) ICHINO cit.

(19) DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2020, 362; Cass. 5 febbraio 2020 n. 2592, cit. ivi, 281; vedi anche gli all. 4 e 5 al t.u. 1124/1965 sulle malattie professionali nell'industria e nell'agricoltura.

(20) Corte cost. ord. 14 gennaio 2021 n. 4; ord. 21.11.2017 n. 5/2018.

(21) MAZZOTTA cit.

(22) RIVERSO cit.

(23) Sulla quale vedi CORSALINI G., L'INAIL e il Covid-19, in RDSS, II, 2020, 365; DE MATTEIS A., Le infezioni da coronavirus come infortunio sul lavoro: le specialità della tutela italiana, ivi, III, 643.

(24) La giurisprudenza di legittimità, partita dall'affermazione che non basta il nesso spaziale e temporale, dovendo il lavoratore provare il nesso funzionale con il lavoro, è oggi pervenuta, con l'impulso della dottrina, e conformemente a legislazioni straniere, a statuire che l'infortunio avvenuto durante il lavoro si presume per causa lavorativa, salvo prova contraria; unico limite: il rischio elettivo. Sul tema ci sia consentito a rinviare a DE MATTEIS, Infortuni cit., 111 segg.

(25) DE MATTEIS, Le infezioni da coronavirus cit.

(26) GIUBBONI S., Covid 19: Obblighi di sicurezza, tutele previdenziali, profili riparatori, in WP CSDLE MASSIMO D'ANTONA, maggio 2020; LUDOVICO G. Il contagio da Covid 19 come infortunio sul lavoro tra copertura Inail e responsabilità civile, in RDSS, 2020, II, 353.

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