Fallimento: valida la notifica dell'istanza di fallimento alla casa comunale per l'impresa che non ha la PEC

Alessandro Barale
26 Febbraio 2021

La sentenza in commento evidenzia l'obbligo per ogni imprenditore iscritto al registro delle imprese di "dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata”, nonché le conseguenze che derivano per tali soggetti dal mancato perfezionamento del procedimento di notifica presso l'indirizzo di posta elettronica certificata...
Massima

Ogni imprenditore, individuale o collettivo, è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata e tale indirizzo costituisce l'indirizzo "pubblico informatico" che i predetti hanno l'onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo sin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso; ne consegue che a norma dell'art. 15 comma 3 l. fall. – che costituisce norma speciale propria del procedimento prefallimentare – quando la notificazione non può essere compiuta con le modalità indicate nella prima parte della disposizione, ovverosia (a) all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore, oppure (b) presso la sede risultante dal registro delle imprese, si esegue, in terza battuta, con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso.

Il caso

Nella decisione in esame si ripete un “copione” ormai piuttosto frequente, che si ritrova in svariate fattispecie che hanno impegnato a più riprese la Suprema Corte ed in alcune occasioni anche il giudice delle leggi.

Un'impresa – in questo caso collettiva – viene dichiarata fallita in sua contumacia e propone prima reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento dinnanzi alla Corte d'appello di Roma e poi, vedendo rigettata la propria impugnazione, si rivolge al Supremo Collegio.

Le circostanze fattuali sono le medesime di altre decisioni che si sono pronunciate sull'art. 15 comma 3 l. fall., il quale nella sua (ormai non più così) nuova formulazione – come risultante all'esito delle modifiche operate dall'art. 17 comma 1 lettera a) del d.l.. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, in l. 17 dicembre 2012, n. 221 – prevede che:

a) la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del provvedimento che fissa l'udienza di comparizione delle parti sia effettuata al debitore, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti;

b) ove tale notificazione, per qualsivoglia ragione, non si perfezioni, è il ricorrente che deve richiedere la notifica all'ufficiale giudiziario affinché la esegua di persona e presso la sede legale risultante dal registro delle imprese;

c) ove neppure tale ultima notificazione, per qualsivoglia ragione, non sortisca esito positivo, il ricorrente dovrà richiedere nuovamente la notifica all'ufficiale giudiziario mediante deposito dell'atto nella casa comunale ove si trova la sede legale.

Nel caso in commento, non essendo andati a buon fine i primi due tentativi di notifica, la stessa si è infine perfezionata mediante deposito alla casa comunale sicché il debitore non ne è venuto effettivamente a conoscenza e, appreso del suo fallimento, ha proposto prima reclamo e poi ricorso per Cassazione, senza però trovare in entrambi i casi alcuna soddisfazione alle sue richieste.

Ulteriore profilo trattato secondariamente dalla decisione – e che non sarà oggetto della presente nota – è quello dell'idoneità della documentazione allegata dal debitore al fine di dimostrare l'accertamento in fatto dei requisiti di non fallibilità: al riguardo la Corte rimarca la piena ammissibilità probatoria dei bilanci degli ultimi tre esercizi ritualmente depositati, che costituiscono “strumento di prova privilegiato”, seppure non assurgente a “prova legale”.

La questione

Il tema trattato dalla Corte di cassazione nella decisione in discorso ed oggetto del presente commento è molto simile ad altre fattispecie già sottoposte negli ultimi anni al Supremo Collegio, sin dal momento in cui la modifica apportata all'art. 15, terzo comma, l.f., ha disegnato un iter notificatorio che, in modo piuttosto tranchant, supera gli ostacoli che in passato poteva incontrare la notifica dell'istanza di fallimento, facendo leva su alcuni obblighi ben precisi che gravano in capo alle imprese individuali e collettive e la cui violazione determina di fatto la grave conseguenza consistente nel non acquisire effettiva conoscenza della pendenza del procedimento per la dichiarazione di fallimento.

La sentenza in commento evidenzia i suddetti obblighi ed osserva che ogni imprenditore, sia esso individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese, “è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata” e ciò:

- per quanto riguarda le imprese costituite in forma societaria, ai sensi dell'art. 16 comma 6 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, secondo cui “Le imprese costituite in forma societaria sono tenute a indicare il proprio domicilio digitale”;

- per quanto riguarda gli imprenditori individuali, a norma dell'art. 5 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l.17 dicembre 2012, n. 221.

Si noti peraltro che con l'art. 37 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, tale obbligo è più severamente sanzionato ed inoltre, sia per le imprese costituite in forma societaria sia per le imprese individuali, “L'ufficio del registro delle imprese, contestualmente all'irrogazione della sanzione, assegna d'ufficio un nuovo e diverso domicilio digitale per il ricevimento di comunicazioni e notifiche, attestato presso il cassetto digitale dell'imprenditore, erogato dal gestore del sistema informativo nazionale delle Camere di commercio di cui all'art. 8 comma 6 della legge 29 dicembre 1993, n. 580”.

Alla luce della suddetta normativa, tanto più come recentemente rafforzata, la Corte di Cassazione ribadisce il principio per cui tale indirizzo di posta elettronica certificata costituisce l'indirizzo "pubblico informatico" che tutti gli imprenditori sono tenuti:

1) ad attivare nella fase di iscrizione nel registro delle imprese;

2) a mantenere operativo e quindi rinnovare nel tempo;

3) a conservare anche per i dodici mesi successivi all'eventuale cancellazione dell'impresa.

La sentenza quindi definitivamente chiarisce e delimita l'obbligo sussistente in capo all'impresa, precisando altresì che esso grava interamente sull'imprenditore individuale o sul legale rappresentante della società “non avendo al riguardo alcun compito di verifica l'Ufficio camerale”.

Dopo aver evidenziato l'importanza del suddetto obbligo la Corte ha gioco facile a legittimare – peraltro collocandosi nel solco di un'interpretazione giurisprudenziale, anche di legittimità, ormai costante – la piena ragionevolezza e legittimità dell'iter notificatorio previsto dall'art. 15 comma 3 l. fall.

Se infatti l'imprenditore non avrà adempiuto all'onere ora descritto, non potrà poi dolersi di non essere venuto a conoscenza del ricorso per la dichiarazione del suo fallimento, atteso che dopo l'eventuale mancata notifica a mezzo p.e.c. – e quindi nonostante la violazione degli obblighi di legge sopra delineati – egli è ulteriormente garantito da un secondo tentativo di notificazione presso la sede legale risultante dal registro delle imprese.

E soltanto se pure tale ulteriore notificazione dovesse sortire esito negativo – dimostrando l'assoluta noncuranza dell'imprenditore sia di mantenere un indirizzo “pubblico informatico” sia di presidiare un indirizzo “fisico” – nulla potrà essere rimproverato all'istante che avrà richiesto ed al Tribunale che avrà dichiarato il fallimento.

Le soluzioni giuridiche

Nonostante alcune iniziali perplessità che la nuova formulazione dell'art. 15 l. fall. ha suscitato soprattutto nella giurisprudenza di merito, l'opinione della decisione in commento è pressoché univocamente condivisa nel ritenere perfettamente valido e ragionevole l'iter notificatorio come letteralmente disciplinato dal terzo comma della disposizione citata, ciò anche grazie ai noti interventi del giudice delle leggi (cfr. Corte Cost., 18 maggio 2016, n. 146 e Corte Cost., 7 giugno 2017, n. 162), che hanno avuto il pregio di giustificare con “la specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare” quella effettiva ed “innegabile diversità tra il descritto procedimento speciale e quello ordinario di notifica”.

Sgombrato il campo da dubbi di legittimità costituzione della norma, il Supremo Consesso in altre occasioni ha avuto modo di precisare che anche “nel caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato […] all'indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede” (così, letteralmente, Cass. civ.,, 10 ottobre 2017, n. 23728; Cass. civ., 13 settembre 2016, n. 17946); inoltre, “né la menzionata specialità, e completezza, di disciplina prevista nel procedimento per la dichiarazione di fallimento patiscono una deroga per il caso della società che, cancellata dal registro delle imprese e già in liquidazione, sarebbe situazione normata in modo aggirante il precetto dell'art.15 l.f., che, per la sua portata invece generale, attiene ad ogni vicenda di imprenditore fallibile e dunque anche se in forma societaria, cancellata o meno, senza eccezioni ovvero permeabilità del regime ordinario delle notifiche, interamente derogato; ne consegue che «va escluso, pertanto, che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e segg. o 145 c.p.c.(a seconda che l'impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società» (Cass. civ., n. 602/2017)” (Cass. civ., , 10 ottobre 2017, n. 23728; nello stesso senso, più recentemente, v. Cass. civ., 5 marzo 2018, n. 5080; Cass. civ., 12 febbraio 2020, n. 3443; Cass. civ., 7 settembre 2020, n. 18544).

Altre pronunce hanno poi insistito sul fatto che neppure la natura di imprenditore individuale non comporta deroghe al procedimento notificatorio speciale previsto dalla l. fall.; in particolare ad avviso di Cass. civ.,, 4 luglio 2017, n. 16447: “l'illegittimità della norma, che secondo il ricorrente ne imporrebbe una interpretazione diversa da quella letterale, in senso costituzionalmente orientato, è stata esclusa dalla Corte costituzionale con specifico riferimento alle società (v. Corte Cost. n. 146/16), ma con argomentazione che, evocando la specialità e complessità degli interessi sottesi, comuni a una pluralità di operatori economici, e anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito, si palesano estendibili a ogni impresa alla quale è posto l'obbligo di datarsi di indirizzo pec; invero la norma denunciata garantisce adeguatamente il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell'attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, proprio in ragione del predisposto articolato meccanismo di ricerca, che suppone la previa notizia presso l'indirizzo pec del quale l'imprenditore, anche individuale, è obbligato a dotarsi e […] solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo segue la notificazione presso l'indirizzo della sede legale, da indicare obbligatoriamente nel registro delle imprese; nel caso di specie, dalla sentenza risulta che erano stati tentati con esito negativo entrambi i meccanismi di notificazione; per cui, come osservato dalla Corte costituzionale, il deposito dell'atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si è posto come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell'imprenditore, degli obblighi di legge”.

E ancora: “È conforme ai parametri costituzionali della ragionevolezza, del diritto di difesa e del giusto processo l'art. 15 l. fall., che prevede – nel caso di esito negativo della notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del decreto di convocazione del debitore tramite posta elettronica certificata e nella sede del debitore risultante dal registro imprese – la notificazione mediante deposito nella casa comunale del luogo ove risulta la sede del debitore risultante nel registro delle imprese, anche nell'ipotesi in cui l'imprenditore abbia cessato l'attività e non sia ancora decorso un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese” (così Cass.civ., 9 settembre 2016, n. 17884, secondo cui in sostanza l'imprenditore individuale che, nell'anno successivo alla propria cancellazione dal registro imprese disattivi deliberatamente la casella di posta elettronica certificata assegnatagli, si pone in una situazione di irreperibilità imputabile a sua negligenza e violazione dei generali doveri di correttezza dell'operatore economico e quindi risponde delle relative conseguenze).

Volendo trovare alcuni aspetti ancora non univocamente risolti dalla giurisprudenza può porsi a confronto App. Milano, 24 maggio 2019 (secondo cui “ove il destinatario della notifica sia un imprenditore individuale, e quindi una persona fisica, essa potrà effettuarsi dall'ufficiale giudiziario, mediante accesso diretto in loco, ma sempre ricercando le persone idonee a ricevere l'atto limitatamente ai locali ed all'edificio ove ha sede l'impresa, e ciò per espresso precetto normativo”) che pare escludere non solo la necessità, ma finanche la possibilità, di ricercare l'imprenditore presso la sua residenza, con l'opinione di Cass. civ., 21 novembre 2019, n. 30453, che invece non esclude “che la convocazione del debitore possa essere compiuta anche nelle forme ordinarie”, osservando (in un caso in cui il fallito contestava la notificazione in quanto avvenuta a mani della sua segretaria) come “la introduzione, per motivi di semplificazione, di un procedimento notificatorio che valga ad evitare lungaggini nella instaurazione del contraddittorio nei confronti dell'imprenditore debitore non può consentire di giungere al paradosso di sostenere che la notificazione “non spedita e celere” ma eseguita nelle forme del codice di rito e, dunque, rispondente alle scelte generali del legislatore, sia invalida solo perché difforme dal modello prescelto”.

Osservazioni

La sentenza in commento, che consolida ulteriormente un orientamento ormai definibile granitico della giurisprudenza di legittimità, è assolutamente condivisibile ed ha il pregio di ribadire in modo preciso e dettagliato, anche mediante il richiamo alle specifiche norme di legge che impongono all'imprenditore l'adozione di un indirizzo di posta elettronica certificata, l'assoluta ragionevolezza e legittimità dell'art. 15 comma 3 l. fall., nella sua attuale formulazione.

D'altra parte pare innegabile che la norma abbia individuato un corretto equilibrio tra l'esigenza di salvaguardare pienamente il diritto di difesa all'imprenditore di cui viene richiesto il fallimento, ricevendo il medesimo il ricorso introduttivo del procedimento a mezzo p.e.c., e quindi con modalità che assicurano la corretta ricezione dell'atto, o – in subordine – mediante notifica alla sede legale e la necessità di garantire celerità ed efficienza al procedimento giurisdizionale, troppo spesso messo a dura prova da inutili formalismi che, lungi dal costituire strumento di tutela per le parti coinvolte nel processo, si rivelano spesso facili e pretestuosi escamotage per evitare o quantomeno allontanare nel tempo l'emissione di provvedimenti sfavorevoli.

Fonte: ilprocessotelematico.it

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