Ripianamento di debiti pregressi mediante l'erogazione di nuovo credito ipotecario

Fabio Fiorucci
24 Febbraio 2021

L'operazione di "ripianamento" di debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus.
Massima

L'operazione di "ripianamento" di debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus.

Il caso

Il caso sottoposto all'esame della Cassazione riguarda la qualificazione giuridica di una diffusa operatività bancaria, ossia il ripianamento di perdite pregresse mediante l'erogazione, da parte della stessa banca creditrice, di un finanziamento di credito ipotecario, spesso ‘fondiario' ex art. 38 TUB (d.lgs. n. 385/1993). Nello specifico, i giudici hanno indagato «la sorte da riservare a un'operazione connotata a un tempo dal meccanismo di portare a contestuale un'ipoteca relativa a un debito pregresso e dal riposizionamento della scadenza di detto debito».

La questione

La circostanza che, di regola, nel credito ipotecario fondiario non assuma rilevanza la destinazione delle somme mutuate (in assenza di esplicite pattuizioni contrattuali), ha indotto taluni a sostenere che va consapevolmente « ;giudicata come una delle possibili finalità della conclusione di una operazione di credito fondiario quella della utilizzazione delle somme ottenute per la estinzione di un debito precedente, già in essere verso un terzo o verso la stessa banca concedente il finanziamento fondiario ;» (Bonfatti).

Sostanzialmente dello stesso tenore sono le conclusioni di parte della giurisprudenza di merito (Trib. Pescara 6.5.2015; Trib. Livorno 19.7.2017; Trib. Ascoli Piceno 12.12.2017; App. Perugia 13.10.2017; Trib. Sulmona 10.10.2018; Trib. Torre Annunziata 19.7.2018; Trib. Cassino 18.7.2019; Trib. Roma 20.6.2019; Trib. Vicenza 17.4.2020), secondo cui il credito ipotecario fondiario non è caratterizzato da una specifica destinazione, con la conseguenza che l'accordo di destinare il ricavato di un finanziamento ipotecario all'estinzione di un debito pregresso (della stessa banca erogante) non è in quanto tale affetto da nullità e non vale ad alterare la causa del contratto.

In argomento, occorre anche dare giusto risalto ad un significativo orientamento maturato nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 22.6.2004, n. 175) e di legittimità (Cass. 9.5.2008, n. 11559) che, nel rimarcare l'assenza di scopo legale del credito fondiario, ha affermato la sua possibile utilizzazione per la « ;mobilizzazione della proprietà immobiliare ;» e, soprattutto, per « ;il superamento di situazioni di crisi dell'imprenditore ;».

Le soluzioni giuridiche

La possibile utilizzazione del credito ipotecario fondiario per ripianare passività pregresse in essere con la stessa banca mutuante ha ricevuto l'avallo di parte della giurisprudenza di legittimità. Hanno esplicitamente ammesso tale possibilità Cass. 27.12.2013, n. 28662: nel mutuo fondiario, il finanziamento dietro garanzia ipotecaria ben può essere finalizzato allo scopo soggettivo che le parti si prefiggono, e, se questo è costituito dall'utilizzo della somma per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può predicarsene l'illiceità, nonché Cass. 12.9.2014, n. 19282: essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili (arg. ex art. 38 TUB), lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall'immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l'impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell'attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell'economia del contratto (tale aspetto è affrontato dalla decisione in commento). Pertanto, è lecito il contratto di mutuo fondiario ex art. 38 TUB stipulato dal mutuatario per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante (in argomento, v. anche Cass. n. 24038/2014).

Nell'ambito del dibattito succintamente riferito, si segnalano alcune prese di posizione della Cassazione di diverso tenore. Secondo altre decisioni dei giudici di legittimità (Cass. n. 5087/2016; Cass. n. 3955/2016 e n. 7321/2016; v. anche Cass. n. 5265/2007 e Cass. n. 4202/2019), l'erogazione di un mutuo ipotecario non destinato a creare un'effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, non integra necessariamente né le fattispecie della simulazione del mutuo (con dissimulazione della concessione di una garanzia per un debito preesistente) né quella della novazione (con la sostituzione del preesistente debito chirografario con un debito garantito): essa può integrare, invece, – e normalmente integra – una fattispecie di procedimento negoziale indiretto, nel cui ambito il mutuo ipotecario viene erogato realmente e viene utilizzato per l'estinzione del precedente debito chirografario. In questo caso, ove il mutuo ipotecario risulti stipulato a copertura di un'esposizione debitoria pregressa, il fallimento, sussistendone i presupposti, ha la possibilità di impugnare l'intera operazione, ai sensi dell'art. 67, comma 1, l. fall., in quanto diretta ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, e pure le rimesse effettuate con la provvista in quanto abbiano avuto carattere solutorio.

Tanto premesso, la Cassazione (Cass. nn. 3955/2016, 5087/2016 e 7740/2020) ha individuato le condizioni per il possibile utilizzo di un mutuo ipotecario per la ristrutturazione di debiti pregressi, sul presupposto che il ricorso al credito come strumento di ristrutturazione del debito – cui del resto si rivolge l'attuale normativa a mezzo degli istituti di cui agli artt. 182 bis, 182 quater, 182 quinquies l. fall. – consente di rinegoziare i finanziamenti bancari anche nei riguardi di debiti scaduti, condizione che in sé, involgendo ambiti di diffusa economia reale e meritevolezza causale ormai tipicizzata, non può assumere alcuna riprovevolezza ordinamentale, nemmeno sul piano concorsuale.

L'elemento caratteristico di siffatto tipo di ricorso al credito consiste, tuttavia, in un'operazione di effettiva erogazione di nuova liquidità da parte della banca, funzionale non solo (e non tanto), quindi, all'azzeramento o consistente diminuzione della preesistente esposizione debitoria, con tutela rafforzata della banca mediante ipoteca configurabile come garanzia non contestuale, ma alla rimodulazione – per il tramite di nuove condizioni negoziali (per esempio afferenti il tasso di interesse) o rinnovate tempistiche dei pagamenti – dell'assetto complessivo del debito nel contesto di una nuova veste giuridico-economica degli anteriori rapporti.

In ciò, evidenzia ancora la Cassazione, può concretamente stabilirsi il discrimine tra le due tipologie di operazioni utilizzate nella prassi, costituito dalla preesistenza o meno del rischio di credito effettivamente assunto dalla banca: laddove essa eroghi effettivamente nuova liquidità al debitore, nel contesto di un'operazione non piegata all'unico obiettivo del rientro né dunque preordinata ad estinguere semplicemente l'obbligazione pregressa ripianando, con l'ipoteca, il rischio di credito già mal apprezzato al momento della sua insorgenza, si conforma alla sua funzione economica istituzionale, munendo l'impresa di nuove risorse suscettibili di rifinanziarla. Si tratta di funzione in tal caso connaturata all'essere il finanziamento, cui accede l'ipoteca, destinato per l'appunto ad assicurare ulteriori disponibilità al debitore in conformità alle regole di corretta gestione di un rischio contestualmente assunto e, per questo, nuovo.

Si segnala ancora Cass. n. 19746/2018 (sostanzialmente conformi Cass. n. 4202/2018; Cass. n. 3955/2016; Cass. n. 17650/2012; Cass. n. 17200/2012; Cass. n. 12/2004; Cass. nn. 9520/1997 e 12342/1992), secondo cui qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l'erogazione di somme poi refluite in forza di precedenti accordi nelle casse della banca mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, risulta individuabile il “motivo illecito” perseguito, rappresentato dalla costituzione di un'ipoteca per debiti chirografari preesistenti; tale garanzia è revocabile, in quanto concessa per nuovo credito, la cui erogazione è finalizzata all'estinzione di credito precedente chirografario.

In sostanza, la garanzia ipotecaria non è espressione di autotutela preventiva, in quanto costituita per debito preesistente, in tutti i casi in cui il mutuatario non abbia ad acquisire contestualmente nuova disponibilità finanziaria, essendo, in tal caso, la garanzia associata ad un rischio di credito già in atto (Cass. n. 4202/2019). Tale impostazione appare conforme alla giurisprudenza maggioritaria della Cassazione che, dal collegamento di più negozi e dall'illiceità del motivo perseguito, fa discendere la revocabilità della garanzia concessa per nuovo credito la cui erogazione sia finalizzata all'estinzione di credito precedente chirografario.

Ad arricchire il dibattito giurisprudenziale è intervenuta Cass. n. 1517/2021, che richiama i precedenti di Cass. n. 20896/2019 e Cass. n. 7740/2020, secondo cui il "ripianamento" di un debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente, sostanzia un'operazione di mera natura contabile, con una coppia di poste nel conto corrente - una in "dare", l'altra in "avere" - per l'appunto intesa a dare corpo ed espressione a una simile dimensione; diverso è il caso in cui la posta a credito sia di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto, per la parte del supero l'operazione ben potendo allora iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo.

Un tale operatività - che dunque non realizza uno spostamento patrimoniale - comporta in definitiva un riposizionamento delle scadenze dei debiti pregressi: l'accordo tra banca e cliente - se da un lato esclude la stessa eventualità di consegna e trasferimento di proprietà delle somme, giusta la compiuta posta "in dare" sul conto, che in via automatica ed immediata modifica il saldo ex art. 1852 c.c. -, dall'altro sposta in là nel tempo l'esigibilità del pregresso debito.

I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, concludono evidenziando che la fattispecie in esame concretizza la figura del pactum de non petendo ad tempus.

Conclusioni

L'elaborazione giurisprudenziale, anche di legittimità, non ha ancora raggiunto un indirizzo unanime in merito alle conseguenze giuridiche della diffusa prassi operativa che prevede il ripianamento di perdite pregresse mediante l'erogazione, da parte della stessa banca creditrice, di un finanziamento di credito ipotecario, spesso ‘fondiario' ex art. 38 TUB. Secondo il più recente orientamento di Cass. n. 1517/2021, l'operazione di "ripianamento" di debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus.

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