La Corte di giustizia sulla questione pregiudiziale in tema di bis in idem per manipolazione del mercato
10 Agosto 2018
Massima
L'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in tema di manipolazione del mercato, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione pecuniaria, formalmente qualificata come amministrativa, ma di natura sostanzialmente penale, nei confronti di una persona per condotte illecite, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna sia idonea a reprimere il reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.
Fonte: ilSocietario.it Il caso
Garlsson Real Estate SA, Stefano Ricucci e Magiste International SA proponevano opposizione avverso la sanzione pecuniaria di € 10,2 milioni, ridotta dalla Corte di appello di Roma a € 5 milioni, che era stata irrogata nei loro confronti in solido dalla Consob per l'illecito amministrativo di manipolazione del mercato previsto dall'art. 187-ter del d.lgs. 58 del 1998 (in seguito Tuf). Il provvedimento amministrativo era intervenuto dopo la conclusione del procedimento penale a carico di Stefano Ricucci, all'esito del quale all'imputato era stata applicata la pena di anni quattro mesi sei di reclusione (poi ridotta, a seguito di gravame, ad anni tre di reclusione e dichiarata estinta per indulto). Nel corso del giudizio, i ricorrenti rilevavano che la sanzione inflitta, nonostante la formale qualificazione amministrativa, avesse natura penale. Le condotte contestate nel procedimento amministrativo, inoltre, erano le medesime che avevano dato luogo al corrispondente giudizio penale. Essi, pertanto, prospettavano l'incompatibilità del sistema del doppio binario sanzionatorio, previsto in tema di market abuse dal t.u.f., con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in seguito Carta), intitolato «Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato», secondo cui «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». La Corte di Cassazione, quinta sezione civile, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., ravvisando la violazione del parametro di cui all'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 4, prot. 7, Cedu, perché non consente di applicare il divieto di secondo giudizio nei casi di coesistenza di sanzioni penali ed amministrative. Con sentenza del 12 maggio 2016, n. 102, tuttavia, la Corte costituzionale dichiarava inammissibile la questione di costituzionalità, ravvisando, tra l'altro, il carattere «dubitativo e perplesso» della motivazione dell'ordinanza di rimessione, la quale non scioglieva i dubbi, se la soluzione apparentemente imposta dalla giurisprudenza della Corte Edu risultasse compatibile con gli obblighi di repressione degli abusi di mercato imposti dal diritto dell'Unione europea, «dubbi che dovevano invece essere superati e risolti per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata». La Corte di Cassazione, allora, proponeva rinvio pregiudiziale, chiedendo alla Corte di giustizia se la previsione dell'art. 50 della Carta, interpretato alla luce dell'art. 4, prot. 7, Cedu, non consentisse di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto di manipolazione di mercato per il quale il medesimo soggetto abbia riportato una precedente condanna irrevocabile La questione
La Corte di cassazione, dunque, con rinvio pregiudiziale, ha chiesto alla Corte di giustizia se l'art. 50 della Carta, letto alla luce dell'art. 4 del prot. n. 7 alla Cedu, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico. Le soluzioni giuridiche
1. La sentenza illustrata si affianca ad altre due pronunce della stessa Corte di giustizia, emesse lo stesso giorno. Si allude a C.G.Ue, Grande sezione, 20/03/2018, C-524/15, Menci e a C.G.Ue, Grande sezione, 20/03/2018, C-596/16, Di Puma e Zecca. Con queste decisioni, la Corte europea ha affrontato il tema della compatibilità con il diritto dell'Unione del sistema italiano del doppio binario sanzionatorio penale e amministrativo. La sentenza della Corte di giustizia, nelle cause riunite Di Puma (C-596/16) e Zecca (C-597/16), in particolare, deriva da due identici rinvii pregiudiziali provenienti dalla Corte di Cassazione civile, sezione seconda (Cass. pen., Sez. II, 15 novembre 2016, ord. , n. 23232 e n. 23233), adottati nell'ambito di procedimenti di opposizione a sanzioni inflitte dalla Consob ai sensi dell'art. 187-bis Tuf Nel caso concreto, ai ricorrenti erano state inflitte sanzioni, formalmente qualificate come amministrative, nonostante una sentenza penale definitiva li avesse assolti, in relazione ai medesimi fatti storici, dal delitto di abuso di informazioni privilegiate previsto dall'art. 184 Tuf. La causa Menci (C-524/15), invece, trova fondamento in un rinvio pregiudiziale del tribunale di Bergamo, che ha portato all'esame della Corte di giustizia il tema del doppio binario sanzionatorio in materia di reati tributari. La vicenda, in questo caso, riguardava un procedimento penale per il delitto di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 a carico di un imputato al quale, all'esito del procedimento tributario, era stata già inflitta, in via definitiva, una sanzione pecuniaria ex art. 13 d.lgs. 471/1997, qualificata come amministrativa (ma reputata sostanzialmente penale), concernente la medesima somma dovuta a titolo di IVA evasa.
2. Al momento della formulazione dei rinvii pregiudiziali, l'orientamento della giurisprudenza della Corte EDU era nel senso che la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Cedu conseguisse all'accertamento della natura sostanzialmente penale di entrambe le sanzioni inflitte (o anche solo da infliggersi), oltre che a quello della ricorrenza del medesimo fatto storico e dell'inizio di un successivo procedimento dopo che il primo fosse giunto a una pronuncia definitiva. Si allude, evidentemente, all'indirizzo accolto dalla sentenza Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia, che riguardava proprio sanzioni in tema di market abuse. Nelle more, però, è intervenuta una significativa evoluzione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Con la pronuncia A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016, infatti, la Corte Edu ha statuito che, fermi restando i presupposti dell'identità del fatto storico e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni in questione, spetta al giudice stabilire se ci si trovi, o meno, in presenza di una violazione del bis in idem, valutando se i procedimenti in questione presentino, avendo riguardo alle peculiarità del caso di specie, una «sufficiently close connection in substance and time». Al fine di verificare la sussistenza di tale connessione qualificata, la Corte ha fornito alcuni criteri ai giudici nazionali, costituiti:
L'indirizzo illustrato è stato confermato da Corte Edu, Sez. I, 18 maggio 2017, Jóhannesson e altri c. Islanda, ric. n. 22007/11, in una fattispecie in cui, peraltro, è stata ravvisata la violazione del ne bis in idem. La Corte di giustizia, in verità, in tutte e tre le decisioni del 20 marzo 2018, ha chiarito di occuparsi del tema alla luce dell'art. 50 della Carta. Essa, tuttavia, ha tenuto conto dell'evoluzione intervenuta nella giurisprudenza della Corte EDU, perché l'art. 50 della Carta deve essere letto alla luce dell'art. 4 Prot. 7 Cedu, nell'interpretazione che ne ha offerto la Corte Edu, in quanto l'art. 52, § 3, della Carta dispone che, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione, salvo che il diritto dell'Unione conceda una protezione più ampia ai diritti umani. La Corte di giustizia, inoltre, ha accolto un concetto di sanzione penale e di medesimo fatto pienamente sovrapponibile alle corrispondenti nozioni elaborate dalla giurisprudenza della Corte EDU.
3. Il mutamento del significato della norma convenzionale è stato riconosciuto anche dalla Corte costituzionale che, con la sentenza del 2 marzo 2018, n. 43, ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. La Corte, in particolare, era stata investita dal Tribunale di Monza, in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost. ed in relazione all'art. 4 del Prot. n. 7 alla Cedu, dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., «nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dei relativi Protocolli». Il rimettente doveva giudicare una persona per il delitto punito dall'art. 5, comma 1, d.lgs. 74/2000, consistito nell'omissione delle dichiarazioni relative all'imposta sui redditi e all'imposta sul valore aggiunto, al fine di evaderle per una somma superiore alla soglia di punibilità. Per il medesimo fatto storico l'imputato era già stato raggiunto da una sanzione amministrativa, ormai definitiva, ex art. 1, comma 1, d.lgs. 471/1997. La Corte costituzionale ha restituito gli atti, rilevando che, in forza del nuovo indirizzo della Corte Edu, sopravvenuto all'ordinanza di rimessione, se il giudice a quo ritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell'ordinamento, incidendo sull'art. 649 c.p.p., alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto. Con la sentenza A. e B. contro Norvegia, infatti, si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata.
4. Il percorso motivazionale seguito dalla Corte di giustizia nelle tre decisioni del 20 marzo 2018 è sostanzialmente sovrapponibile. Il nucleo centrale è rappresentato dall'affermazione secondo cui l'art. 50 della Carta non esclude la possibilità di cumulare procedimenti e sanzioni penali nonché procedimenti e sanzioni amministrativi di natura penale. Una simile opzione normativa da parte dello Stato membro, infatti, integra una mera limitazione del diritto contemplato dall'art. 50 della Carta, purché siano rispettati i requisiti dettati dall'art. 52, § 1, della stessa Carta, secondo cui«eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà». Questa affermazione, invero, non risulta nuova nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, adita con lo strumento del rinvio pregiudiziale, aveva già statuito che due diverse sanzioni sostanzialmente penali possono colpire lo stesso comportamento senza ledere il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4, Prot. 7, alla CEDU e all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Si allude, in particolare, alla sentenza CGUE, Sez. III, 23 dicembre 2009, Spector Photo Group N.V. c. CBFA. Il profilo più interessante delle decisioni, invece, è rappresentato dalla precisazione delle condizioni in presenza delle quali il cumulo sanzionatorio può ritenersi ammissibile e non lesivo della prerogativa umana in esame. Al riguardo, la Corte ha chiarito che detto cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura sostanzialmente penale può essere giustificato qualora i diversi procedimenti e le distinte sanzioni si prefiggano scopi complementari. Occorre, inoltre, che sia garantita: 1) La proporzionalità delle risposte punitive rispetto agli scopi perseguiti; 2) la prevedibilità di tale doppia risposta sanzionatoria in forza di regole normative chiare e precise; 3) il coordinamento tra i procedimenti sanzionatori in modo che l'onere per l'interessato da tale cumulo sia limitato allo stretto necessario; 4) il rispetto del principio di proporzionalità delle pene sancito all'art. 49, par. 3, della Carta secondo cui le sanzioni complessivamente inflitte devono corrispondere alla gravità del reato commesso. Appare evidente che si tratta di condizioni che mirano ad allineare le garanzie riconosciute al cittadino dalla Carta dei diritti europei all'elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU in tema di bis in idem. Risulta altrettanto chiaro che l'esito dei giudizi, discendendo dall'applicazione di tali condizioni, non necessariamente è stato analogo.
5. Nella vicenda illustrata in precedenza (Corte di giustizia UE, Grande sezione, 20 marzo 2018, C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri), la Corte, pur rilevando che sussiste nella normativa nazionale una disposizione tesa a permettere il coordinamento dei procedimenti sanzionatori (art. 187-decies t.u.f.), ha ritenuto che la celebrazione del giudizio riguardante la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale, dopo l'applicazione della pena all'imputato per il reato di manipolazione del mercato, eccedesse quanto strettamente necessario per il conseguimento dell'obiettivo di reprimere le manipolazioni del mercato. Nel caso della manipolazione del mercato, inoltre, le norme nazionali non garantiscono che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato. Tale conclusione è stata affermata sebbene, nel caso concreto, la pena definitiva pronunciata in applicazione dell'art. 185 t.u.f. si fosse estinta per effetto di un indulto e la Corte abbia comunque precisato che la prima condanna intervenuta, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, deve essere a idonea a reprimere il reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva. La pronuncia della Corte, peraltro, pare in grado di determinare conseguenze notevoli nell'ordinamento interno, nel senso che, ogni qual volta l'imputato è stato già raggiunto da una sentenza penale definitiva per il reato di cui all'art. 185 t.u.f. non è più passibile di sanzione amministrativa. La Corte, infatti, ha affermato che l'art. 50 della Carta è direttamente applicabile del giudice nazionale.
6. Diverso invece è stato l'esito delle cause riunite Di Puma e Zecca (CGUE, Grande sezione, 20/03/2018, C-597/16, Di Puma e Zecca), che avevano ad oggetto due rinvii pregiudiziali della Cassazione civile ancora in tema di market abuse, ma in materia di abuso di informazioni privilegiate, in un caso in cui nei confronti delle persone fisiche erano state irrogate sanzioni pecuniarie ex art. 187-bis t.u.f. dalla Consob, nonostante che costoro fossero già stati assolti dal giudice penale dal reato di cui all'art. 184 t.u.f. La Corte di Cassazione, in particolare, aveva sollevato la questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 50 della Carta chiedendo se, in presenza di un accertamento definitivo dell'insussistenza della condotta che ha integrato l'illecito penale, fosse precluso, senza necessità di procedere ad alcun ulteriore apprezzamento da parte del giudice nazionale, l'avvio o la prosecuzione per gli stessi fatti di un ulteriore procedimento che sia finalizzato all'irrogazione di sanzioni che per la loro natura e gravità siano da qualificarsi penali. La Corte di giustizia, prendendo atto del reviremet intervenuto nella giurisprudenza della Corte EDU, ha riformulato la questione pregiudiziale formulata dalla Cassazione, chiedendosi «se l'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6 osti a una disposizione nazionale, quale l'articolo 654 del cod. proc. pen., che estende al procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria l'autorità di cosa giudicata di tali affermazioni in punto di fatto, operate nel contesto del procedimento penale». Seguendo il medesimo percorso motivazionale adottato nella vicenda Garlsson SA ed altri, la Corte ha affermato che l'obiettivo di tutelare i mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari giustifica una limitazione della garanzia dell'art. 50 della Carta, la quale deve ritenersi rispettosa del principio di proporzionalità rispetto a tale obiettivo. La decisione, invece, ha reputato violato il secondo criterio che impone il coordinamento tra i procedimenti sanzionatori di natura sostanzialmente penale. Essa, pertanto, ha statuito che «l'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), letto alla luce dell'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, va interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in forza della quale un procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale non può essere proseguito a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione che ha statuito che i fatti che possono costituire una violazione della normativa sugli abusi di informazioni privilegiate, sulla base dei quali era stato parimenti avviato tale procedimento, non erano provati».
7. Diverso infine è stato anche l'esito della causa CGUE, Grande sezione, 20 marzo 2018, C-524/15, Menci, che verteva sul doppio binario sanzionatorio in materia tributaria. La Corte ha osservato che l'obiettivo di garantire la riscossione dell'IVA costituisce una finalità di estrema rilevanza per la salvaguardia degli interessi finanziari dell'Unione. Sussiste, pertanto, la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al conseguimento degli scopi perseguiti dalla normativa nazionale. Il doppio binario, inoltre, è previsto da norme chiare e gli oneri da essi derivanti sono limitati a quanto strettamente necessario, perché la normativa nazionale, prevedendo una soglia sotto la quale non ricorre la condizione per la punibilità penale, limita i procedimenti penali ai fatti di una certa gravità Quanto alla proporzionalità della pena complessivamente irrogata, l'art. 21 d.lgs. 74/2000 osta all'esecuzione forzata delle sanzioni amministrative di natura penale nel caso di condanna penale dell'interessato. Il pagamento volontario del debito tributario, purché riguardi la sanzione amministrativa inflitta all'interessato, inoltre, costituisce una circostanza attenuante speciale di cui tenere conto nell'ambito del procedimento penale. Le regole previste dalla normativa nazionale, pertanto, sono idonee a garantire che le sanzioni imposte siano eccessive rispetto alla gravità del fatto commesso. La Corte di giustizia, pertanto, ha escluso una violazione dell'art. 50 della Carta, concludendo che «… spetta, in definitiva, al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell'applicazione concreta della summenzionata normativa nell'ambito del procedimento …». Osservazioni
1. La sentenza illustrata si affianca ad altre due pronunce della stessa Corte di giustizia, emesse lo stesso giorno. Si allude a C.G.Ue, Grande sezione, 20/03/2018, C-524/15, Menci e a C.G.Ue, Grande sezione, 20/03/2018, C-596/16, Di Puma e Zecca. Con queste decisioni, la Corte europea ha affrontato il tema della compatibilità con il diritto dell'Unione del sistema italiano del doppio binario sanzionatorio penale e amministrativo. La sentenza della Corte di giustizia, nelle cause riunite Di Puma (C-596/16) e Zecca (C-597/16), in particolare, deriva da due identici rinvii pregiudiziali provenienti dalla Corte di Cassazione civile, sezione seconda (Cass., Sez. II, ord. 15/11/2016, n. 23232 e n. 23233), adottati nell'ambito di procedimenti di opposizione a sanzioni inflitte dalla Consob ai sensi dell'art. 187-bis Tuf Nel caso concreto, ai ricorrenti erano state inflitte sanzioni, formalmente qualificate come amministrative, nonostante una sentenza penale definitiva li avesse assolti, in relazione ai medesimi fatti storici, dal delitto di abuso di informazioni privilegiate previsto dall'art. 184 Tuf. La causa Menci (C-524/15), invece, trova fondamento in un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bergamo, che ha portato all'esame della Corte di giustizia il tema del doppio binario sanzionatorio in materia di reati tributari. La vicenda, in questo caso, riguardava un procedimento penale per il delitto di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 a carico di un imputato al quale, all'esito del procedimento tributario, era stata già inflitta, in via definitiva, una sanzione pecuniaria ex art. 13 D.Lgs. n. 471/1997, qualificata come amministrativa (ma reputata sostanzialmente penale), concernente la medesima somma dovuta a titolo di IVA evasa.
2. Al momento della formulazione dei rinvii pregiudiziali, l'orientamento della giurisprudenza della Corte EDU era nel senso che la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Cedu conseguisse all'accertamento della natura sostanzialmente penale di entrambe le sanzioni inflitte (o anche solo da infliggersi), oltre che a quello della ricorrenza del medesimo fatto storico e dell'inizio di un successivo procedimento dopo che il primo fosse giunto a una pronuncia definitiva. Si allude, evidentemente, all'indirizzo accolto dalla sentenza Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia, che riguardava proprio sanzioni in tema di market abuse. Nelle more, però, è intervenuta una significativa evoluzione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Con la pronuncia A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016, infatti, la Corte Edu ha statuito che, fermi restando i presupposti dell'identità del fatto storico e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni in questione, spetta al giudice stabilire se ci si trovi, o meno, in presenza di una violazione del bis in idem, valutando se i procedimenti in questione presentino, avendo riguardo alle peculiarità del caso di specie, una «sufficiently close connection in substance and time». Al fine di verificare la sussistenza di tale connessione qualificata, la Corte ha fornito alcuni criteri ai giudici nazionali, costituiti: 1) dal perseguimento, da parte dei procedimenti, di scopi differenti e il riferimento a profili diversi della medesima condotta antisociale; 2) dalla prevedibilità del doppio giudizio sanzionatorio; 3) dalla conduzione dei procedimenti in modo da evitare, per quanto possibile, la duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova; 4) dalla proporzionalità complessiva della pena rispetto al fatto - reato; 5) dalla presenza di un collegamento di natura cronologica fra i procedimenti. L'indirizzo illustrato è stato confermato da Corte EDU, sez. I, 18 maggio 2017, Jóhannesson e altri c. Islanda, ric. n. 22007/11, in una fattispecie in cui, peraltro, è stata ravvisata la violazione del ne bis in idem. La Corte di giustizia, in verità, in tutte e tre le decisioni del 20 marzo 2018, ha chiarito di occuparsi del tema alla luce dell'art. 50 della Carta. Essa, tuttavia, ha tenuto conto dell'evoluzione intervenuta nella giurisprudenza della Corte EDU, perché l'art. 50 della Carta deve essere letto alla luce dell'art. 4 Prot. 7 CEDU, nell'interpretazione che ne ha offerto la Corte EDU, in quanto l'art. 52, § 3, della Carta dispone che, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione, salvo che il diritto dell'Unione conceda una protezione più ampia ai diritti umani. La Corte di giustizia, inoltre, ha accolto un concetto di sanzione penale e di medesimo fatto pienamente sovrapponibile alle corrispondenti nozioni elaborate dalla giurisprudenza della Corte EDU.
3. Il mutamento del significato della norma convenzionale è stato riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza del 2/03/2018, n. 43, ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. La Corte, in particolare, era stata investita dal Tribunale di Monza, in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost. ed in relazione all'art. 4 del Prot. n. 7 alla CEDU, dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., «nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dei relativi Protocolli». Il rimettente doveva giudicare una persona per il delitto punito dall'art. 5, comma 1, d.lgs. 74/2000, consistito nell'omissione delle dichiarazioni relative all'imposta sui redditi e all'imposta sul valore aggiunto, al fine di evaderle per una somma superiore alla soglia di punibilità. Per il medesimo fatto storico l'imputato era già stato raggiunto da una sanzione amministrativa, ormai definitiva, ex art. 1, comma 1, d.lgs. 471/1997. La Corte costituzionale ha restituito gli atti, rilevando che, in forza del nuovo indirizzo della Corte Edu, sopravvenuto all'ordinanza di rimessione, se il giudice a quo ritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell'ordinamento, incidendo sull'art. 649 c.p.p., alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto. Con la sentenza A. e B. contro Norvegia, infatti, si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata.
4. Il percorso motivazionale seguito dalla Corte di giustizia nelle tre decisioni del 20 marzo 2018 è sostanzialmente sovrapponibile. Il nucleo centrale è rappresentato dall'affermazione secondo cui l'art. 50 della Carta non esclude la possibilità di cumulare procedimenti e sanzioni penali nonché procedimenti e sanzioni amministrativi di natura penale. Una simile opzione normativa da parte dello Stato membro, infatti, integra una mera limitazione del diritto contemplato dall'art. 50 della Carta, purché siano rispettati i requisiti dettati dall'art. 52, § 1, della stessa Carta, secondo cui«eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà». Questa affermazione, invero, non risulta nuova nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, adita con lo strumento del rinvio pregiudiziale, aveva già statuito che due diverse sanzioni sostanzialmente penali possono colpire lo stesso comportamento senza ledere il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4, Prot. 7, alla CEDU e all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Si allude, in particolare, alla sentenza CGUE, Sez. III, 23 dicembre 2009, Spector Photo Group N.V. c. CBFA. Il profilo più interessante delle decisioni, invece, è rappresentato dalla precisazione delle condizioni in presenza delle quali il cumulo sanzionatorio può ritenersi ammissibile e non lesivo della prerogativa umana in esame. Al riguardo, la Corte ha chiarito che detto cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura sostanzialmente penale può essere giustificato qualora i diversi procedimenti e le distinte sanzioni si prefiggano scopi complementari. Occorre, inoltre, che sia garantita: 1) La proporzionalità delle risposte punitive rispetto agli scopi perseguiti; 2) la prevedibilità di tale doppia risposta sanzionatoria in forza di regole normative chiare e precise; 3) il coordinamento tra i procedimenti sanzionatori in modo che l'onere per l'interessato da tale cumulo sia limitato allo stretto necessario; 4) il rispetto del principio di proporzionalità delle pene sancito all'art. 49, par. 3, della Carta secondo cui le sanzioni complessivamente inflitte devono corrispondere alla gravità del reato commesso. Appare evidente che si tratta di condizioni che mirano ad allineare le garanzie riconosciute al cittadino dalla Carta dei diritti europei all'elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU in tema di bis in idem. Risulta altrettanto chiaro che l'esito dei giudizi, discendendo dall'applicazione di tali condizioni, non necessariamente è stato analogo.
5. Nella vicenda illustrata in precedenza (Corte di giustizia Ue, Grande sezione, 20 marzo 2018, C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri), la Corte, pur rilevando che sussiste nella normativa nazionale una disposizione tesa a permettere il coordinamento dei procedimenti sanzionatori (art. 187-decies t.u.f.), ha ritenuto che la celebrazione del giudizio riguardante la sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale, dopo l'applicazione della pena all'imputato per il reato di manipolazione del mercato, eccedesse quanto strettamente necessario per il conseguimento dell'obiettivo di reprimere le manipolazioni del mercato. Nel caso della manipolazione del mercato, inoltre, le norme nazionali non garantiscono che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato. Tale conclusione è stata affermata sebbene, nel caso concreto, la pena definitiva pronunciata in applicazione dell'art. 185 Tuf si fosse estinta per effetto di un indulto e la Corte abbia comunque precisato che la prima condanna intervenuta, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, deve essere a idonea a reprimere il reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva. La pronuncia della Corte, peraltro, pare in grado di determinare conseguenze notevoli nell'ordinamento interno, nel senso che, ogni qual volta l'imputato è stato già raggiunto da una sentenza penale definitiva per il reato di cui all'art. 185 t.u.f. non è più passibile di sanzione amministrativa. La Corte, infatti, ha affermato che l'art. 50 della Carta è direttamente applicabile del giudice nazionale.
6. Diverso invece è stato l'esito delle cause riunite Di Puma e Zecca (CGUE, Grande sezione, 20/03/2018, C-597/16, Di Puma e Zecca), che avevano ad oggetto due rinvii pregiudiziali della Cassazione civile ancora in tema di market abuse, ma in materia di abuso di informazioni privilegiate, in un caso in cui nei confronti delle persone fisiche erano state irrogate sanzioni pecuniarie ex art. 187-bis Tuf dalla Consob, nonostante che costoro fossero già stati assolti dal giudice penale dal reato di cui all'art. 184 Tuf La Corte di Cassazione, in particolare, aveva sollevato la questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 50 della Carta chiedendo se, in presenza di un accertamento definitivo dell'insussistenza della condotta che ha integrato l'illecito penale, fosse precluso, senza necessità di procedere ad alcun ulteriore apprezzamento da parte del giudice nazionale, l'avvio o la prosecuzione per gli stessi fatti di un ulteriore procedimento che sia finalizzato all'irrogazione di sanzioni che per la loro natura e gravità siano da qualificarsi penali. La Corte di giustizia, prendendo atto del reviremet intervenuto nella giurisprudenza della Corte EDU, ha riformulato la questione pregiudiziale formulata dalla Cassazione, chiedendosi «se l'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6 osti a una disposizione nazionale, quale l'articolo 654 del cod. proc. pen., che estende al procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria l'autorità di cosa giudicata di tali affermazioni in punto di fatto, operate nel contesto del procedimento penale». Seguendo il medesimo percorso motivazionale adottato nella vicenda Garlsson SA ed altri, la Corte ha affermato che l'obiettivo di tutelare i mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari giustifica una limitazione della garanzia dell'art. 50 della Carta, la quale deve ritenersi rispettosa del principio di proporzionalità rispetto a tale obiettivo. La decisione, invece, ha reputato violato il secondo criterio che impone il coordinamento tra i procedimenti sanzionatori di natura sostanzialmente penale. Essa, pertanto, ha statuito che «l'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), letto alla luce dell'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, va interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in forza della quale un procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale non può essere proseguito a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione che ha statuito che i fatti che possono costituire una violazione della normativa sugli abusi di informazioni privilegiate, sulla base dei quali era stato parimenti avviato tale procedimento, non erano provati».
7. Diverso infine è stato anche l'esito della causa C.G.Ue, Grande sezione, 20 marzo 2018, C-524/15, Menci, che verteva sul doppio binario sanzionatorio in materia tributaria. La Corte ha osservato che l'obiettivo di garantire la riscossione dell'IVA costituisce una finalità di estrema rilevanza per la salvaguardia degli interessi finanziari dell'Unione. Sussiste, pertanto, la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al conseguimento degli scopi perseguiti dalla normativa nazionale. Il doppio binario, inoltre, è previsto da norme chiare e gli oneri da essi derivanti sono limitati a quanto strettamente necessario, perché la normativa nazionale, prevedendo una soglia sotto la quale non ricorre la condizione per la punibilità penale, limita i procedimenti penali ai fatti di una certa gravità Quanto alla proporzionalità della pena complessivamente irrogata, l'art. 21 d.lgs. 74/2000 osta all'esecuzione forzata delle sanzioni amministrative di natura penale nel caso di condanna penale dell'interessato. Il pagamento volontario del debito tributario, purché riguardi la sanzione amministrativa inflitta all'interessato, inoltre, costituisce una circostanza attenuante speciale di cui tenere conto nell'ambito del procedimento penale. Le regole previste dalla normativa nazionale, pertanto, sono idonee a garantire che le sanzioni imposte siano eccessive rispetto alla gravità del fatto commesso. La Corte di giustizia, pertanto, ha escluso una violazione dell'art. 50 della Carta, concludendo che «… spetta, in definitiva, al giudice del rinvio valutare la proporzionalità dell'applicazione concreta della summenzionata normativa nell'ambito del procedimento …» In dottrina sul tema: F. D'Alessandro, L'aggiotaggio e la manipolazione del mercato, in G. Canzio, L.D. Cerqua, L. Lupària, Diritto penale delle società, Milano, 2016, 729 e ss.; A. Galluccio, La Grande Sezione della Corte di giustizia si pronuncia sulle attese questioni pregiudiziali in materia di bis in idem, in Dir. pen. contemp. 21 marzo 2018; L. Giordano, A. Nocera, I reati finanziari, in C. Parodi (a cura di), Diritto penale dell'impresa, II, Milano 2017, 409; F. Viganò, La Grande camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in Dir. pen. contemp., 18 novembre 2016 |