La responsabilità professionale dell'avvocato sussiste solo se l'errore del legale è stato determinante nell'esito negativo del giudizio

Edoardo Valentino
23 Febbraio 2021

Non è sufficiente provare il non corretto adempimento degli oneri professionali del legale per ottenere un risarcimento in quanto è necessario dimostrare che, alla stregua dei criteri probabilistici, se il legale non avesse commesso errori il giudizio avrebbe avuto un esito diverso per la parte.

La notifica dell'atto di citazione da parte della figlia di un ex cliente evocava in giudizio un avvocato.

Secondo la ricostruzione dell'attrice, il padre aveva subito un danno a causa della superficialità con la quale l'avvocato aveva anni addietro seguito una causa immobiliare che aveva visto impegnato il padre, nel frattempo venuto a mancare.

La prospettazione era la seguente: il padre si era visto negare l'acquisto di due appartamenti di prestigio dal Tribunale e dalla Corte d'Appello.

Entrambi i Giudici avevano infatti rilevato come il de cuius avesse acquistato un solo appartamento, mentre per l'altro non vi fosse prova dell'intervenuto acquisto.

Il documento prodotto, infatti, non avrebbe avuto la firma della parte e sarebbe stato una mera proposta di acquisto mai sfociata in un contratto definitivo.

Alla luce di tale soccombenza l'attrice aveva agito avverso il legale, affermando come la mancata attività giudiziale dello stesso avesse comportato un danno economico al padre e, conseguentemente, anche alla stessa.

Secondo l'attrice, infatti, sarebbe bastato che l'avvocato avesse richiesto un giudizio di verificazione sulla scrittura contestata per verificare la bontà della firma e sovvertire l'esito del giudizio.

L'avvocato, invece, affermava l'attrice, non solo non aveva domandato il giudizio di verificazione della scrittura privata prodotta, ma aveva anche disertato l'udienza di precisazione delle conclusioni e in generale tenuto una condotta processuale poco incisiva e dannosa per la parte.

Sulla base di tale ricostruzione aveva agito in giudizio la parte che si assumeva danneggiata, chiedendo un ristoro per il danno patito.

Si era difeso il legale convenuto negando gli addebiti ed evocando in giudizio, in eventuale manleva in caso di condanna, le proprie compagnie assicurative.

Tanto il giudizio di prime cure, quanto quello d'appello, si erano conclusi con il rigetto della domanda e la condanna della parte attrice a risarcire le spese legali del convenuto e delle terze chiamate.

A seguito della duplice soccombenza nei gradi di merito l'attrice agiva in sede di Cassazione.

Per ottenere giustizia ella affidava le proprie doglianze ad un ricorso per Cassazione con il quale contestava la mancata condanna del legale, alla luce dei presunti errori commessi, nonché la condanna da parte dei Giudici di merito al rimborso delle spese di lite delle assicurazioni.

Secondo l'attrice, infatti, le chiamate in causa erano state azionate dal convenuto e su questi sarebbe dovuto incombere l'onere di pagare le relative spese legali.

Il giudizio della Terza Sezione della Corte di Cassazione veniva affidato alla sentenza n. 3566/21, depositata l'11 febbraio.

Detta decisione rigettava in toto la prospettazione della parte ricorrente e confermava così la decisione d'appello impugnata.

Quanto alla responsabilità dell'avvocato, la Cassazione affermava che – al fine di ottenere una condanna del legale – la parte che si affermava danneggiata aveva l'onere di provare non solo il fatto e il danno subito, ma anche il nesso di causalità che li legava.

In buona sostanza, quindi, alla ricorrente non sarebbe bastato invocare la presunta omissione operata dall'avvocato (nella fattispecie non avere promosso il giudizio di verificazione ed avere omesso di partecipare all'udienza di precisazione delle conclusioni), ma avrebbe dovuto provare che proprio dalla mancata attività del legale sarebbe dipesa la soccombenza processuale del padre.

In altre parole: non basta provare il non corretto adempimento degli oneri professionali del legale per ottenere un risarcimento in quanto è necessario dimostrare che, alla stregua dei criteri probabilistici, se il legale non avesse commesso errori il giudizio avrebbe avuto un esito diverso per la parte.

Nel caso in questione, sottolineava la Cassazione, la Corte d'Appello aveva riconosciuto che il documento in questione, lungi dall'essere un contratto di compravendita, era in realtà solamente una proposta di acquisto e – quindi – la mancata attivazione di un giudizio di verificazione delle firme non aveva avuto alcun effetto sull'esito finale del giudizio.

Quanto al secondo aspetto introdotto dal ricorso, ossia riguardo alle spese legali delle assicurazioni evocate nel giudizio di merito, la Cassazione confermava che – essendo stata l'attrice la parte soccombente – le spese legali delle altre parti avrebbe dovuto essere poste a suo carico.

Secondo i Giudici, infatti, «una volta rigettata la domanda principale il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia […] anche se l'attore non ha formulato alcuna domanda nei confronti del terzo» (sul punto si veda anche Corte di Cassazione, sentenza n. 2492/2016; n. 23552/2011).

All'esito del processo, quindi, la Cassazione confermava l'esito deciso dalla Corte d'Appello e condannava la ricorrente al versamento del contributo unificato nella misura maggiorata.

(Fonte: Diritto e Giustizia.it)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.