Buoni pasto e smart working: esenzione parziale dalla formazione del reddito di lavoro dipendente
16 Febbraio 2021
Sono un datore di lavoro che, considerate le esigenze legate al contenimento dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, ha previsto per i propri dipendenti la modalità di lavoro agile c.d. “smart working”. Mi chiedo se ai fini delle imposte dirette, stante questa forma di “lavoro agile”, il servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto, erogati ai lavoratori in modalità “smart”, concorra o meno alla formazione del reddito di lavoro dipendente e, quindi, se io debba o meno operare la ritenuta a titolo di acconto Irpef sul valore del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto.
La questione da Lei prospettata è stata recentemente attenzionata dall'Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Lazio, con Risposta ad Interpello n. 956-2631/2020. L'Amministrazione finanziaria ha ritenuto che il datore di lavoro non sia tenuto ad operare anche nei confronti dei lavoratori in “smart working” la ritenuta a titolo di acconto Irpef sul valore dei buoni pasto fino ad euro quattro, se cartacei, ovvero fino ad euro otto, se elettronici non concorrendo alla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell'art. 51, comma 2, lettera c) del TUIR. L'Agenzia è giunta a tale conclusione chiarendo che l'espresso riferimento, operato dall'art. 51, comma, 2 lett. c), del TUIR, alle prestazioni sostitutive di mensa, dapprima disciplinate dal D.P.C.M. 18 novembre 2005, ed ora dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 7 giugno 2017, n. 122, pur non avendo natura tributaria, assume rilevanza ai fini fiscali, non prevedendo la normativa fiscale una definizione delle “prestazioni sostitutive di mensa”, limitandosi solo a disporre la non concorrenza alla formazione del reddito nei limiti indicati. Sulla scorta di ciò, l'Agenzia delle Entrate aveva già avuto occasione di rilevare che anche i lavoratori subordinati a tempo parziale, la cui articolazione dell'orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo, ove fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui all'art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR (Risoluzione n. 118/E del 30 ottobre 2006).
Stante tale chiarimento ed avuta, altresì, considerazione del fatto che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili, l'Agenzia, con la Risposta ad Interpello in questione, ha ritenuto che per tali prestazioni sostitutive del servizio di mensa trovi applicazione il regime di parziale imponibilità prevista dalla lettera c) del comma 2 dell'art. 51 del TUIR, a prescindere dall'articolazione dell'orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. Preso atto del chiarimento fornito dall'Amministrazione finanziaria, occorre saggiarne la fondatezza o meno.
L'art. 20 della Legge 22 maggio 2017, n. 81, riconosce al “lavoratore agile” il diritto ad un “trattamento economico e normativo” non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che eseguono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda, nel rispetto dei contratti collettivi. Ai fini di una corretta interpretazione sul punto, è opportuno comprendere se il buono pasto possa rientrare o meno nel concetto di “trattamento economico e normativo”.
La Suprema Corte è intervenuta a definire la natura dei “buoni pasto”, sebbene in una diversa fattispecie di congedo parentale, escludendone la natura di elemento “normale” della retribuzione, trattandosi di un' “agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale” (sentenza 29.11.2019, n. 31137).
La Cassazione rileva che “il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell'ambito dell'organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con quelle quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita (laddove non sia previsto un servizio mensa), la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall'Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell'attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio”.
Seguendo l'interpretazione della Cassazione, i buoni pasto non sarebbero, quindi, un elemento della retribuzione, né sarebbero un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, bensì sarebbero un beneficio derivante dalle modalità concrete di organizzazione dell'orario di lavoro, sicchè non rientrerebbero nella nozione di “trattamento economico e normativo”, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in “smart working” ai sensi dell'art. 20 della Legge n. 81 del 2017. Di diverso avviso, invece, è il Tribunale di Venezia che, con la sentenza n. 1069/2020, ha sostenuto l'incompatibilità del lavoro agile con la fruizione dei buoni pasto, a causa della mancanza di determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione di lavoro svolta in tale modalità, ricollegando il beneficio direttamente alle modalità concrete di organizzazione dell'orario di lavoro. Si riporta testualmente: “per la maturazione del buono pasto sostitutivo di mensa, è necessario che l'orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell'orario di servizio. Quando la prestazione è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale”.
A tal riguardo, la ricostruzione realizzata dal giudice sembra non tener conto sia del dettato normativo dell'art. 18 della Legge 22 maggio 2017, n. 81, nella parte in cui richiede il rispetto dei soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, sia degli orientamenti dell'Agenzia delle Entrate, di cui sopra si è data contezza, i quali riconoscono il diritto ai buoni pasto anche ai lavoratori non necessariamente presenti in sede o ove l'orario di lavoro non preveda la fruizione della pausa pranzo. Non si può trascurare di considerare, inoltre, l'art. 87 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, il quale non escluso la fruizione dei buoni pasto in favore di chi è sottoposto allo “smart working”, laddove, per converso, proprio lo stesso articolo, nel disciplinare al comma 3 la diversa fattispecie dell'esenzione dal servizio indica che, in tale ipotesi, “l'amministrazione non corrisponde l'indennità sostitutiva di mensa”. Se ne dovrebbe dedurre, quindi, che ove il Legislatore abbia voluto operare delle esclusioni in favore di chi svolge “lavoro agile” lo ha fatto espressamente, come nel caso dell'indennità sostitutiva di mensa e non, invece, nel caso di “smart working”.
I buoni pasto sono documenti di legittimazione, i quali hanno un duplice scopo: da un lato, identificano gli aventi diritto alla prestazione di vitto, per un importo pari al suo valore facciale; dall'altro, costituiscono un mezzo di prova dell'avvenuta prestazione per i pubblici esercizi nei confronti della società emittrice dei buoni. Tuttavia, i buoni pasto devono contenere necessariamente un collegamento con il tipo di prestazione cui danno diritto. Quest'ultima coincide con la prestazione sostitutiva di mensa a favore dei lavoratori dipendenti, i quali potranno essere, oltre a lavoratori a tempo pieno, soggetti che hanno istaurato un rapporto di collaborazione (non necessariamente subordinato) con il cliente e, ancora, lavoratori part-time.
E tale collegamento sussiste anche nel caso di “lavoro agile”, il quale non rappresenta una nuova tipologia di lavoro subordinato, bensì semplicemente una modalità ulteriore di svolgimento della prestazione lavorativa. Infatti, ciò che caratterizza il lavoro agile è soprattutto la circostanza che la prestazione di lavoro sia eseguita in parte nei locali aziendali ed in parte all'esterno, senza una postazione fissa, sempreché siano rispettati i limiti orari massimi, giornalieri e settimanali, previsti dalla contrattazione collettiva e dalla legge. Alla luce di tali considerazioni, giustamente l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che i buoni pasto riconosciuti ai “lavoratori agili” non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell'art. 51, comma 2, lettera c) del TUIR; pertanto, il datore di lavoro non sarà tenuto ad operare, anche nei confronti dei lavoratori in “smart working” la ritenuta a titolo di acconto Irpef, prevista dall'art. 23 del d.P.R. n. 600/1973, sul valore dei buoni pasto fino ad euro quattro se cartacei, ovvero euro otto, se elettronici.
Diversamente ragionando, si avrebbe la seguente situazione: il “lavoratore agile”, pur non avendo diritto ai buoni pasto, percepirebbe non un servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto, bensì una indennità sostitutiva di mensa, la quale ricadrebbe nell'ambito di applicazione del comma 1 dell'art. 51 del TUIR, concorrendo interamente i valori alla formazione della base imponibile.
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