Quali errores in procedendo possono essere fatti valere dinanzi alla Corte di cassazione?
22 Febbraio 2021
Massima
Il mancato esame da parte del giudice, sollecitato dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronuncia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall'art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte. In tema di ricorso per cassazione, l'esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l'ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti. Il caso
Il Fallimento ZZZ conveniva in giudizio, innanzi al competente Tribunale, l'amministratore ed i sindaci della S.p.a. YYY, chiedendo che gli stessi, previo accertamento della loro responsabilità per inosservanza dei doveri derivanti dalle rispettive cariche sociali, fossero condannati, in solido, a risarcire i danni patiti dalla società fallita. I convenuti, eccezion fatta per uno di essi, si costituivano in giudizio resistendo alla domanda e chiamando in causa i rispettivi assicuratori, i quali, costituitisi a loro volta in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda spiegata dal Fallimento e, in subordine, il rigetto delle domande di manleva. Il Tribunale adito accoglieva la domanda del Fallimento unicamente nei confronti dell'amministratore della società fallita, condannandolo al risarcimento dei danni nell'entità richiesta, e dichiarava cessata la materia del contendere nei confronti dei chiamati in causa. La sentenza veniva gravata dal Fallimento e dall'amministratore della società fallita. Entrambi gli appelli, previa riunione, venivano respinti dalla Corte di merito adita, che confermava in toto la sentenza impugnata. Per ciò che interessa in questa sede, va ricordato che l'amministratore, con riferimento al rito societario applicabile ratione temporis, eccepiva l'inesistenza o la nullità di provvedimento di fissazione d'udienza ex art. 12 comma 3 del d.lgs. n. 5/2003, giacché non contenente l'invio alle parti di depositare, almeno cinque giorni prima dell'udienza, memorie conclusionali, e, in subordine, l'inammissibilità, per intervenuta decadenza, delle memorie di replica e dei documenti depositati dalla controparte dopo la data in cui egli aveva provveduto a notificare istanza di fissazione di udienza. In sede di motivazione della sentenza, la Corte di merito, dichiarava infondata la prima questione, rilevando che la violazione dell'art. 12 comma 3 del d.lgs. citato non comportava alcuna nullità insanabile o inesistenza, in difetto di previsione di tali sanzioni, e che, comunque, l'atto aveva raggiunto il suo scopo, dal momento che tutte le parti avevano tempestivamente depositato le proprie memorie; dichiarava inammissibile la seconda questione, rilevando che il giudice di primo grado aveva stabilito che doveva escludersi che si fossero verificate le decadenze evocate, stante l'inammissibilità dell'istanza di fissazione di udienza, già dichiarata ai sensi dell'art. 8 comma 5 del d.lgs. n. 5/2003 con ordinanza non impugnabile e, comunque, congruamente motivata, osservando che l'inammissibilità dell'istanza impediva il prodursi di ogni effetto rilevante ai fini della prosecuzione del processo, nonché che il «percorso motivazionale» seguito dal primo giudice «non era stato in alcun modo intaccato dall'appello con conseguente inammissibilità del motivo». Avverso la pronuncia proponeva ricorso l'amministratore della società fallita, cui il Fallimento resisteva con controricorso, provvedendo anche a proporre ricorso contro gli altri originari convenuti ed i chiamati in causa. La questione
La questione che interessa in questa sede è consistita nello stabilire se fosse configurabile vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di merito in ordine a questioni puramente processuali e se gli errores in procedendo potessero assurgere a causa autonoma di nullità della sentenza gravata, nonché quali fossero gli oneri del ricorrente nel caso di deduzione dei suddetti errores. Le soluzioni giuridiche
i) A parere del ricorrente, la decisione gravata era meritevole di cassazione, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente ha lamentato che la Corte di merito aveva «omesso ogni dovuta disamina» in ordine alle «questioni ed eccezioni di natura processuale» sollevate con l'atto di appello. Con riferimento all'eccezione di nullità del provvedimento di fissazione di udienza ai sensi dell'art. 12 comma 3 del d.lgs. n. 5/2003, il ricorrente ha dedotto che la Corte di merito non aveva tenuto in conto l'insegnamento della dottrina secondo cui l'indicazione del termine per il deposito di memorie conclusionali riveste carattere di obbligatorietà, con la conseguente inesistenza giuridica o nullità del provvedimento in questione e di ogni atto successivo; nessuna valenza potendo essere attribuita all'assunto di «raggiungimento dello scopo», in quanto «limitato esclusivamente alla avvenuta conoscenza delle parti in causa della fissazione dell'udienza collegiale e non certo alla attività processuale consentita alle medesime parti». Con riferimento all'eccezione di inammissibilità, per intervenuta decadenza, delle memorie di replica e dei documenti depositati dalle controparti successivamente alla notifica di istanza di fissazione di udienza, il ricorrente ha dedotto a) che tale istanza non poteva essere considerata inammissibile, giacché proposta nella stessa data della sua costituzione in giudizio, nessun rilievo assumendo la mancata notificazione della propria comparsa di risposta ai terzi evocati in giudizio dal Fallimento, che comunque di tale mancata notifica non era legittimato a dolersi; b) che, anche a voler per assurdo ritenere illegittima la predetta istanza, ogni atto notificato e deposito effettuato dal Fallimento dopo la relativa notifica e, comunque, prima della richiesta declaratoria di inammissibilità dell'istanza medesima e, quindi, anche l'istanza di fissazione di udienza proposta e notificata dal Fallimento risultavano palesemente irrituali ed illegittimi per l'avvenuta violazione dell''art. 8 comma 5 del d.lgs. n. 5/2003 nonché del «principio del contraddittorio» e, in ogni caso, privi di qualsivoglia effetto sotto il profilo processuale. ii) La Suprema Corte ha dichiarato i motivi di doglianza sopra ricordati inammissibili sotto diversi profili. Posto che le doglianze, «pur prescindendo dalla confusa e contraddittoria indicazione in rubrica di diverse e incompatibili tipologie di vizio cassatorio», sembravano nella sostanza prospettare (solo) un «vizio di omessa pronuncia», la Suprema Corte ha escluso che tale vizio si potesse mai configurare con riferimento a questioni processuali quali quelle dedotte, chiarendo che, stante il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il mancato esame da parte del giudice, sollecitato dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronuncia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall'art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte. Inoltre, la Suprema Corte ha rilevato l'inosservanza dell'onere, sussistente anche nel caso in cui vengano prospettati vizi di natura processuale, di specifica indicazione degli atti e documenti richiamati, imposto a pena di inammissibilità dall'art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c., avendo il ricorrente fatto ripetuto riferimento al contenuto di atti processuali, senza mai compiutamente trascriverne, o comunque adeguatamente sintetizzarne, il contenuto e mancando altresì di localizzare tali atti come prodotti nel fascicolo processuale. Infine, la Suprema Corte ha rilevato che, indipendentemente dai suddetti pur assorbenti rilevi, doveva rilevarsi l'aspecificità di entrambe le censure, nessuna di esse avendo colto l'effettiva ratio decidendi esposta nella sentenza gravata in relazione alle questioni poste, e doveva, altresì, rilevarsi, con riguardo alla prima, che non risultava, inammissibilmente, indicato quale pregiudizio in concreto sarebbe derivato dal fatto che il provvedimento di fissazione di udienza non conteneva l'invito alle parti di depositare memorie conclusionali almeno cinque giorni prima della fissata udienza. Osservazioni
L'ordinanza in commento merita attenta lettura e rimembro, avendo illustrato in un unico contesto, con compiutezza e con caratteri didascalici, i principi che, nel loro complesso, disciplinano la materia del ricorso per cassazione nei casi di denuncia di errores in procedendo. La Suprema Corte ha basato la propria pronuncia su distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a dare supporto alla soluzione adottata. i) Il principio di diritto di maggiore interesse sancito (rectius: ribadito) dalla Suprema Corte è costituito dall'affermazione che il vizio di omessa pronuncia mai può ritenersi configurabile con riferimento a questioni puramente processuali quali quelle nel caso concreto dedotte (mancato esame da parte del giudice, sollecitato dalla parte, di una questione puramente processuale - si fa rinvio, per il dettaglio, al precedente paragrafo), ma con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall'art. 112 c.p.c., (solo) in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (principio già affermato da Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2014, n. 7406 e ribadito, in motivazione, da Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2019, n. 2343), il che non sarebbe occorso nel caso di specie. ii) Quanto agli oneri gravanti sul ricorrente nei casi in cui venga dedotto un error in procedendo, la S.C. ha ribadito il principio secondo cui la Corte è giudice anche del «fatto processuale» e può esercitare il potere-dovere di esame diretto degli atti su cui il ricorso si fonda a condizione, peraltro, che - non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, né potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall'accertamento - la parte ricorrente li abbia specificamente indicati, trascrivendoli nella loro completezza per le parti oggetto di doglianza. o comunque li abbia correttamente localizzati; a condizione, in altri termini, che il ricorrente abbia, pena inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, proposto la censura conformemente alle regole fissate dal codice di rito, in particolare quelle dettate dall'art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c. (v., in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. un., 25 luglio 2019, n. 20181 e Cass. civ., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. civ., sez. VI, ord. 25 settembre 2019, n. 23834; Cass. civ., sez. lav., 5 agosto 2019, n. 20924; Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2017, n. 2771; Cass. civ., sez. V, 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2013, n. 8569; Cass. civ., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. civ., sez. VI, ord. 16 marzo 2012, n. 4220). iii) Il ricorso per cassazione deve essere «autosufficiente»; deve, cioè, contenere tutto ciò che occorre per rendere possibile al giudice di legittimità una conoscenza, sufficientemente chiara e completa, dei fatti, sia sostanziali che processuali. Il mancato puntuale rispetto di tale dovere comporta declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione. Si vedano, in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. V, ord. 21 marzo 2019, n. 8009 e Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21297, Cass. civ., sez. VI, ord. 27 giugno 2017, n. 16059; Cass. civ., sez. VI, 22 febbraio 2016, n. 3385; Cass. civ., sez. VI, ord. 30 ottobre 2015, n. 22185; Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 2014, n. 17698; Cass. civ., sez. VI, ord.22 novembre 2013, n. 26277; Cass. civ., sez. VI, ord. 9 luglio 2013, n. 17002; Cass. civ., sez. VI, ord. 2 maggio 2013, n. 10244; Cass. civ., sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2012, n. 1905. Quanto alla «specificità», è stato ripetutamente affermato che, pur se tale requisito non risulta espressamente contemplato con riguardo ai motivi di ricorso per cassazione, ciò, tuttavia, non significa che i motivi di ricorso possano essere aspecifici, quanto, piuttosto, che l'esigenza di prevedere espressamente tale requisito non era necessaria, dal momento che «il motivo di ricorso per cassazione non può per ragioni intrinseche che essere specifico, giacché diretto a demolire il provvedimento impugnato in ragione della sussistenza di uno dei vizi normativamente previsti, con la conseguente necessità di individuare il vizio e spiegare in qual modo esso si annida nella decisione impugnata», assicurando così la sua chiara intelligibilità, nonché quella degli imprescindibili presupposti di fatto (Cass. civ., sez. I, ord. 24 aprile 2018, n. 10112 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. V, 21 maggio 2019, n. 13625 e Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2005, n. 4741). iv) Da ultimo, la Suprema Corte ha rilevato che, nell'esporre la doglianza, il ricorrente non aveva comunque indicato quale pregiudizio in concreto sarebbe derivato dalle dedotte omissioni del giudice di merito. Deve, a tale riguardo, rammentarsi che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell'attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa ha l'onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l'impugnazione non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l'annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (v., in tal senso, Cass. civ., sez. I, 9 agosto 2017, n. 19759; Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26157 e, in motivazione, Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2019, n. 2343). |