La compilazione incompleta della cartella medica non può tradursi in un danno nei confronti del paziente

Katia Mascia
26 Febbraio 2021

In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente.

Una coppia, in proprio e in qualità di genitori di un minore, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, la ASL, un medico e un'ostetrica, al fine di ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni derivanti dalle gravissime lesioni (tetraparesi spastica) riportate dal bambino al momento della nascita. Deducevano che, in sala parto, l'équipe medica aveva deciso di procedere, in presenza di una chiara difficoltà a partorire, all'estrazione del nascituro mediante ventosa, non operando alcuna scelta alternativa meno rischiosa per la madre e il bambino. Il Tribunale si pronunciava dichiarando la responsabilità dell'ASL e del medico, condannandoli in via solidale al risarcimento dei danni. Avverso la sentenza la ASL proponeva appello e il medico appello incidentale. Si costituivano la coppia di genitori, chiedendo la conferma della pronuncia di prime cure, e l'ostetrica, chiedendo il rigetto delle domande formulate dagli appellanti nei suoi confronti.

La Corte di Appello di Napoli - ritenendo che le parti convenute non erano state in grado di offrire la prova liberatoria, di cui all'art. 1218 c.c., che l'esito peggiorativo o infausto del parto fosse stato determinato da un evento imprevedibile ed inevitabile alla fine del periodo espulsivo - rigettava le impugnazioni proposte, confermava la sentenza del Tribunale in merito alla condanna al risarcimento dei danni e condannava la ASL e il medico alla rifusione delle spese di lite, in via solidale tra loro.

Avverso la pronuncia il medico proponeva ricorso per Cassazione. Resistevano in giudizio, con separati controricorsi, i due genitori e l'ostetrica. La ASL proponeva controricorso con ricorso incidentale tardivo.

Ad avviso dei Supremi giudici la Corte territoriale ha applicato adeguatamente il principio di diritto, confermato anche dalla Cassazione in materia di responsabilità sanitaria, secondo il quale è onere del creditore della prestazione sanitaria provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità tra l'aggravamento o l'insorgenza della situazione patologica e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice (ossia il sanitario e la struttura in cui egli opera) provare la causa imprevedibile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione. Nella decisione del giudice d'appello ha rilevato la mancanza di indicazione degli interventi effettuati nella fase finale del parto, che ha condotto a ritenere provato il collegamento causale tra fatto e danno. Infatti, la cartella clinica era incompleta, non essendo state annotate le attività medico- sanitarie espletate nella fase ultima del parto. Inoltre, dalla testimonianza resa da una teste presente in sala era emersa la mancanza di adeguata sorveglianza da parte del medico sulla partoriente, lasciata nelle mani dell'ostetrica per assistere altra partoriente, nel mentre sopraggiunta. Per la Cassazione, la Corte napoletana ha giustamente ritenuto non sia sufficiente ad escludere la responsabilità del medico accertare l'insorgenza di una complicanza, dovendosene dimostrare l'imprevedibilità e l'inevitabilità, nonché l'adeguatezza della condotta del sanitario per porvi rimedio. Il corretto adempimento della prestazione sanitaria avrebbe potuto evidenziare tempestivamente la sofferenza fetale ed anticipare l'intervento estrattivo, eliminando o riducendo gli effetti dannosi.

La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in oggetto, dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale tardivo, condannando il ricorrente principale e l'incidentale, in via solidale tra loro, al pagamento delle spese in favore dei genitori. Condanna, altresì, il ricorrente principale alle spese in favore dell'ostetrica.

(Fonte: Diritto e Giustizia.it)

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