La Tabella Unica Nazionale ex art. 138 CAP e le possibili sorti di un DPR “tardivo”

Giuseppe Chiriatti
08 Marzo 2021

L'approvazione tardiva dello schema di DPR potrebbe introdurre un ulteriore elemento di incertezza in un contesto giurisprudenziale già segnato da profonde conflittualità. E a dieci anni di distanza dalla “storica” sentenza Amatucci (Cass. 12408/2011), l'onore e l'onere di ricomporre il quadro spettano ancora una volta all'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano.
Premessa

È del 13 gennaio 2021 la notizia secondo cui il Ministero dello Sviluppo Economico avrebbe predisposto uno schema di DPR con cui dare applicazione all'art. 138 CAP.

L'annuncio, com'era prevedibile, ha pressoché monopolizzato il dibattito tra gli operatori del settore, in attesa da ben sedici anni dell'approvazione di una Tabella Unica Nazionale (di seguito “TUN”) che restituisse alla liquidazione dei danni c.d. macro-permanenti valori risarcitori certi e ciò a maggior ragione nel comparto delle assicurazioni obbligatorie (RC Auto e RC Sanitaria) in cui il diritto ad un'equa riparazione del danno dev'essere bilanciato col più generale interesse alla sostenibilità/accessibilità delle tariffe di premio; oltretutto, lo schema di DPR viene alla luce in un contesto giurisprudenziale in evoluzione, che parrebbe aver messo in discussione, quantomeno in parte, l'impianto delle “Tabelle Milanesi” (le quali, proprio a causa del ritardo nell'attuazione dell'art. 138 CAP, hanno nel frattempo assunto una funzione “vicariale” della TUN così come statuito da Cass. 12408/2011 – c.d. sentenza “Amatucci”).

Il dibattito si è sin da subito concentrato su due aspetti prevalenti:

  • il primo che potremmo definire “metodologico” e che attiene al mancato coinvolgimento di alcuna società scientifica nella redazione della Tabella delle Menomazioni;
  • il secondo concerne, invece, l'entità dei valori monetari che vengono espressi dal DPR e che, stando alle prime proiezioni, risulterebbero complessivamente inferiori a quelli ricavabili dalle Tabelle di Milano (ma sul punto torneremo più avanti).

Sorprende, tuttavia, che - fatta eccezione per alcune voci isolate – il dibattito di cui sopra abbia finora eluso una questione che potremmo definire preliminare e che attiene alla tardività di un'eventuale approvazione del DPR rispetto al termine fissato dall'art. 138 CAP per la sua attuazione. Ed infatti, ai sensi della norma appena citata (così come novellata dall'art. 1, comma 17, L. 124/2017 c.d. “Legge Concorrenza”), la TUN avrebbe dovuto essere adottata “entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione” (ovvero il 29 agosto 2017): per l'effetto, a distanza di più di tre anni dalla scadenza fissata dalla norma primaria, non pare poi peregrino chiedersi se tale “macroscopica” violazione del termine possa inficiare la validità dello schema di DPR (ove questo dovesse infine essere approvato).

Potremmo ipotizzare, invero, che l'indifferenza dei più rispetto a tale questione sia stata determinata da una sorta di “inconsapevole” imbarazzo a censurare - prima ancora della sua effettiva approvazione – un provvedimento che, come detto, era atteso da ben 16 anni. D'altro canto, la potenziale illegittimità del provvedimento non pare possa essere trascurata e ciò impone di comprendere se ed in che termini il DPR, ove approvato, sia destinato ad una sua effettiva applicazione.

Il sindacato costituzionale sui regolamenti e il potere disapplicazione del giudice ordinario

Uniche voci, ad oggi, ad aver sollevato la questione, i rappresentanti di AIFVS (Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada), UNARCA (Unione Nazionale Avvocati Responsabilità Civile e Assicurativa) e PEOPIL (Pan European Organisation of Personal Injury Lawyers) hanno condiviso un documento in cui viene prospettata la potenziale illegittimità costituzionale del DPR per violazione del termine fissato nella legge delega (il documento è disponibile sul sito internet della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni https://www.simlaweb.it/bozza-dpr-nuove-tabelle-risarcimento-danno-biologico/).

In altri termini, aderendo a tale ricostruzione, il giudice ordinario (che sia chiamato a fare applicazione della TUN in seno ad un giudizio di responsabilità) ben potrebbe rimettere alla Consulta la questione di legittimità del DPR per violazione dell'art. 76 Cost. (in cui si dispone che “l'esercizio della funzione legislativa … può essere delegato al Governo … soltanto per tempo limitato … ”.

Ebbene, rispetto ad una simile prospettazione, occorre sin da subito evidenziare come l'art. 134 Cost. sottoponga al sindacato della Consulta le sole leggi ordinarie nonché gli atti aventi forza di legge (decreto-legge e decreto legislativo delegato); al contrario, nel caso che qui ci interessa, ci troveremmo al cospetto di un “mero” regolamento amministrativo (art. 17 L. 400/1988).

Già solo alla luce di tale considerazione, dovremmo quindi escludere che, ove infine approvato, il DPR possa essere sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale e ciò maggior ragione ove si consideri come la Consulta, sul tema, abbia da sempre assunto un approccio “formalistico”, chiarendo in modo piuttosto inequivoco che “pur nel crescente pluralismo delle forme di produzioni normativa … il controllo demandato a questa Corte dall'art. 134 Cost. deve intendersi limitato alle sole fonti primarie” almeno fin quando “l'evoluzione storica del sistema costituzionale conserverà l'attuale configurazione monistica di forma di governo con potere legislativo riservato al Parlamento e non riconosciuto in via originaria e concorrente anche all'esecutivo o ad altri organi” (così Corte Cost. 23/1989).

Occorre invero considerare come la Corte, proprio a fronte della sempre più diffusa tendenza del legislatore a delegare l'attuazione, in via regolamentare, delle norme primarie, abbia comunque tenuto a chiarire che un sindacato costituzionale “indiretto” sulle fonti secondarie potrà esservi in tutti quei casi il vizio colpisca direttamente “la legge abilitante il Governo … per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono” (Corte Cost. 427/2000). In altri termini, un regolamento potrebbe essere caducato per mano della Consulta esclusivamente nei limiti in cui il vizio di incostituzionalità colpisca direttamente la norma primaria o, ancora, nel caso in cui quest'ultima attribuisca al Governo una delega in bianco.

D'altro canto, tornando al DPR qui esaminato, non pare che si verta in alcuna delle ipotesi appena riportate, atteso che l'invalidità di cui si discute colpirebbe non la norma primaria bensì il regolamento che la attua tardivamente; né vi sono i margini, a parere di scrive, per ritenere che l'art. 138 CAP abbia attribuito al Governo una delega in bianco (in tal senso, ci pare infatti di poter affermare che la disposizione declini in modo piuttosto chiaro ed articolato i criteri di costruzione della TUN).

Date tali premesse, dovremmo, dunque, concludere che il DPR non sia suscettibile di sindacato da parte della Corte Costituzionale e che il controllo sulla legittimità del regolamento in questione non possa che essere demandato al giudice amministrativo o ordinario.

Invero, anche un'eventuale impugnazione del DPR avanti al TAR costituisce essa stessa uno scenario a dir poco improbabile, ove solo si consideri che - per giurisprudenza pacifica - l'impugnazione dell'atto amministrativo è ammissibile nei limiti in cui il provvedimento leda direttamente la sfera giuridica del ricorrente (ex multis Cons. Stato 4464/2020); al contrario, il DPR di cui si discute avrebbe un contenuto generale e astratto e, dunque, potrebbe ledere la sfera del privato solo in via mediata, ovvero mediante la sua concreta applicazione da parte del giudice ordinario in seno ad un giudizio di responsabilità civile (da sinistro stradale o da malpractice medico/sanitaria).

Ecco dunque disvelarsi l'effettiva portata del DPR (ove questo dovesse essere effettivamente approvato): il regolamento, ove ritenuto illegittimo, non potrà essere formalmente espunto dall'ordinamento - con effetti erga omnes - ma potrebbe essere disapplicato dal Giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 All. E L. 2248/1865 (c.d. “Legge sul contenzioso amministrativo”) con meri effetti inter partes.

Sulla rilevanza del vizio ai fini della disapplicazione

Una volta chiarito che si verte su di un atto meramente regolamentare (e, in quanto tale, non suscettibile di sindacato da parte della Corte Costituzionale), occorre nondimeno chiedersi se la mancata osservanza del termine fissato dalla norma primaria possa effettivamente rendere invalido il DPR (negli stessi termini in cui dovremmo ritenere illegittimo il decreto legislativo attuato oltre il termine previsto dalla legge delega ex art. 76 Cost.) o se, al contrario, vada “derubricata” a mero vizio formale (dal momento che lo stesso colpirebbe un atto meramente attuativo della scelta legislativa già espressa dalla norma primaria).
La questione, peraltro, risulterà tanto più di interesse ove solo si consideri come l'esecutivo versi in grave ritardo anche nell'attuazione di altre norme di primario rango e rilievo (il pensiero corre, com'è ovvio, ai decreti attuativi della c.d. Legge Gelli).

Ebbene, a parere di chi scrive la già richiamata e diffusa tendenza del Legislatore a delegare all'Esecutivo l'attuazione della norma primaria (col conseguente rischio di sottrarre al sindacato della Corte Costituzionale parte consistente della produzione normativa, fatta eccezione per i casi di cui si è detto) costituisce una prassi a dir poco preoccupante che vulnera l'effettivo assetto dei rapporti tra poteri dello Stato così come disciplinati dalla Carta Costituzionale. Già solo per questo, dunque, non parrebbe poi irragionevole ritenere che qualsivoglia esercizio da parte dell'Esecutivo - anche solo in via regolamentare – delle deleghe conferitegli dal Parlamento (quale titolare del potere legislativo) debba osservare i limiti temporali fissati dalla norma primaria e ciò in ossequio non all'art. 76 Cost., ma al più generale principio espresso da detta norma.

Del resto, quand'anche volessimo guardare all'apposizione del termine come ad un elemento meramente “formale”, a quel punto occorrerebbe indagare le ragioni per cui il Legislatore non sempre ha assegnato all'amministrazione un termine per attuare la norma primaria: è questo il caso, ad esempio, dell'art. 5, comma 5, l. n. 57/2001 che demandò la predisposizione della “primissima” tabella delle menomazioni c.d. micro-permanenti ad un successivo decreto ministeriale poi approvato, in difetto di qualsivoglia termine, a distanza di due anni (D.M. 3 luglio 2003).

Rispetto a tale ultimo rilievo, potrebbe invero replicarsi che la mancata fissazione del termine per l'attuazione della norma in via regolamentare rendesse già invalida la delega medesima. Ad ogni modo, anche a prescindere dalle sopra esposte considerazioni di ordine sistematico, occorre comunque considerare come il Legislatore abbia tenuto ad individuare – e ciò costituisce un dato di diritto positivo piuttosto inequivoco - le fattispecie in cui il vizio “meramente formale” dell'atto amministrativo non incide sulla sua validità: ci riferiamo all'art. 21-octies comma 2 l. n. 241/1990 (c.d. “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo”) ove è disposto che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”: ebbene, tale previsione di carattere eccezionale ben potrebbe essere letta a contrario quale conferma circa la natura sostanziale e non meramente formale della violazione del termine previsto dalla legge per l'adozione dell'atto amministrativo.

Sull'applicazione “indiretta” della nuova tabella

Alla luce di quanto sopra, sussistono dunque valide ragioni per poter quantomeno “contemplare” l'eventualità che il nuovo DPR venga disapplicato dal giudice ordinario in quanto tardivamente approvato dall'Esecutivo.

Al contempo, però, non potremmo neppure escludere che, a prescindere dalla sua potenziale illegittimità, il DPR possa comunque trovare un'applicazione per così dire “indiretta”; ma sul punto è necessario un breve excursus giurisprudenziale.

Già nell'introduzione abbiamo richiamato la nota sentenza c.d. Amatucci (dal nome del suo relatore), che nel 2011 ha eletto le Tabelle di Milano quale parametro nazionale per la liquidazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. (Cass. n. 12408/2011). D'altro canto, non potremmo omettere di considerare come, a distanza di pochi giorni, la successiva Cass. n. 14402/2011 avesse altresì chiarito che la mancata applicazione delle Tabelle Milanesi non configura di per sé una violazione di legge, almeno nei limiti in cui il giudice “dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanza del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si perviene mediante l'adozione dei parametri esibiti dalle dette tabelle di Milano”.

In altri termini, la giurisprudenza della Suprema Corte non esclude che il giudice del merito, nel procedere con la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. possa discostarsi in peius rispetto ai valori espressi dalle Tabelle di Milano (e giungere addirittura ad una liquidazione sproporzionata) purché dia conto, in motivazione, delle ragioni per cui è addivenuto a tale liquidazione “alternativa”: almeno in questi termini, dunque, potrebbe anche aprirsi il varco per una possibile applicazione del DPR da parte il giudice del merito, il quale potrebbe valutare di ricorrere all'impiego nuova TUN non perché “cogente”, ma perché ritenuta “più adeguata” alla luce delle peculiarità del caso concreto sottoposto al suo esame. In favore di una simile soluzione potrebbe muovere, in particolare, il fatto che la TUN consentirebbe di liquidare il danno da sofferenza interiore in via autonoma rispetto al pregiudizio dinamico relazionale nei termini prospettati dalla più recente giurisprudenza della Terza Sezione Civile della Cassazione (cfr. Cass. n. 910/2018 e Cass. n. 7513/2018 che, come noto, hanno di fatto mosso una critica alla scelta operata illo tempore dall'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano nel 2009, ovvero quella di liquidare il pregiudizio c.d. morale in via presuntiva, incrementando il punto base di invalidità biologica).

Oltretutto, occorre considerare come la TUN, per invalidità superiori al 75/76%, esprima dei valori risarcitori più elevati rispetto alla Tabella Milanese: per l'effetto, a fronte di danni alla persona particolarmente gravi, potrebbe essere proprio il medesimo danneggiato (e non anche il responsabile) ad insistere affinché il Giudice faccia applicazione indiretta del nuovo DPR.

Giusto per avere contezza di tale differenza monetaria, viene riportata di seguito una comparazione dei valori desumibili dalle Tabelle di Milano e dalla TUN per un'invalidità crescente dal 70 all'80% ove sofferta da un soggetto di 40 anni (nel calcolo dei valori secondo il nuovo DPR si è tenuto conto del coefficiente medio per il calcolo del danno morale, in modo da rendere la comparazione per quanto possibile omogenea, laddove le Tabelle di Milano procedono con una liquidazione presunta di tale pregiudizio mediante incremento del punto base di invalidità).

Grado di invalidità

(in percentuale)

Tabella Milano 2018

(in euro)

Nuovo DPR

(in euro)

Differenza

(in euro)

70

647.130,00

629.116,88

- 17.963,12

75

709.348,00

704.249,04

- 5.098,96

76

721.451,00

721.918,41

+ 467,41

80

768.703,00

786.288,07

+ 17.588,07

Considerazioni finali (e prospettiche)

Alla luce di quanto appena rilevato, verrebbe da dire che l'approvazione tardiva del DPR finisca col tradire le premesse da cui muove, introducendo un ulteriore elemento di incertezza e di conflittualità, specie in un comparto – quello delle assicurazioni obbligatorie – che, al contrario, dovrebbe confidare una volta per tutte nell'applicazione di valori risarcitori certi (e ciò in anche in un'ottica deflattiva del contenzioso, atteso che solo la previsione di valori e regole certe ex ante può consentire alle parti di addivenire a soddisfacenti soluzioni stragiudiziali).

Ad ogni modo, occorre pur sempre ribadire come l'unico elemento che potrebbe legittimamente indurre il Giudice a far proprio il meccanismo contenuto nel nuovo DPR sia costituito dal fatto che la TUN consentirebbe di procedere con la liquidazione del danno da sofferenza interiore in via autonoma rispetto al pregiudizio biologico nei termini descritti dalla più recente giurisprudenza della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione. D'altro canto, una volta ammesso che l'indiretta applicazione della TUN possa essere giustificata unicamente da tale aspetto, a quel punto sarebbe auspicabile che l'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano dia seguito alla già preannunciata volontà di modificare la veste grafica della propria tabella, dando autonomo rilievo al valore monetario che esprime il danno da sofferenza interiore presunto: tale scelta avrebbe il merito di riportare il quadro ad unità, da un lato salvando i valori monetari espressi dalla “tabella storica” e, dall'altro, permettendo al giudice del merito di operare in conformità ai più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità (si veda D. SPERA: Le novità normative e la Cass. suggeriscono ritocco Tabella milanese danno da lesione bene salute).

Occorre infatti considerare come la scelta della Corte di Cassazione di eleggere, nel 2011, le Tabelle di Milano a parametro per la liquidazione equitativa sia stata espressamente giustificata dal fatto che “ben sessanta tribunali, anche di grandi dimensioni […] al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali, hanno posto a base del calcolo medio i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale” (così Cass. 12408/2011): in altri termini, la Corte – nel tentativo di individuare un parametro uniforme – non ha fatto altro che prendere atto della scelta già effettuata da gran parte dei tribunali italiani. Pertanto, i valori monetari espressi dalla “tabella storica” costituiscono un patrimonio “esperienziale” che merita di essere adeguatamente custodito, in quanto nessun'altra tabella (tanto meno quella di cui allo schema di DPR) gode o potrebbe godere del medesimo “suffragio” tributato alle tabelle milanesi su scala nazionale (quanto meno da qui al prossimo futuro).

D'altro canto, per poter “custodire” tale patrimonio è necessario che l'Osservatorio giunga ad una soluzione di compromesso che recepisca le indicazioni fornite dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione e ciò a maggior ragione ove si consideri come tali indicazioni si siano talvolta risolte in sterili petizioni di principio che hanno avuto il solo effetto di ulteriormente inquinare il dibattito giurisprudenziale e dottrinale: è questo il caso di Cass. n. 25164/2020 che, pur muovendo una serrata e generale critica alla tabella milanese nel solco di quanto già affermato dai suoi precedenti più illustri (le già richiamate Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018), ha infine confermato la decisione della corte territoriale, che della tabella milanese aveva fatto piana applicazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario