La notifica si perfeziona anche se la casella di posta elettronica è piena

04 Marzo 2021

La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di aver rinvenuto la c.d. casella PEC del destinatario piena, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna...

È quanto affermato dalla Corte di cassazione nell'ordinanza n. 5646/21, depositata il 2 marzo.

Il Tribunale territorialmente competente rigettava l'opposizione allo stato passivo del fallimento di una S.r.l. proposta da due lavoratori che avevano avanzato domanda di accertamento dell'illegittimità del licenziamento collettivo a costoro intimato e di risarcimento del danno.

Avverso tale pronuncia i soccombenti proponevano ricorso per cassazione con la resistenza del fallimento intimato.

La Corte di cassazione dichiarava con sentenza, inammissibile il ricorso proposto dai lavoratori con condanna al pagamento delle spese di lite. In particolare, i Giudici di legittimità, avevano considerato la comunicazione dell'avvenuto deposito del decreto avvenuto tramite PEC all'indirizzo indicato dal loro difensore negli atti di causa – e conclusosi con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica – parimenti effettuata ed efficace.

Per la revocazione di tale sentenza i soccombenti in epigrafe proponevano ricorso con due motivi.

Gli ermellini, hanno ritenuto inammissibile il primo dei due motivi di ricorso proposto dai lavoratori con il quale questi ultimi denunciavano ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., erronea presupposizione di fatto obiettivamente inesistente ossia che non aveva avuto luogo alcuna notifica/comunicazione a mezzo del deposito in cancelleria dei decreti di rigetto emessi dal Tribunale di merito.

I Giudici di legittimità osservano tuttavia, che la giurisprudenza della loro Corte ritiene che l'ipotesi di revocazione di cui all'art. 395, n. 4 cit. sussiste solo se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; nello specifico, sussiste questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione su un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilità. Pacificamente per tale orientamento, dunque, tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti o documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.

Per i Giudici di legittimità il ricorso per revocazione in oggetto non può trovare accoglimento poiché, seppur parte ricorrente individui l'errore revocatorio in un «fatto obiettivamente inesistente» (ossia il non aver avuto luogo alcuna notificazione/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale adito) tuttavia, non è parimenti possibile affermare che il Collegio sia incorso in «una grave svista percettiva» perché non si sarebbe accorto della presenza agli atti di causa di un documento attestante l'avvenuta comunicazione dei decreti in esame non già a mezzo deposito in cancelleria, ma a mezzo PEC data successiva rispetto al deposito. Secondo parte ricorrente, proseguono i Giudici, l'aver erroneamente considerato inesistente, nella sua dimensione storica di spazio e di tempo, il fatto costituito dalla seconda notifica risultante dalla comunicazione di cancelleria prodotta agli atti di causa indica certamente gli estremi dell'errore revocatorio decisivo ai sensi e per gli effetti dell'art. 395, n. 4 cit., nondimeno, in nessun punto della sentenza impugnata si legge esplicitamente che il Collegio ha ritenuto che avesse avuto luogo la notifica a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale, e quindi, in nessun punto si afferma essere sussistente quel fatto la cui verità sia incontrastabilmente esclusa e sul quale sia stata fondata la decisione. Al contrario la decisione appare radicata tutta sul rilievo che la comunicazione dell'avvenuto deposito del decreto realizzata tramite PEC all'indirizzo del difensore e conclusosi con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica era da considerare parimenti effettuata ed efficace.

I Giudici concludono affermando che nel caso di specie, inoltre, la circostanza che un certo fatto non sia stato considerato dal Giudice non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo, invece, esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perché, altrimenti, si ricondurrebbe all'ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che nell'ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto che non sia stato espressamente considerato nella motivazione giudiziale.

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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