Condutture passanti e presunzione di condominialità: le colonne d'ercole del “punto di diramazione” e del “punto di utenza”

04 Marzo 2021

I tubi e le condutture passanti all'interno delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, sebbene strutturalmente facenti parte degli impianti centralizzati, consegnano all'interprete una plastica rappresentazione della difficoltà - concettuale, prima ancora che giuridica - che, nell'àmbito del condominio, si ha nel separare beni comuni e privati.
Il quadro normativo

Il novellato art. 1117, n. 3), c.c. chiarisce che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo, tra le altre, le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune (come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

La nuova formulazione della norme reca alcune novità di rilievo: a) alla elencazione di acquedotti, fognature, canali di scarico ed impianti per l'acqua è stata sostituita la più generale ed omnicomprensiva dizione “impianti idrici e fognari”; b) è stata poi integralmente riscritta la parte centrale della norma, sottoponendo a regime condominiale i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti.

L'elencazione, non tassativa, dei sistemi centralizzati appare caratterizzata dall'esigenza di tener conto dello sviluppo e della diffusione delle nuove tecnologie che corredano gli edifici di nuova costruzione e delle quali, per la loro evidente utilità, si sono muniti (ma, soprattutto, si muniranno, secondo sviluppi al momento ancora non immaginabili) anche i vecchi condomini.

La previsione va, infine, coordinata con il successivo art. 1120, comma 2, nn. 2) e 3), c.c. che contempla la possibilità, per l'assemblea, di deliberare rispettivamente opere ed interventi per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio nonché l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze.

Il regime di condominialità

Gli impianti ed i sistemi centralizzati soggiacciono al regime condominiale, ove destinati all'uso comune, fino al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini (sotto tale profilo la formulazione della norma è rimasta invariata) ovvero - e qui la previsione è, invece, di nuovo conio - in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.

Se la ratio della scelta legislativa appare chiara per la prima ipotesi giacché, arrivato al punto di diramazione, l'impianto cessa di fornire utilità a tutte le unità immobiliari (donde l'attrazione nel regime proprietario comune) e si rivolge, piuttosto, esclusivamente al godimento ed al servizio di beni in proprietà individuale (con conseguente attrazione nell'orbita della proprietà esclusiva), non altrettanto è da dirsi avuto riguardo al concetto di punto di utenza: probabilmente, si vuole fare riferimento a quegli impianti che prevedono l'installazione di un contatore per il controllo dei consumi all'interno dell'abitazione, con ciò volendosi significare che, fino a che non raggiunga tale contatore, l'impianto resta di proprietà comune, anche se scorre all'interno di vani in proprietà individuale.

Conclusione che, invero, consente di affrontare la questione (già esistente con riferimento alla originaria formulazione dell'art. 1117 c.c.) del regime proprietario delle tubazioni, delle condutture ovvero delle altre strutture necessarie al funzionamento dell'impianto medesimo, ove collocate in porzioni dell'edificio in proprietà esclusiva, con conseguente sviluppo, all'interno di esse, di parte del loro percorso.

Il regime giuridico dei tubi passanti: la tesi della natura comune

La cennata questione ha visto succedersi, con alterne vicende, due tesi tra loro diametralmente opposte, l'una favorevole, cioè, alla natura comune di tali elementi, l'altra a sostegno della natura proprietaria esclusiva.

Muovendo dalla prima opzione ricostruttiva, si è sostenuto, in giurisprudenza, che, nella sussistenza di un nesso di accessorietà rispetto al servizio collettivo fornito in favore dell'intero edificio, soggiace alla "presunzione" di comunione non soltanto quella parte di impianto che si sviluppa in aree comuni, ma anche quella porzione di esso che passa attraverso parti di proprietà esclusiva.

È la risalente Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1964, n. 2151 ad osservare, per prima, che, sebbene gli impianti di eduzione e di scarico delle acque, per le esigenze tecniche costruttive dell'intero edificio, di frequente, attraversino la proprietà esclusiva del singolo condomino (con la conseguenza che il punto o i punti di diramazione degli impianti a servizio esclusivo degli altri condomini ricadono nella quota della proprietà esclusiva di un altro di essi), nondimeno le parti comuni non perdono tale caratteristica neanche nei tratti suddetti, sol per la loro collocazione topografica all'interno di una proprietà esclusiva, il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condomino dovendosi piuttosto rinvenire nella loro destinazione: il condotto di acque, cioè, è di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio del singolo, mentre è comune in tutta la restante porzione, in cui ad esso si innestano uno o più altri canali a servizio di altri condomini.

Sicché, la collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o parte di esse) dell'impianto termico centralizzato (o di altro servizio comune), non rende di per sé quel vano insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di proprietà, salve le limitazioni di tale diritto - concretanti corrispondenti servitù - correlate all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale (v. anche Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5978). Del pari, Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2010, n. 7761 ha ritenuto che il proprietario del vano o della struttura al cui interno scorre parte dell'impianto comune ha l'obbligo di consentirne e conservarne la destinazione al servizio collettivo, configurandosi l'impedimento all'utilizzazione del servizio da parte degli altri comproprietari come un uso illegittimo dei poteri a lui spettanti in qualità di comproprietario.

Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1982, n. 369 ha, inoltre, evidenziato che, nel caso di attraversamento, ad opera dei tubi dell'impianto centralizzato di riscaldamento, di un vano in proprietà esclusiva che di tale servizio non fruisca, deve ritenersi sussistente una servitù di conduttura di liquidi a carico di tale cespite ed in favore delle altre parti dell'edificio condominiale.

(Segue) la tesi della natura privata

Diametralmente opposta, come si accennava poc'anzi, è, invece, la soluzione proposta - con tempistica pressoché coeva alla prima delle pronunzie indicate in precedenza - da Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1963, n. 2043, per la quale, non potendosi la presunzione di comunione estendere a quella parte dell'impianto compresa nell'ambito della proprietà esclusiva di singoli condomini, non possono conseguentemente avvantaggiarsene neppure le diramazioni (necessarie a servire altre utenze e) passanti in tali unità di proprietà individuale.

Siffatta conclusione è stata oggetto di condivisione dalla più recente Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2018, n. 27248: nell'occasione, la Suprema Corte motivatamente si discosta dall'orientamento opposto, ritenendo insoddisfacente la soluzione che, per individuare il punto di "diramazione degli impianti" di cui all'art. 1117 c.c., fa riferimento unicamente alla destinazione del condotto delle acque, prescindendo dal tutto dalla sua ubicazione; ed infatti - si osserva - l'art. 2051 c.c. (disposizione invocabile in caso di danni derivanti da percolazioni in condominio dovuti a rotture delle tubazioni) prevede una forma di responsabilità che ha fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica implicante l'effettiva disponibilità della stessa e tale relazione difetterebbe, nella specie, rispetto al condominio, a cagione dell'ubicazione, in proprietà privata, per l'appunto, della parte dell'impianto medesimo.

Analoga, ancora, la conclusione propugnata da Cass. civ., sez. VI/II, 5 luglio 2017, n. 16608 con riferimento all'impianto condominiale di distribuzione e trasmissione dell'energia elettrica: in tal caso la Corte individua il limite della proprietà comune, rispetto all'inizio del tratto in proprietà individuale, in quella parte del sistema posto prima delle diramazioni negli appartamenti, rimanendo i singoli condomini tenuti alla manutenzione degli impianti interni.

La conferma circa la natura privata dei tubi (ed impianti) passanti

La soluzione da ultimo esposta - e, cioè, la natura privata dei tratti di impianto “passanti” nelle unità immobiliari in titolarità esclusiva - è stata, di recente, confermata dal Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2020, n.6735), il quale, relativamente all'affermata irrilevanza, rispetto alla partecipazione alle spese di riscaldamento centralizzato, del malfunzionamento di un calorifero presente nell'unità immobiliare di proprietà esclusiva della parte ricorrente, si è così espresso: “la presunzione di proprietà comune dell'impianto di riscaldamento di un immobile condominiale, ex art. 1117, n. 3), c.c., non può estendersi a quella parte dell'impianto ricompresa nell'appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi e, di conseguenza, nemmeno ai componenti radianti che vengono installati nelle unità immobiliari di proprietà individuale, anche se collegati tramite tubi alla caldaia comune, sicché è il proprietario dell'appartamento che deve curarne la manutenzione.

Affermazione che, peraltro, appare in linea con il principio per cui, ai fini della configurabilità della responsabilità per danno da cosa in custodia, occorre che vi sia una disponibilità giuridica e materiale della cosa, che comporti il potere d'intervento sulla stessa (Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15096; Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n. 7527).

In conclusione

La Riforma del 2013 ha rappresentato un'occasione persa (tra le tante) per fare chiarezza su un profilo delicato, quale quello in esame: basti pensare, per riprendere il discorso di Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2018, n. 27248, cit., al regime di responsabilità per i danni conseguenti alla rottura di tubazioni “passanti” ed alla conseguente individuazione del custode, tenuto al risarcimento (v., da ultimo, Cass. civ., sez. VI/II, 21 marzo 2020, n. 7044, per cui il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde ex art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini).

Peraltro, riconoscere la natura comune di tali elementi, sebbene essi non siano nella materiale disponibilità del condominio, potrebbe portare a conseguenze paradossali: l'inaccessibilità della proprietà privata (in cui le tubazioni corrono) da parte dell'amministratore - se non previo consenso del titolare esclusivo ovvero provvedimento dell'autorità giudiziaria - finisce per assurgere (non già a causa di esclusione, in nuce, del rapporto di custodia ma, al più) a fatto del terzo interruttivo del nesso eziologico, sub specie di caso fortuito nella ricorrenza dei presupposti (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2018, n. 9640).

Riferimenti

Chiesi, Art. 1117 c.c., in Codice commentato del condominio, Milano, 2018, 86;

Scarpa, La nuova disciplina degli “impianti” condominiali, in Imm. & proprietà, 2014, 227.

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