La Sesta Sezione Civile della Suprema Corte, con l'ordinanza n. 3011/21 del 9 febbraio ha fatto chiarezza sul tema dell'assicurazione in materia di responsabilità professionale del sanitario, delineando i confini dell'operatività delle polizze c.d. multirischio.
Il caso riguarda un'azione di risarcimento dei danni intentata nei confronti di un medico, in conseguenza di un intervento di bypass coronarico, praticato in maniera asseritamente non corretta.
Il sanitario si è costituito negando la presunta imperizia e chiedendo di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile. Quest'ultimo ha contestato l'efficacia del contratto di assicurazione e, comunque, la sussistenza di responsabilità in capo all'assicurato.
Il giudizio di primo grado si è concluso con sentenza di accoglimento delle istanze attoree, oltre che della domanda di garanzia proposta nei confronti della compagnia, nei limiti della quota di responsabilità (10%) attribuita all'assicurato; le spese di lite sono state compensate nel rapporto tra assicurato e assicuratore.
La pronuncia è stata impugnata dal medico, innanzi alla Corte di Appello capitolina, per omessa condanna dell'assicuratore alla refusione delle spese di resistenza in giudizio e per erronea compensazione delle spese di lite, nel rapporto tra assicuratore ed assicurato. La compagnia ha formulato appello incidentale, eccependo l'inoperatività della polizza per violazione della clausola di claims made in essa contenuta, per essere stata stipulata a “secondo rischio”, nonché per la prescrizione dei diritti contrattuali vantati dall'assicurato, ex art 2952 c.c..
La Corte di Appello ha accolto l'appello principale e rigettato quello incidentale, rilevando:
1. la piena vigenza del contratto, all'epoca dell'inoltro della prima richiesta di risarcimento danni;
2. la mancata prova della conoscenza, da parte del sanitario, di tale istanza, in epoca precedente;
3. La mancata prova dell'esistenza di altre coperture assicurative a primo rischio;
4. L'insussistenza di validi motivi per la compensazione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in Cassazione la società di assicurazione, formulando tre quesiti di diritto.
In primis è stata eccepita la violazione degli artt. 1372 e 1917 c.c., sostenendo che l'art. 28 delle condizioni generali di contratto prevedeva un limite temporale per la prestazione della garanzia e dacché il fatto generatore della pretesa risarcitoria era avvenuto in epoca precedente la stipula del contratto, il medico non poteva pretendere la copertura del rischio, tantomeno la refusione delle spese di resistenza.
La Corte, tuttavia, ha rigettato il motivo rilevando che l'art. 17 del contratto di assicurazione copriva tutte le richieste di risarcimento pervenute in costanza di rapporto, a prescindere dall'epoca di commissione del fatto: in conseguenza, la compagnia era tenuta a manlevare l'assicurato anche dalle spese di resistenza in giudizio, quale effetto naturale del contratto, giammai derogabile in peius.
Nel caso di specie, peraltro, il contratto prevedeva la copertura di un doppio rischio: quello della responsabilità civile e quello di tutela legale. Nel primo rientrano le spese legali sostenute dall'assicurato per resistere alla domanda risarcitoria contro di lui proposta dal terzo, mentre afferiscono al secondo rapporto le spese sostenute per introdurre una lite, quelle extragiudiziali e quelle eccedenti il 25% del massimale garantito dalla copertura r.c..
Anche per tale ripartizione, eventuali clausole limitative del rischio sono in opponibili all'assicurato che domandi la rifusione delle spese di resistenza, ai sensi dell'art. 1917 c.c..
Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato l'omessa pronuncia sull'eccezione di prescrizione dell'azione e l'illegittimo rigetto delle istanze istruttorie tese a dimostrare che l'assicurato conosceva delle istanze risarcitorie già prima dell'invio della messa in mora.
Dette censure sono state ritenute fondate dalla Corte, la quale ha chiarito che la sentenza di appello non si è pronunciata sull'eccezione di prescrizione, né tale silenzio può ritenersi un implicito rigetto.
Quanto al tema delle prove, il Collegio ha rilevato che la compagnia aveva avanzato molteplici istanze istruttorie sin dal primo grado, onde provare la conoscenza da parte dell'assicurato della domanda di risarcimento danni, tutte rigettate anche in appello.
Così giudicando, quindi, la Corte di merito ha violato il principio secondo cui il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all'onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e poi negarle la prova offerta.
Infine, il terzo motivo è stato ritenuto assorbito dall'accoglimento della seconda censura.
Per tali motivi, la sentenza di appello è stata cassata, nei limiti di cui in premessa, e rinviata la causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Fonte: Diritto e Giustizia.it