La Corte Edu torna sul diritto alla revisione della sentenza irrevocabile a seguito di violazione della Convenzione
18 Ottobre 2018
Massima
Spetta innanzitutto alle Autorità nazionali correggere una violazione della Convenzione e la questione di sapere se un ricorrente possa ritenersi vittima di una tale violazione, si pone in tutti gli stadi della procedura interna. Tuttavia, la Convenzione non garantisce il diritto alla riapertura di una procedura o ad altre forme di ricorso che permettano di annullare o rivedere decisioni di giustizia definitive, ciò per l'assenza di un approccio uniforme da parte degli Stati membri quanto alle modalità di funzionamento dei meccanismi di riapertura esistenti. Il caso
Con una prima decisione del 31 maggio 2011, la Corte Edu aveva riconosciuto la violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione nei confronti del ricorrente, in quanto giudicato e condannato da un collegio in cui uno dei componenti effettivi era stato sostituito da un supplente il giorno dell'udienza, senza che ne fosse stata data adeguata motivazione a verbale. Secondo la Corte infatti, l'assenza di indicazioni dettagliate circa il motivo dell'impedimento, era sufficiente a creare un dubbio sulla trasparenza della procedura di sostituzione del giudice, e sui veri motivi che ne erano alla base. Qualche mese dopo il ricorrente chiedeva la riapertura del processo a norma dell'art. 525 § 1 e) del codice di procedura penale interno, nonché l'annullamento della sentenza di condanna, sulla base delle motivazioni della sentenza dei giudici europei. La domanda veniva però respinta, ritenendo la Corte d'appello che la violazione procedurale riconosciuta dalla Corte Edu – e cioè l'omessa indicazione a verbale del motivo dell'impedimento del giudice – era ormai coperta dal giudicato, sicchè la riparazione del danno non poteva avere luogo con la riapertura del processo. La Corte di cassazione confermava la decisione, considerando che la violazione constatata dalla Corte Edu era di natura solo formale, non aveva influito sul carattere equo del processo e non aveva avuto effetti negativi sull'apprezzamento dei giudici del tribunale correzionale. Tale violazione, peraltro, era da considerarsi “fatto compiuto”, coperto dalla forza del giudicato della sentenza della Corte di cassazione, che aveva rigettato il primo ricorso in sèguito accolto dalla Corte europea. A questo punto il ricorrente si rivolgeva nuovamente alla Corte Edu, sostenendo che il rifiuto della giurisdizione di riaprire il processo ai sensi dell'art. 525 § 1 del codice di procedura penale interno, costituiva una nuova violazione del suo diritto ad essere giudicato in maniera equa da un tribunale stabilito dalla legge, diritto garantito dall'art. 6 § 1 della Convenzione. La questione
La questione proposta, peraltro già affrontata dalla Corte Edu nel caso Moreira Ferreira c. Portugal (v. PERNA, Alla accertata violazione della Convenzione non consegue il diritto alla revisione della sentenza irrevocabile) è se la decisione della Corte europea, che ravvisi una violazione della Convenzione in un giudizio ormai concluso con sentenza irrevocabile, dia diritto alla riapertura del processo e alla revisione della sentenza coperta dal giudicato. Le soluzioni giuridiche
Il primo problema che affronta la Corte è quello della ricevibilità del ricorso senza invadere le prerogative dello Stato e del Comitato dei ministri, davanti al quale pende una procedura di sorveglianza sulla esecuzione della precedente decisione del 31 maggio 2011 ex art. 46 della Convenzione. A tal proposito i giudici osservano che l'art. 46 (il quale disciplina il procedimento per garantire l'esecuzione delle sentenze definitive della Corte) non impedisce l'esame della nuova censura sollevata dal ricorrente relativamente ad un difetto di equità della procedura conclusasi con l'ultima decisione della Corte di cassazione interna, che ha sostanzialmente rifiutato la riapertura del processo, nonostante la sentenza della Corte europea avesse riconosciuto la violazione dell'art. 6 della Convenzione. Superato dunque il problema della ricevibilità del ricorso, la Corte passa ad esaminare il merito, osservando che spetta innanzitutto alle autorità nazionali correggere una affermata violazione della Convenzione. Nel caso di specie, sostengono i giudici europei, la Corte di cassazione greca per motivare il suo rifiuto ad ordinare la riapertura del processo, ha considerato che la violazione constatata dalla Corte Edu era di natura formale e non concerneva il diritto garantito dall'art. 6 della Convenzione, e cioè il diritto dell'accusato ad essere giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale e da giudici indipendenti ed imparziali. La Corte di cassazione greca, aggiungono, ha ritenuto che la violazione constatata dalla Corte Edu non aveva influito sul carattere equo del processo, e non aveva avuto effetti negativi sull'apprezzamento operato dai giudici del tribunale correzionale. Tale violazione era un fatto compiuto, ormai coperto dal giudicato: la sentenza di condanna non cassata dalla Corte di cassazione al momento del primo processo, non poteva essere cassata retroattivamente; il motivo di ricorso relativo alla composizione illegittima del Tribunale era stato rigettato dalla Corte di cassazione all'epoca del primo processo, e tale decisione non poteva essere rimessa in discussione dopo la sentenza della Corte europea. Le argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione greca – osservano i giudici europei – costituiscono un'interpretazione dell'art. 525 del codice di procedura penale interno, interpretazione secondo cui le irregolarità procedurali del tipo di quelle constatate nella specie, non comportano il diritto alla riapertura del processo. Tale interpretazione del diritto greco applicabile, che ha come conseguenza quella di limitare i casi di riapertura dei processi penali definitivamente chiusi, o almeno di assoggettarli a criteri sottoposti al vaglio delle giurisdizioni interne, non appare arbitraria. La Convenzione – afferma la Corte – non garantisce il diritto alla riapertura di una procedura o altre forme di ricorso che permettano di annullare o rivedere decisioni di giustizia definitive, mancando un approccio uniforme tra gli Stati membri quanto alle modalità di funzionamento dei meccanismi di riapertura esistenti; la Corte di cassazione interna ha ritenuto che la sentenza resa dalla Corte Edu nel 2011 non abbia messo in discussione l'indipendenza e l'imparzialità dell'organo giurisdizionale che ha reso la decisione censurata, né l'equità del processo nel suo insieme; pertanto, considerato il margine di apprezzamento di cui godono le autorità interne nella interpretazione delle sentenze della Corte europea, alla luce dei principi relativi alla esecuzione, non è necessario pronunciarsi sulla validità dell'interpretazione stessa come resa dai giudici nazionali. È infatti sufficiente assicurarsi che essa non sia arbitraria, e che non vi siano stati una deformazione o uno snaturamento della decisione della Corte europea. In definitiva, pur non condividendo tutti i passaggi della decisione della Corte di cassazione greca, i giudici europei ritengono che essa non sia frutto di un errore di fatto o di diritto manifesto, integrante un “diniego di giustizia”, e dunque che sia una decisione arbitraria. Pertanto, non vi è stata violazione dell'art. 6 della Convenzione. Osservazioni
La decisione in commento, non definitiva ma adottata all'unanimità (non risultano infatti pareri dissenzienti), ripropone il delicato problema dei rapporti tra ordinamento interno e obblighi discendenti dalle decisioni della Corte Edu, con particolare riferimento alle sentenze irrevocabili in materia penale. Sul punto l'art. 46 della Convenzione Edu stabilisce al comma primo che «Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti», e, al comma secondo, che «La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l'esecuzione». Controllo qui ancora in corso all'atto della proposizione del ricorso, che la Corte ha ritenuto comunque di esaminare, per ribadire la propria giurisprudenza sul tema. Infatti, appena un anno fa, la Grande Chambre, pronunciandosi in un caso in cui era stata riconosciuta la violazione dell'art. 6 della Convenzione sul diritto ad un equo processo, aveva affermato che la Corte non è un giudice di quarta istanza, e non rimette in discussione sotto il profilo dell'art. 6 della Convenzione l'apprezzamento dei tribunali nazionali, a meno che le conclusioni di questi possano considerarsi arbitrarie o manifestamente irragionevoli. Aveva altresì chiarito che l'accertamento della violazione dell'art. 6 della convenzione da parte della Corte europea, non impone automaticamente la riapertura del procedimento penale interno (Grande Chambre, 11 luglio 2017, Moreira Ferreira c. Portugal). Principi, quelli appena esposti, fermamente ribaditi nella sentenza qui in commento (nella quale si rinvia espressamente alla decisione della Grande Chambre), e che possono a questo punto ritenersi espressione di un orientamento consolidato della Corte europea in materia. In Italia, dove non esistevano rimedi per i casi, coperti da giudicato irrevocabile, in cui la Corte europea avesse riconosciuto la violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, e di conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea (Corte cost. n. 113/2011). Trattasi di una sentenza additiva, che ha introdotto una nuova forma di revisione, la c.d. revisione europea, e presuppone che la decisione della Corte Edu cui sia necessario conformarsi, sia stata emessa in un giudizio in cui il soggetto impugnante ex artt. 629 e ss. c.p.p. abbia rivestito la qualità di parte, dovendo escludersi che gli effetti delle c.d. sentenze pilota della Corte di Strasburgo si estendano aldilà dei limiti soggettivi dello Stato parte in causa (Cass. pen., Sez. III, n. 8358/2015). In particolare, è stato precisato che la c.d. revisione europea presuppone una pronuncia della Corte di Strasburgo relativa allo stesso processo che si intende revisionare, e la riapertura conseguente del processo è legittima esclusivamente nel caso in cui la restituito in integrum, conseguente ad una accertata violazione convenzionale, possa essere attuata solo attraverso la riedizione del processo (Cass. pen., Sez. II, n. 40889/2017). |