Anzitutto, si rileva una evidente e manifesta violazione dei princìpi sanciti dalla Costituzione, in quanto, salvo voler considerare l'ambito giuslavoristico e previdenziale una sorta di “zona franca” del diritto interno e, come tale, impermeabile ai criteri ordinamentali fissati dai Padri Costituenti, sfugge la ratio sottoposta all'art. 1, comma 179, lett. a), nella parte in cui si condiziona l'accesso al beneficio dell'APE sociale alla preventiva ed integrale percezione della prestazione spettante in ragione della condizione di disoccupato, conclusa da almeno 3 mesi, escludendo, quindi, perlomeno in base all'interpretazione ripetutamente accolta dall'INPS e dalla Giurisprudenza in materia, coloro i quali non abbiano richiesto tale indennità, in alcuni casi avendone persino diritto.
Oltre ad essere una lettura, a sommesso avviso dell'autore, acriticamente letterale della norma, quand'anche essa fosse l'unica ritenuta coerente col significato intrinseco del testo, tale interpretazione non può non suscitare dubbi di costituzionalità nell'interprete chiamato ad applicarla.
Come può un beneficio erogato dallo Stato nei confronti di categorie poste in condizioni di difficoltà premiare esclusivamente chi ha già ottenuto altri benefici dalla casse pubbliche? Come si concilia tale interpretazione con qualsiasi parametro di spending review o con il princìpio solidaristico? Non solo, perché tale esclusione, essendo scevra da rilievi di senso logico e pratico, quali il reddito in antecedenza percepito o l'attuale situazione economica, talvolta finirebbe per premiare, non si sa con quale spirito redistributivo, chi ha raggiunto a sufficienza i 30 anni di contribuzione ed ha, successivamente, vissuto a spese dello Stato, tramite sussidi o benefici di varia natura, in luogo di soggetti con 30 o più anni di contribuzione, magari vicini alla pensione, ma, al contempo, in difficoltà per improvvisa cessazione dell'attività presso cui prestavano la propria opera (situazioni purtroppo frequenti in tempo di pandemia) o, semplicemente, in virtù di altri sfavorevoli fattori.
Si pensi alle clamorose disparità di trattamento che verrebbero a crearsi di qui a poco, vista l'attuale ed inarrestabile crisi economica e sociale in atto, mantenendo un simile e dannoso orientamento.
Ebbene, un tale paradosso non può non suscitare negli operatori del diritto più di qualche perplessità.
Infatti, non si tratta di situazioni caratterizzate dalle cd. “finestre temporali”, le quali, storicamente, hanno connotato le politiche assistenzialiste del Paese, favorendo pochi e fortunati “eletti” (per l'appunto, dal latino eligo, scegliere) in una platea omogenea e connotata da requisiti identici, salvo il dato temporale, in un'ottica deprecabile, ma difficilmente contestabile agli organi legislativi, i quali, non essendo immutabili nella composizione, nell'alternarsi e modificarsi, optano, di volta in volta, per diverse soluzioni a seconda di vari fattori, tra cui il contesto storico di azione e la convenienza politica del momento.
Nella norma qui analizzata, si è in presenza di una distinzione effettuata in base al possesso di precisi requisiti contributivi e occupazionali, perfettamente comprensibili, fino al punto in cui si introduce, senza che ciò sia dettato da altri princìpi in materia, una discriminante eccessiva e insensata per l'accesso al beneficio.
Si sarebbe potuto tranquillamente comprendere l'esatto opposto, ossia niente APE sociale a chi ha già usufruito di altri benefici erogati dallo Stato, ma, francamente, escludere, viceversa, dall'indennizzo coloro i quali non hanno percepito in precedenza tali prestazioni, risulta manifestamente lesivo degli art. 2, 3, comma 2, e 97 della Costituzione.
La prima violazione, relativamente agli articoli 2 (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.) e 3, comma 2, Cost. (È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.), appare evidente con riguardo al cd. Fondamento solidaristico della Repubblica, il quale, ispirandosi al combinato disposto dei suddetti articoli e dei sottesi princìpi (Solidaristico e Uguaglianza Sostanziale), impone allo Stato la rimozione di ogni ostacolo economico e sociale tra i cittadini, al fine di equilibrare le ovvie differenze di ceto tutt'oggi sussistenti sul territorio italiano, erogando, in favore dei più deboli ed a carico dei più abbienti, ogni prestazione idonea al raggiungimento di tale scopo (trattasi, infatti, di Norme programmatiche, la cui funzione perdura fintanto che l'obiettivo prefissato non viene raggiunto).
Ebbene, avallando la discutibilissima interpretazione succitata, verrebbe premiato dallo Stato chi ha già ricevuto benefici a dispetto di chi non li ha mai chiesti/ottenuti, finanche nelle ipotesi in cui il soggetto ne avrebbe avuto pieno diritto!
Inoltre, a norma dell'art. 97 della Costituzione, I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. In ragione di ciò, nell'erogazione dei benefici la PA dovrebbe adottare ogni opportuna cautela idonea ad evitare la creazione di ulteriori discriminazioni tra i cittadini, soprattutto alla luce del compito di rimozione degli ostacoli socio-economici frapposti all'eguaglianza formale e sostanziale.
Purtroppo, con riguardo al disposto normativo trattato, l'INPS, anche a causa di una formulazione normativa a dir poco infelice, sostiene l'esatto opposto, insistendo su una stretta ed iniqua lettura del dettato normativo, invece di richiedere al legislatore una possibile ed auspicabile lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 1, comma 179, lettera a), legge n. 232/2016.