L'unico indirizzo PEC rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato all'Ordine di appartenenza

Redazione scientifica
19 Febbraio 2021

L'unico indirizzo PEC rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza (c.d. domicilio digitale). Inoltre, il difensore non ha più l'obbligo di indicare tale indirizzo nell'atto di parte, dovendo indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale, valendo questo come criterio di univoca individuazione dell'utente SICID.

Così si è espressa la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 3685, depositata il 12 febbraio 2021.

Nel caso di specie, era stata sollevata

eccezione

di

inammissibilità

del

controricorso

in quanto notificato presso l'indirizzo PEC del difensore della ricorrente, anziché presso il domicilio eletto in occasione del deposito del ricorso, e ciò sul presupposto che l'indicazione dell'indirizzo di cui sopra sarebbe stata fatta ai soli fini delle comunicazioni e non anche delle notificazioni.

La Suprema Corte rigetta l'eccezione richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 14140/2019) secondo cui «in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell'introduzione del «domicilio digitale», corrispondente all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza - secondo le previsioni di cui all'art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni in l. n. 221/2012, come modificato dal d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni in l. n. 114/2014 - la notificazione dell'atto, nella specie di appello, va eseguita all'indirizzo PEC del difensore costituito risultande dal ReGIndE, pur non indicato in atti dal difensore medesimo» (Cass. civ., n. 14914/2018; Cass. civ., n. 30139/2017; Cass. civ., n. 17048/2017).

Inoltre, alla luce della modifica della notificazioni telematiche (d.l. n. 90/2014, convertito con l. n. 114/2014) l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo PEC del difensore è stato soppresso.

Il d.l. cit. poi ha aggiunto al d.l. n. 179/2012 l'art. 16-sexies sul «domicilio digitale», ai sensi del quale «salvo quanto previsto dall'art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'art. 6-bis del d.lgs. n. 82/2005 (INI–PEC) delle imprese e dei professionisti -, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia (ReGIndE)».

Alla luce di questo, essendo l'indirizzo PEC collegato in modo univoco al codice fiscale del titolare, oggi l'unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza. Il difensore inoltre non ha più l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata, né la facoltà di indicare un indirizzo diverso da quello comunicato al Consiglio dell'Ordine o di restringerne l'operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale, valendo questo come criterio di univoca individuazione dell'utente SICID e consentendo questo di risalire all'indirizzo di posta elettronica del professionista.
Precisa infine la Suprema Corte che resta invece fermo il contenuto dell'art. 366 comma 2 c.p.c. che, limitatamente al giudizio di Cassazione, prevede la domiciliazione ex lege del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, né abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.

*fonte: www.ilprocessotelematico.it

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