L’omologa del concordato fallimentare con assuntore e imposta di registro

Daniele Portinaro
17 Febbraio 2021

Non è soggetto ad imposta l'accollo delle passività fallimentari, in quanto atto collegato e contestuale ad altre disposizioni, in particolare alla disposizione concernente il trasferimento delle attività fallimentari.
Massima

Nell'applicare l'imposta di registro sui provvedimenti di omologa del concordato fallimentare occorre considerare l'art. 21, TUR, nella sua interezza, ivi incluso il comma 3. Per l'effetto, non è soggetto ad imposta l'accollo delle passività fallimentari, in quanto atto collegato e contestuale ad altre disposizioni, in particolare alla disposizione concernente il trasferimento delle attività fallimentari.

Il caso

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 2838/2020, ha confermato il pronunciamento di primo grado, riconoscendo illegittima l'applicazione dell'imposta di registro sull'omologa del concordato fallimentare con assuntore nella misura del 3% del debito accollato.

La sentenza ricorda che, in base all'art. 21, comma 3, TUR, “non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni”.

L'Erario può pertanto percepire soltanto l'imposta normalmente dovuta sul trasferimento all'assuntore dell'attivo fallimentare, secondo la composizione di questo, similmente a quanto accadrebbe ove tale trasferimento avvenisse non tanto nell'ambito di una procedura concorsuale, ma nel contesto di un negozio ordinario, peraltro in conformità ad un ovvio principio di eguaglianza sostanziale.

È opportuno ricordare che la prassi dell'Agenzia delle Entrate prevede una duplice liquidazione dell'imposta, sull'attivo trasferito e sull'accollo, seguito dal confronto tra i due importi, per la finale applicazione del più alto tra i due. Nel giudicare anche tale prassi, la CTR Lombardia ha escluso che questa prassi sia conforme al diritto.

Nella sostanza, un tale indirizzo giurisprudenziale, contribuendo ad alleggerire i costi indiretti dei concordati (fallimentare o preventivo) con assuntore, va a beneficio indiretto dei creditori, ai quali i proponenti potrebbero indirizzare offerte a questo punto corrispondentemente aumentate.

Il concordato fallimentare – oggetto del caso esaminato dalla CTR – costituisce uno strumento giuridico in grado di chiudere anticipatamente la procedura di fallimento attraverso il soddisfacimento dei creditori da parte di un soggetto terzo. In particolare, nel concordato fallimentare “la proposta presentata da uno o più creditori o da un terzo può prevedere la cessione, oltre che dei beni compresi nell'attivo fallimentare, anche delle azioni di pertinenza della massa, purché autorizzate dal giudice delegato, con specifica indicazione dell'oggetto e del fondamento della pretesa”, come stabilisce l'art. 124 L.fall.

Per la dottrina prevalente, tale procedura si caratterizza per una connotazione prettamente privatistica (si veda, per tutti, F. Censoni, Il concordato fallimentare, in S. Bonfatti - P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 453), risolvendosi essenzialmente in un accordo tra il proponente e i creditori del fallimento nel quale il controllo del tribunale risulta pressoché limitato ad una mera verifica della regolarità formale della procedura e si traduce nella sua omologazione con decreto ex. 129 L.F.

Peraltro, anche la proposta di concordato preventivo può prevedere “l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore” (Art. 160 L.F).

Il tema che qui si affronta è come debbano essere tassati ai fini dell'imposta di registro i provvedimenti di omologazione in tali circostanze.

La questione

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia risolve correttamente una tematica fondamentale nella tassazione dei provvedimenti di omologa del concordato fallimentare, approfondendo un aspetto sfuggito all'Agenzia delle Entrate.

Nell'opinione dell'Agenzia delle Entrate si applicherebbe l'art. 21 TUR, che disciplina le fattispecie di necessaria derivazione delle disposizioni di un medesimo atto le une dalle altre, per via della propria intrinseca natura. In specie, l'accollo del passivo fallimentare da parte dell'assuntore deriverebbe dal trasferimento dell'attivo fallimentare al medesimo.

Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate, in conformità all'art. 21, comma 2, TUR, l'imposta si applicherebbe come se l'atto contenesse la sola disposizione, tra le diverse contenuto nell'atto, che dà luogo all'imposizione più onerosa, normalmente l'accollo stesso, tassato al 3%.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rileva come l'Agenzia delle Entrate ometta di considerare il comma 3 del medesimo art. 21, il quale, al contrario, esclude da imposizione gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni, come accade appunto nel caso di specie.

Osservazioni

La disciplina della tassazione ai fini dell'imposta di registro dei provvedimenti di omologa dei concordati in questione non è fissata in modo diretto dalla normativa, ma deve essere ricavata attraverso una non semplice interpretazione sistematica di diverse disposizioni.

Il dibattito antecedente alla sentenza che qui si commenta si è soffermato soprattutto sull'esegesi dell'art. 8 della tariffa, parte I, TUR.

Recita la norma in parola:

“1. Atti dell'autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti di aggiudicazione e quelli di assegnazione, anche in sede di scioglimento di comunioni, le sentenze che rendono efficaci nello Stato sentenze straniere e i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali:

a) recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti. Le stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti

b) recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura 3%

c) di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale 1%

d) non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale € 200,00

e) che dichiarano la nullità o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto € 200,00

f) aventi per oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, ancorché recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, già facenti parte di comunione fra i coniugi; modifica di tali condanne o attribuzioni € 200,00

g) di omologazione € 200,00”.

La Corte di Cassazione ha osservato che la disposizione in questione elenca le categorie di atti giurisdizionali oggetto d'imposizione, distinguendo tra categorie generali, quelle contemplate alle lettere da a) a d), e le categorie particolari, quelle di cui alle lett. da e) a g).

Occorre sottolineare in particolare che quest'ultima lettera g) assoggetta espressamente ad imposta fissa gli atti di “omologazione”.

Benché tale enunciazione non offra poi ulteriori spunti interpretativi, la medesima è tuttavia parsa sufficiente ad un primo indirizzo esegetico per ritenervi racchiusa la disciplina della tassazione qui ricercata. Agli atti di omologa del concordato si applicherebbe pertanto la sola tassa fissa, in quanto, “esclusa (…) la possibilità di inquadramento in una delle ipotesi da a) ad f), non resta che rivalutare il criterio nominalistico e quindi ritenere che la sentenza di omologazione del concordato preventivo rientri nella dizione di cui alla lett. g) che per l'appunto, comprende genericamente gli atti di omologazione” (Cass. nn. 10352/2007, 19141/2010, e 19596/2015).

In altri termini, la Suprema Corte, esclusa l'idoneità di ciascuna delle categorie enumerate alle lettere da a) ad f) dell'art. 8 a racchiudere i provvedimenti in questione, ha fatto ricorso al canone interpretativo letterale, come previsto dall'art. 12 delle preleggi, secondo il quale alla legge non si può che attribuire il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.

Poiché nessuna delle espressioni contenute dalle lettere da a) ad f) è di per sé idonea ad indicare i provvedimenti di omologa del concordato (nella fattispecie, preventivo, ma analoghe considerazioni si applicherebbero a quello fallimentare), la Suprema Corte, rinvenendo una evidente affinità linguistica tra il testo della lettera g) e la denominazione di questi provvedimenti, come prevista dalla legge fallimentare, ha concluso, sulla base del criterio letterale di interpretazione della legge, per l'appartenenza dei medesimi al novero degli atti ivi previsti.

Superando infine ogni ragionevole dubbio residuale, la Corte ha ulteriormente chiarito che “l'indirizzo non può non applicarsi al concordato con cessione dei beni” (Cass. 19141/2010).

Un secondo e più recente indirizzo interpretativo nega invece tale impostazione. Stando a tale orientamento, “il decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento di terzo assuntore deve essere tassato in misura proporzionale ai sensi della lett. a) dell'art. 8 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, in ragione degli effetti immediatamente traslativi del provvedimento, con il quale il terzo assuntore acquista i beni fallimentari, senza che assuma conseguentemente rilevanza il generico e nominalistico riferimento agli "atti di omologazione" contenuto nella lett. g) del detto articolo” (Cass. civ., Sez. VI, 5 Ord., 12.2.2018, n. 3286).

L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate - Secondo l'Amministrazione Finanziaria troverebbe sempre applicazione l'imposta di registro in misura proporzionale. Afferma infatti l'Agenzia delle Entrate che “il decreto di omologa del concordato con intervento del terzo assuntore, in qualità di atto traslativo della proprietà dei beni a favore del terzo assuntore, deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura proporzionale, in base a quanto stabilito dall' art. 8, lett. a), della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, che prevede l'applicazione delle «stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti»” (Circolare 21/06/2012 n. 27/E, par. 1.2.).

Occorrerebbe quindi innanzitutto guardare alla composizione dell'attivo trasferito e determinare l'ammontare dell'imposta in ragione di natura, numero e valore dei beni e diritti trasferiti per effetto del provvedimento di omologa, applicando le varie aliquote previste agli artt. da 1 a 7 della Tariffa per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà e/o la costituzione di diritti reali in relazione a beni immobili, mobili, o ad altri diritti.

Una tale posizione, che guarderebbe soprattutto agli effetti sostanziali del provvedimento, piuttosto che alla sua denominazione, troverebbe conforto nel secondo indirizzo interpretativo della Suprema Corte sopra accennato.

Ma una tale posizione non è tuttavia esaustiva delle indicazioni dell'Amministrazione Finanziaria ed è su tale appendice esegetica che sorgono le maggiori perplessità, appunto esaminate dalla sentenza che qui si commenta.

L'Agenzia delle Entrate aggiunge ancora che, “per quanto attiene alla determinazione della base imponibile, si ritiene che l'accollo delle obbligazioni scaturenti dal concordato da parte del terzo assuntore costituisca una disposizione intrinsecamente connessa a quella relativa al trasferimento dell'attivo fallimentare, essendo entrambe finalizzate a realizzare una vicenda giuridica unitaria ed inscindibile. La connessione tra il trasferimento dell'attivo fallimentare in favore dell'assuntore e l'accollo delle obbligazioni scaturenti dal concordato non si realizza in maniera soltanto occasionale né trova la sua fonte nella mera volontà delle parti. Infatti, il trasferimento all'assuntore dei beni compresi nell'attivo fallimentare ha il suo titolo esclusivo nel provvedimento di omologa del concordato (cfr. sentenza Cass. Civ. 19 luglio 1982, n. 4239). (….) Ne consegue che, ad avviso della scrivente, si rende applicabile la disposizione recata dall' art. 21, secondo comma, del TUR, relativo agli atti contenenti più disposizioni che derivano necessariamente le une delle altre. In ossequio a tale disposizione normativa, l'imposta di registro si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa, da determinare avendo riguardo sia all'aliquota che alla base imponibile” (Circolare 21/06/2012 n. 27/E, par. 1.2).

Seguendo tale approccio, l'applicazione del disposto dell'art. 21 TUR, comporterebbe di dover effettuare una seconda determinazione, corrispondente alla misura dell'imposta relativa all'atto di accollo del passivo.

All'esito del confronto tra il primo calcolo, corrispondente all'imposta sul trasferimento dell'attivo, ed il secondo, appunto l'imposta sull'accollo, si liquiderebbe l'imposta nella misura del più alto tra i due.

Critiche alla tesi dell'Agenzia delle Entrate - Assumiamo in questa sede, quale assioma, l'applicabilità del secondo indirizzo giurisprudenziale, lasciando ad eventuali interventi della magistratura l'eventuale rivalutazione del primo.

Da una tale prospettiva, risulta comunque difficile comprendere per quali ragioni l'Agenzia delle Entrate pretenda di applicare solo parzialmente l'art. 21 più volte citato.

È pur vero che tale norma, al comma 2, dispone che “se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa”.

Ma è altrettanto vero che il medesimo art. 21, al comma 3, dispone che “non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni”.

Se pertanto il principio del comma 2 impone di verificare se le plurime disposizioni dell'atto siano le une derivate dalle altre, per loro intrinseca natura, e quindi di applicare l'imposta come se l'atto contenesse la sola disposizione che determina la maggiore imposta, tuttavia, ad ulteriore precisazione, il comma 3 esclude inequivocabilmente da imposizione gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni.

Ora, è del tutto evidente che il trasferimento dell'attivo e l'accollo del passivo e degli altri oneri sono due atti tra di loro collegati e contestuali, essendo in definitiva il secondo il corrispettivo del primo. Nessun dubbio che il loro legame sia poi eziologico, non potendosi certo immaginare che il trasferimento dell'attivo avvenga senza una contropartita, appunto l'accollo del passivo, o che quest'ultimo avvenga di per sé alla stregua di una liberalità. Da qui il richiamo all'art. 21 nella prassi amministrativa più volte citata.

Ma, se così è, non si vede per quale ragione si debba elidere il disposto del comma 3.

Come nota ed autorevole dottrina ha già avuto modo di chiarire (Busani, Imposta di registro, II ed., 2018, 743 ss.), il senso di questa ultima disposizione è sufficientemente chiaro:

“Se questi accolli (…) non sono soggetti ad imposta vuol dire che essi si sottraggono alla norma, propria delle disposizioni intrinsecamente connesse per loro stessa natura, secondo la quale, in tali casi, si deve procedere alla tassazione della sola disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa. Invero, l'art. 21, comma 3, TUR, intende chiarire, a priori e una volta per tutte, affinché non vi siano contrasti interpretativi sul punto, che questi accolli (…) in quanto si tratta di mere clausole di un più ampio contratto che non avrebbero autonomia al di fuori del contratto in cui sono contenute (…), non costituiscono una manifestazione di capacità contributiva. In altre parole, l'articolo 21, comma 3, TUR, esplicita, per lo specifico caso degli accolli (….) (che non integrino un <<atto>> a sé stante, ma che concorrano a comporre un più ampio contratto) ciò che, se la norma di cui all'articolo 21, comma 3, TUR, non esistesse, si desumerebbe comunque dal principio generale in base al quale (…) la legge di registro bensì stabilisce la tassazione (art. 1, TUR; art. 21, TUR)

  • Dell'<<atto>> in quanto contenitore di un'unica <<disposizione>>, nonché;
  • Delle <<disposizioni>> (se più di una) che compongano un unico atto;

ma non la tassazione delle singole clausole che concorrono a comporre la <<disposizione>> soggetta a tassazione; e ciò, in quanto è la formazione della <<disposizione>> che concreta la manifestazione di capacità contributiva, mentre restano irrilevanti le singole clausole di cui la <<disposizione>> si componga. E', infatti, dalla <<disposizione>>, intesa nel senso di <<negozio>> o di <<atto giuridico>>, che promana la manifestazione di capacità contributiva, in quanto essa deriva dalla produzione di <<effetti giuridici>> (art. 20, TUR); le clausole di cui la <<disposizione>> si compone, invece, non producono autonomamente <<effetti giuridici>> e, quindi, non sono un possibile oggetto di tassazione”.

Si tratta, invero, di principi condivisi, di recente conformemente commentati anche da altra autorevole dottrina (De Mita E., Il registro tassa l'atto non le clausole, in Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2019, 30) ed applicati in orientamenti giurisprudenziali di merito (CTP di Brescia, sent. 772/2019), oltre che condivisi, sia pur in un diverso contesto, dalla Suprema Corte (Cass., ord. 8786/2017).

È quindi evidentemente inappropriato ricostruire la fattispecie come indicato dalla citata prassi amministrativa e, piuttosto, la tassazione dovrebbe essere commisurata esclusivamente all'attivo trasferito, in quanto l'accollo nella fattispecie del concordato altro non è che il pagamento del “corrispettivo” di tale trasferimento, assorbito dall'eccezione dell'art. 21, comma 3, TUR.

Conclusioni

L'interpretazione della fattispecie offerta dall'Agenzia delle Entrate nella propria prassi ha due rilevanti debolezze.

Mentre la prima è affidata ad un contrasto giurisprudenziale, di cui si è fatto sopra cenno e che in questa sede ci si limita a menzionare, così che resta dubbio se i provvedimenti in questione debbano essere sottoposti a registrazione a tassa fissa o ad imposta proporzionale, la seconda parrebbe esclusivamente frutto di una imprecisa applicazione della disciplina normativa dell'art. 21, TUR. Norma che, se correttamente interpretata, esclude che l'accollo del passivo da parte del proponente possa formare oggetto di autonoma considerazione ai fini della tassazione.

Del resto, la corretta interpretazione della fattispecie non può che discendere dai principi generali, che impediscono di tassare le singole clausole di un atto, ove prive di autonomia al di fuori dell'atto stesso, ma impongono di guardare all'atto nel suo insieme.

Per determinare l'imposta, pertanto, ove non si ritenga applicabile la tassa fissa, occorrerà guardare esclusivamente all'attivo trasferito al proponente e considerare l'accollo del passivo non soggetto ad imposta ai sensi dell'art. 21, comma 3, TUR, in quanto disposizione collegata e contestuale appunto al trasferimento dell'attivo.

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