Rappresentatività delle organizzazioni sindacali e fatto notorio

Francesco Pedroni
17 Febbraio 2021

Nel caso di richiesta di differenze retributive derivanti da accertamento ispettivo con rideterminazione dei salari minimi in base a CCNL diverso da quello applicato dal datore di lavoro risulta corretto l'operato dell'Ispettorato territoriale del lavoro il quale ha ritenuto, in base alla legge, di applicare al rapporto di lavoro i minimi salariali riconosciuti dal CCNL sottoscritto dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative...
Abstract

Nella fattispecie in esame (richiesta di differenze retributive derivanti da accertamento ispettivo con rideterminazione dei salari minimi in base a CCNL diverso da quello applicato dal datore di lavoro) risulta corretto l'operato dell'Ispettorato territoriale del lavoro il quale ha ritenuto, in base alla legge, di applicare al rapporto di lavoro i minimi salariali riconosciuti dal CCNL sottoscritto dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative nel settore (CCNL pulizia sottoscritto da FISE, PSL; AGCI, Unionservizi Confapi e FILCAMS-CGIL, UIL-trasporti e FISASCAT – CISL) invece dei minimi salariali del CCNL individuato dall'azienda (UNCI sottoscritto dalla sola CISAL per i lavoratori e da UNCI e ANPIT per la parte datoriale), essendo notoria la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali storiche sotto il profilo del numero dei lavoratori rappresentati.

Il caso

Per quanto interessa la presente nota, un'azienda datrice di lavoro proponeva opposizione a precetto costituito da verbale di diffida accertativa con cui l'Ispettorato Territoriale del Lavoro aveva, tra l'altro, rideterminato le retribuzioni del personale impiegato sulla base di CCNL diverso da quello applicato dall'azienda ritenendolo carente dei requisiti previsti dalla Legge 142/2001. Tale norma prevede, in tema di tutele retributive dei soci di cooperativa, una soglia retributiva non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine rinviando, a tal fine, ai trattamenti minimi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

L'azienda opponente chiedeva il rigetto della domanda, sostenendo la legittimità del proprio operato e del CCNL adottato (UNCI) sia con riferimento alla coerenza dell'attività aziendale con il settore del CCNL di riferimento, sia in relazione alla rappresentatività delle OO.SS. sottoscrittrici del CCNL applicato (per numero di iscritti, presenza significativa sul territorio nazionale, pluricategorialità, intercategorialità, effettiva attività di autotutela condotta con continuità, Sistematicità ed equilibrata diffusione), sia ancora alla libertà e al diritto dell'azienda di individuare il CCNL da applicare al proprio personale, tra i diversi disponibili per il settore di riferimento.

Si costituiva la lavoratrice opposta che chiedeva il rigetto dell'azione avversaria deducendo, tra l'altro, dati statistici di affiliazione complessiva e per settore a sostegno della maggiore rappresentatività delle OO.SS. sottoscrittrici del CCNL applicato dall'ITL rispetto alle OO.SS. firmatarie del CCNL individuato dall'azienda.

La questione giuridica

Si tratta di stabilire quali siano gli oneri allegativi e probatori, anche in base alla normativa regolante la fattispecie, della rappresentatività comparativamente più elevata delle maggiori associazioni sindacali ai fini dell'individuazione del CCNL di riferimento per determinare la retribuzione minima sufficiente secondo il canone costituzionale di cui all'art. 36 Cost..

La soluzione giuridica

Il Tribunale di Roma ripercorre innanzitutto il contesto e la normativa regolante la fattispecie:

- l'art. 3, comma 1 Legge 142/2001 che nell'ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele del lavoro subordinato prevede come la società cooperative siano tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine;

- l'art. 6, comma 2, Legge 142/2001 che stabilisce come il rinvio alla contrattazione collettiva operi solo per il trattamento economico minimo;

- l'art. 7, comma 4, D.L. 248/2007 che ha precisato che fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore le società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, debbano applicare ai propri soci lavoratori i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai CCNL stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria (la Corte Costituzionale, con sent. 51/2015, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma in questione sollevata dal Tribunale di Lucca);

- il Protocollo d'intesa del 10 ottobre 2007 sottoscritto dal Ministero del Lavoro, dal Ministero dello Sviluppo economico, da AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL con cui il Governo assumeva l'impegno di avviare ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi in base ai parametri previsti dalla normativa sopra elencata con l'obiettivo di contestare l'applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente di cui all'art. 36 Cost., secondo l'interpretazione giurisprudenziale nel solco dell'art. 2099 c.c..

Il predetto contesto, secondo il giudice, attribuisce ai trattamenti economici complessivi previsti dai CCNL sottoscritti dalle OO.SS. dei lavoratori e delle aziende comparativamente più rappresentative nella categoria, valore di parametro esterno con effetti vincolanti in attuazione dell'art. 36 Cost. nella perdurante in attuazione dell'art. 39 Cost.. Tale conclusione, specifica il Tribunale richiamando Cass. 20/02/2019, n. 4951, non pone alcun rischio di lesione del principio di libertà e pluralismo sindacale in quanto le associazioni sindacali minoritarie possono stipulare contratti collettivi con le sole limitazioni ai livelli retributivi minimi e le società cooperative possono scegliere il contratto collettivo da applicare, ma non possono riservare ai soci lavoratori un trattamento economico inferiore a quello minimo ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.

Quanto al requisito della maggiore rappresentatività delle OO.SS. stipulanti il CCNL di riferimento, il Tribunale di Roma ritiene che la rappresentatività comparativamente più elevata delle maggiori associazioni confederali costituisca fatto notorio che il lavoratore non deve provare in giudizio.

Osservazioni

La pronuncia che si annota rientra tra il numeroso contenzioso (di fonte individuale dei lavoratori o in esito ad accertamenti ispettivi dell'INL, INPS o INAIL) relativo all'individuazione dei minimi salariali inderogabili quali parametro del c.d. “salario minimo costituzionale” ex art. 36 Cost. in assenza nel nostro ordinamento di iniziative legislative sia in materia di efficacia erga omnes dei contratti collettivi (in attuazione del predetto art. 36 Cost.), sia di salario minimo legale.

In particolare, la vertenza decisa dal Tribunale di Roma fa parte dell'altrettanto nutrito e variegato sottoinsieme di cause che concerne l'individuazione del CCNL di riferimento per la determinazione del trattamento economico complessivo dei soci lavoratori nel settore cooperativo, nell'ambito del peculiare contesto normativo analizzato nel paragrafo precedente.

Sul tema, per quanto di interesse della presente nota, la giurisprudenza successiva alla pronuncia della Consulta n. 51/2017 sull'art. 7, comma 4, D.L. 248/2007 è stata tutt'altro che univoca.

Da una parte vi è un orientamento “garantista”, sostitutivo della libertà e autonomia delle parti e sindacale, che individua un CCNL diverso da quello adottato dal datore di lavoro anche in base ad un generico richiamo al fatto notorio circa la maggiore rappresentatività delle parti stipulanti (Trib. Parma, 26 novembre 2015, n. 379/2015; Trib. Milano, 25 agosto 2016, n. 2309/2016; App. Milano, 17 maggio 2019, n. 720/2019; Trib. Milano, 29 ottobre 2019, n. 2457/2019). Dall'altra parte si pongono invece le pronunce che rigettano le domande in mancanza di idonea prova circa la maggiore rappresentatività dei sindacati stipulanti il CCNL che prevede i minimi salariali richiesti (cfr. precedenti contrari in calce).

La sentenza che si annota rientra nel primo orientamento laddove postula, senza approfondimento del tema né esame delle deduzioni delle parti, che è notoria la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali storiche sotto il profilo del numero dei lavoratori rappresentati. Tale assertiva conclusione non pare però corretta sotto il profilo dei principi he regolano la prova e della nozione di fatto notorio che è un concetto giuridico eccezionale che deroga al principio dispositivo e al contraddittorio consentendo l'esenzione dell'attore dall'onere della prova in base all'art. 115, comma 2 c.p.c..

Il fatto notorio - che si sostanzia nel ricorso da parte del giudice alle nozioni di comune esperienza - viene inteso dalla giurisprudenza anche di legittimità in senso rigoroso e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile. Conseguentemente, non possono rientrare nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie (al riguardo recentemente, Cassazione civile sez. III - 26/05/2020, n. 9714; cfr. anche, nella fattispecie, Corte appello sez. lav. - Milano, 14/03/2019, n. 233).

Con riferimento alla fattispecie, la sussistenza della qualità di "organizzazione comparativamente rappresentativa" in capo alle sigle sindacali storiche non si può ritenere fatto notorio c.d. “assoluto” in quanto non costituisce fatto conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo, nè fatto rientrante nel patrimonio di cognizioni comuni e generali in possesso della collettività nel tempo e nel luogo della decisione e nemmeno fatto notorio c.d. “relativo", che attribuisce rilievo alla comune cultura di una specifica e qualificata cerchia sociale (Trib. Ivrea, 15 gennaio 2014, n. 71).

Anche la giurisprudenza di legittimità espressasi in materia di determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi dell'assicurazione obbligatoria, ha ritenuto che “qualora non venga fornita la prova della dedotta maggiore rappresentatività di un sindacato firmatario di un contratto collettivo, ogni indagine in ordine ai limiti e alla definizione della valutazione comparativa delle organizzazioni sindacali più rappresentative della categoria è fuori luogo" (così Cass., n. 3912/1999). Questo principio di diritto, affermato con riferimento alla nozione di "sindacato maggiormente rappresentativo", a maggior ragione deve intendersi riferibile alla nozione di "sindacato comparativamente più rappresentativo" che implica una valutazione dinamica e comparata dell'evoluzione della rappresentatività di un determinato sindacato in base al periodo storico e al determinato settore di riferimento (con particolare riferimento alla necessità della prova specifica della rappresentatività della triade storica a livello di singola categoria cfr. Trib. Pavia 02/05/2017, n. 102).

Non costituendo dunque la maggiore rappresentatività sindacale un fatto notorio, la parte che richieda l'applicazione di un determinato contratto collettivo (e la disapplicazione di un altro) ai fini della determinazione del salario minimo costituzionale di riferimento avrà l'onere di allegare e dimostrare che le organizzazioni sindacali sottoscrittrici del CCNL invocato hanno maggiore rappresentatività. Ciò sia con riferimento alle associazioni dei lavoratori che alle associazioni datoriali (sull'inidoneità dei soli sindacati dei lavoratori a tal fine - tra cui peraltro vi era la CISAL - si veda Trib. Torino, 03/08/2020, n. 683).

Tale onere non potrà essere assolto limitandosi a richiamare indicazioni e prassi amministrative (es. valutazioni espresse in circolari amministrative - CdA Milano, 14/03/2019, n. 233; Trib. Milano, 5 maggio 2017, n. 1290), ma dovrà riguardare un complesso di elementi concreti quali ad es. numero complessivo delle aziende e dei lavoratori associati, diffusione territoriale, numero di CCNL stipulati e vigenti, numero di verbali di revisione (cfr. circ. Min. Lav., 1/6/2012, n. 10310) con riferimento ad un determinato settore. La conferma di un solo dei predetti indici non può far presumere, infatti, la maggiore rappresentatività di una sigla sindacale in un determinato settore o comparto.

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