L'applicazione comunitaria della regola del ne bis in idem
04 Luglio 2015
L'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sottoscritto il 22 novembre 1984 e rubricato Diritto di non essere giudicato o punito due volte, afferma che: 1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione. La norma in esame ha introdotto l'istituto del cosiddetto ne bis in idem nella materia penale e cioè il divieto, per gli Stati firmatari, di sanzionare penalmente due o più volte un soggetto per lo stesso fatto. Il primo problema che si è posto agli interpreti è stato quello della delimitazione della materia penale, quando, cioè, attribuire carattere penale ad un sanzione, ai fini dell'applicazione dell'articolo in questione. Sul punto la Corte di giustizia di Strasburgo ha ritenuto applicabili i c.d. criteri Engel, elaborati in una vecchia decisione del 1976 e progressivamente affinati, da ultimo, con la decisione Grande Stevens contro Italia del 4 marzo 2014, che ha anche ribadito il c.d. diritto ad un equo processo. I ricorrenti, dopo essere stati sanzionati nel 2007 dalla Consob, erano stati rinviati a giudizio, per essere poi assolti in primo grado e condannati in appello. Orbene, ad avviso dei giudici della Corte europea, a seguito dell'irrogazione di sanzioni da parte della Consob, la celebrazione di un processo penale sugli stessi fatti violava il principio giuridico del ne bis in idem, secondo cui non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto. Anche se il procedimento innanzi alla Consob rivestiva formalmente carattere amministrativo, le sanzioni inflitte potevano essere considerate a tutti gli effetti come penali, anziché amministrative. Ciò secondo una qualificazione sostanziale della sanzione, che per la sua afflittività - in ragione dell'importo e delle statuizioni accessorie – oltre che per le ripercussioni sugli interessi del condannato , andava assimilata alla condanna pronunciata dal Giudice penale (sul fine repressivo delle sanzioni finalizzate alla tutela di interessi tipicamente protetti dal diritto penale cfr. sentenza Menarini c. Italia del 27 settembre 2011). In quanto sanzioni penali, devono dunque osservare le garanzie che l'art. 6 Cedu riserva ai processi penali. La Corte ha così riconosciuto un indennizzo ai ricorrenti per la violazione da parte dell'Italia dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione (diritto a un giusto processo in tempi ragionevoli) nonché dell'articolo 4 del protocollo n. 7 (diritto a non essere giudicati o puniti due volte per i medesimi fatti). |