L'adesione di uno Stato alla Ue non comporta l'abolitio criminis del favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

Enrico Campoli
23 Marzo 2017

Anche in seguito all'adesione di uno Stato all'Unione le disposizioni previste per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina ...
Massima

Anche in seguito all'adesione di uno Stato all'Unione le disposizioni previste per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina dei cittadini di quello Stato in altro Stato membro mantengono intatta la loro vigenza in sede penale e non trova, di conseguenza, applicazione il principio della retroattività penale “benigna”.

Il caso

Gli imputati, nel corso degli anni 2004 e 2005, ottengono dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente delle autorizzazioni al lavoro e dei permessi di soggiorno in Italia per trenta cittadini rumeni mediante la costituzione di una società, di fatto estensione fittizia di altra società di diritto rumeno.

Le autorizzazioni al lavoro, concesse al di fuori delle quote di ingressi di lavoratori stranieri, vengono ottenute ai sensi dell'art. 27, lettera g), del decreto legislativo 286/1998, il quale consente l'ammissione temporanea di lavoratori stranieri sul territorio italiano purché impiegati alle dirette dipendenze di imprese operanti in Italia.

Il presunto aggiramento della normativa sopra menzionata, al fine di trarre profitto dallo sfruttamento intensivo e continuato di mano d'opera straniera a basso costo, comporta l'accusa di avere organizzato l'ingresso in Italia di cittadini rumeni, prima che la Romania aderisse all'Unione europea.

Il tribunale italiano, tenuto conto dell'orientamento in sede giurisprudenziale dettato dalla sentenza n. 2451/2008 delle Sezioni unite della Corte di cassazione, investe di un rinvio pregiudiziale la Corte di giustizia della Ue, al fine di stabilire se l'ingresso della Romania nell'Unione (avvenuta il 1° gennaio 2007) determini, o meno – relativamente al delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e di sfruttamento lavorativo di cittadini rumeni nel territorio italiano – l'abrogazione del delitto previsto e punito dall'art. 12, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 286 del 25 luglio 1998, laddove quest'ultimo sia stato commesso in Italia prima dell'adesione, nonché se debba trovare applicazione per gli imputati il principio della legge penale più favorevole (c.d. retroattività benigna).

La questione

La Corte nell'affrontare le questioni sottoposte al suo vaglio tiene a precisare, preliminarmente, ed in modo del tutto opportuno, che l'applicazione della retroattività benigna in sede penale può trovare ingresso solo dopo che sia stata accertata l'effettiva successione delle leggi penali nel tempo.

Difatti, dopo aver premesso, riguardo alla retroattività benigna, che detto principio, quale sancito dall'art. 49, paragrafo 1, della Carta fa parte del diritto primario dell'Unione la Corte evidenzia, da un lato, che essa, per trovare applicazione, comporta necessariamente una successione di leggi nel tempo e poggia sulla constatazione che il legislatore ha cambiato parere o in merito alla qualificazione penale dei fatti o in merito alla pena da applicare ad un'infrazione e, dall'altro, occorre verificare che la normativa penale in causa […], segnatamente l'art. 12, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo n. 286/1998 sia stata fatta, o meno, oggetto di modifiche successivamente alla commissione dei reati contestati agli imputati.

Invero, lo sforzo interpretativo, nel caso in esame, finisce per assumere un respiro ancora più complesso in quanto – come sottolineato dal giudice di rinvio che ha, significativamente, richiamato l'arresto giurisprudenziale dettato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (10 gennaio 2008) secondo cui l'adesione della Romania all'Unione non ha privato della sua rilevanza penale il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina commesso anteriormente ad essa – la modifica legislativa […] è avvenuta nell'ambito di una legge “extra-penale

In breve, secondo la didattica impostazione dei giudici europei, occorre, dapprima, valutare se l'adesione della Romania all'Unione, e cioè l'acquisizione da parte dei rumeni dello status di cittadini comunitari, va a modificare, o meno, uno degli elementi costitutivi del reato contestato e solo se ciò sia effettivamente accaduto stabilire, in punto di punibilità, l'applicazione della legge penale più favorevole.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Giustizia dell'Unione europea, nella decisione in commento, dopo aver accertato, preliminarmente, la ricevibilità della questione, in quanto sostanzialmente riguardante l'interpretazione del diritto dell'Unione, afferma i seguenti principi:

  • l'acquisizione della cittadinanza dell'Unione costituisce una circostanza di fatto che non è di natura tale da modificare gli elementi costitutivi del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina;
  • l'art. 6 TUE e l'art. 49 della Carta devono essere interpretati nel senso che l'adesione di uno Stato all'Unione non osta a che un altro Stato membro possa infliggere una sanzione penale a coloro che, prima di tale adesione, abbiano commesso il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di cittadini del primo Stato;
  • non trova applicazione il principio della legge penale più favorevole in quanto non si è verificata alcuna successione delle leggi penali nel tempo.
Osservazioni

La prima riflessione svolta dalla Corte Ue, in merito alle questioni rimesse, riguarda l'oggetto della tutela giuridica sotteso all'art. 12, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 286/1998, il quale, a differenza di quanto erroneamente focalizzato dai giudici del rinvio, non è costituito, a proprio avviso, dai cittadini appartenenti a paesi terzi che entrano illegalmente in Italia bensì da coloro che ne gestiscono il traffico, quest'ultimo precipuamente finalizzato allo sfruttamento economico della manodopera.

È da questa prima, elementare, considerazione che discende, secondo la Corte, la conseguenza che non possa svolgere alcuna influenza sui reati precedentemente commessi e riguardanti l'introduzione illegale e lo sfruttamento dei lavoratori, il fatto che quest'ultimi, successivamente, acquisiscano, in forza dell'adesione del loro Stato di appartenenza all'Unione, la cittadinanza europea.

Lo status da ultimo menzionato non va, difatti, ad incidere direttamente sugli elementi costitutivi del delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, in quanto sia la qualificazione del fatto in sede penale che la relativa sanzione da applicare sono rimasti invariati nell'ordinamento giuridico italiano […].

Il delitto in esame, secondo la Corte Ue, ha le caratteristiche di un reato istantaneo trovando esso maturazione, relativamente al favoreggiamento dell'ingresso, nel momento in cui il cittadino straniero attraversa la frontiera esterna dell'Unione e, riguardo allo sfruttamento, nel momento in cui lo stesso riceve i documenti di abilitazione al lavoro ottenuti in modo fraudolento, situazioni entrambe pienamente consumate prima dell'adesione della Romania all'Unione.

Lo stesso canone dell'applicazione della legge penale più favorevole non trova di conseguenza ingresso non essendo stato modificato né alcun elemento costitutivo della fattispecie penale, bensì introdotta solo una nuova circostanza di fatto (l'adesione della Romania all'Unione) che mantiene intatta la configurazione originaria, né, tantomeno, la corrispettiva sanzione penale.

L'impostazione data dalla Corte Ue – sia pure attraverso un percorso argomentativo diverso e molto meno approfondito – giunge, in concreto, alle medesime conclusioni rassegnate nell'intervento nomofilachico nazionale sopra citato (Cass. pen., Sez. unite, n. 2451/2008), intervento che i giudici di merito italiani hanno specificamente richiamato proprio al fine di “superarlo” a mezzo del rinvio pregiudiziale.

Nelle loro motivazioni i giudici delle Sezioni unite hanno, dapprima, correttamente analizzata la qualità normativa dell'atto di adesione da parte di uno Stato esterno all'Unione nel suo correlarsi costitutivo alla fattispecie penale incriminatrice e, poi, ne hanno esaminati, diffusamente, gli aspetti conseguenti rispetto alla permanenza o meno dell'antigiuridicità della condotta e della sua conseguente punibilità.

Ed è proprio in ordine all'incidenza dell'atto di adesione, secondo l'ottica dettata dall'art. 2 c.p. in tema di successione delle leggi penali nel tempo, che si sono venuti a creare due filoni interpretativi :

  • quello secondo cui si è in presenza di una vicenda successoria di norme extrapenali che non integrano la fattispecie incriminatrice e tanto meno implicano una modifica della disposizione sanzionatoria penale bensì determinano esclusivamente una variazione della rilevanza penale del fatto;
  • quello, invece, che riconduce le modificazioni mediate (relative cioè a norme diverse da quella incriminatrice) nell'ambito dell'art. 2 c.p. e riconosce loro un effetto abolitivo della fattispecie che risulta dalla combinazione della norma penale con quella incriminatrice.

Secondo il massimo consesso di legittimità nazionale, il precetto penale della norma incriminatrice non è integrato dall'atto di adesione dello Stato estero all'Unione in quanto, pur avendo esso qualità normativa, non lo modifica in quanto si sostanzia in una circostanza di fatto già strutturalmente inglobatavi.

Nel momento stesso in cui la fattispecie incriminatrice è stata introdotta nell'ordinamento nazionale si è prevista in essa un'apposita riserva di legge extrapenale avente ad oggetto la previsione della commissione del fatto in violazione delle disposizioni del presente testo unico, disposizioni tra cui rientra sia la programmatica fluttuazione degli Stati aderenti all'Unione e sia la previsione, quale unico discrimine, dell'applicabilità in sede penale del riconoscimento, o meno, della cittadinanza europea.

È quest'ultima, in forza di una norma extrapenale, che cristallizza istantaneamente la qualità, o meno, quale cittadino europeo del soggetto introdotto clandestinamente in Italia e collocato fraudolentemente nel mondo del lavoro determinando, nel secondo caso, la configurazione della fattispecie incriminatrice, senza che essa subisca alcun mutamento nella sua struttura costitutiva.

Solo quando l'agire mediato della norma extrapenale determina una modifica del precetto penale, partecipando alla sua natura, ne può derivare un inquadramento nell'ambito del perimetro dettato dall'art. 2, comma 2, c.p. mentre in tutti gli altri casi, tra cui quello in esame, esso non è destinato a svolgere alcuna influenza rimanendo confinato in un ambito di diversa rilevanza penale del fatto.

La condivisibile interpretazione scaturente dalle decisioni della Corte Ue e delle Sezioni unite – quest'ultima espressamente rafforzata nel proprio indirizzo dalla pronuncia europea – determina l'esistenza di due statuti diversi ricollegabili alla cittadinanza, dei quali quello extra-comunitario determina l'applicabilità della fattispecie incriminatrice per tutte le condotte antecedenti all'adesione dello Stato estero all'Unione.

Ciò che varia, in forza dell'adesione all'Unione, non è il precetto penale bensì una circostanza fattuale esterna ad esso, destinata a modificarsi e che svolge in merito alla condotta in esame una efficacia volutamente programmatica.

Come mera argomentazione speculativa può, di contro, correlativamente, affermarsi che, salvo specifici interventi, con la prossima regolamentazione della Brexit i cittadini britannici, ove fatti oggetto delle condotte ex art. 12 cit., rientreranno, automaticamente, sin dal giorno dopo della fuoriuscita, nel perimetro repressivo della norma senza che quest'ultima necessiti di alcuna modifica né sotto il profilo della qualificazione né, tantomeno, sotto quello della sanzione.