Nella stagione della liceità del patto di quota lite c’è sempre spazio per il sindacato disciplinare

10 Marzo 2021

Con la sentenza n. 6002/2021, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di pronunciarsi su due delicate ed importanti questioni relative al contenzioso disciplinare che riguarda gli avvocati.

In primo luogo, le Sezioni Unite si sono pronunciate su quale sia il rapporto tra la disciplina civilistica e il codice deontologico in relazione al c.d. patto di quota lite.

In secondo luogo, è stato precisato quale sia la conseguenza sulla validità delle decisioni disciplinari della decadenza di alcuni membri del Consiglio Nazionale Forense pronunciata dal Tribunale di Roma per la questione del c.d. divieto di terzo mandato consecutivo dei membri del CNF (e che è ancora sub judice pendendo il relativo giudizio di appello).

Il patto di quota lite - Nel caso di specie tutto ha preso le mosse dalla contestazione disciplinare mossa ad un avvocato che aveva stipulato un patto di quota lite con una cliente (che aveva agito anche nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore senza però coinvolgere il giudice tutelare) relativo ad una causa di risarcimento danni.

Un patto che era stato qualificato in sede di merito come patto di quota lite ad effetti parziali poiché non prevedeva, per l'ipotesi di soccombenza, l'accollo da parte del professionista delle spese legali di controparte bensì soltanto la rinuncia a chiedere il proprio compenso.

Secondo il Consiglio di Disciplina prima e il CNF poi quel patto di quota lite era sproporzionato e, quindi, meritevole della sanzione della censura per violazione dell'art. 29, comma 4, del codice deontologico (in base alla quale «l'avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all'attività svolta o da svolgere») senza che, ai fini di quella valutazione, potesse venire in rilievo la circostanza che l'avvocato era addivenuto ad una transazione con la parte assistita diminuendo l'importo richiesto.

Le stagioni normative del patto di quota lite … - Prima di esaminare la questione la Suprema Corte ricostruisce quelle che possono essere definite le «stagioni» del patto di quota lite.

La prima stagione è quella del divieto assoluto: l'art. 2233, comma 3, c.c. sanciva la nullità dei patti di quota lite tra avvocato e cliente anche per interposta persona.

La seconda stagione è quella che segue al d.l. 223/2006 con la quale il legislatore ha inteso abrogare quelle disposizioni che vietavano di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti: il nuovo comma 3 dell'art. 2233 c.c. prevede che quei patti conclusi tra avvocati e clienti debbano avere forma scritta.

La terza stagione è quella che segue all'entrata in vigore della nuova legge professionale di cui alla l. 247/2012 che, pur nell'ambito della libertà delle parti di pattuire il compenso, ha tuttavia esplicitamente previsto il divieto dei patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa (art. 13 comma 4) in tal modo reintroducendo il divieto del patto di quota lite.

…tra liceità civilistica e rilievo deontologico - Orbene, il patto di quota lite oggetto del procedimento disciplina era un patto di quota lite stipulato durante la seconda stagione, quindi, «in astratto lecito».

La liceità civilistica e l'aleatorietà del patto tuttavia ricorda la Suprema Corte «non esclude la possibilità di valutarne l'equità» in sede disciplinare «allo scopo di verificare se la stima effettuata dalle parti era all'epoca della conclusione dell'accordo che lega compenso e risultato ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio».

Si tratta di una valutazione complessa che non tiene ovviamente conto soltanto del confronto con le somme che avrebbero potuto essere chieste «in base alla tariffa».

Ne deriva che non può trovare accoglimento la tesi (che era stata sostenuta dal ricorrente) «secondo cui la liceità del patto di quota lite da un punto di vista privatistico farebbe venire meno la possibilità stessa di un suo sindacato in sede disciplinare».

Decadenza dei membri del CNF e regolare costituzione del giudice - La seconda questione esaminata dalla Suprema Corte è quella volta a individuare quale sia la conseguenze della intervenuta decadenza di alcuni membri del Consiglio Nazionale Forense a seguito dell'ordinanza del Tribunale di Roma del 28 Settembre 2020 che aveva dichiarato decaduti alcuni membri del CNF per la nota questione del divieto di terzo mandato consecutivo (e della quale avevamo dato notizia nell'Edizione del 28 settembre 2020 con nota di F. Valerini, Confermata l'ineleggibilità dell'ex presidente e di altri consiglieri: nuove elezioni al CNF), questione tutt'ora sub judice pendendo giudizio davanti alla Corte di appello di Roma.

Nel caso di specie, la peculiarità è che quella decadenza è intervenuta dopo l'udienza pubblica all'esito della quale fu assunta la decisione e prima del deposito della motivazione della sentenza.

Secondo il ricorrente, quindi, ci sarebbe un vizio di costituzione del giudice in quanto i membri nel frattempo decaduti non avrebbero potuto sottoscrivere la sentenza.

Senonché, la Suprema Corte occorre dare seguito all'orientamento secondo cui «il momento della pronuncia della sentenza - nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all'ufficio per poter adottare un provvedimento giuridicamente valido - va identificato con quello della deliberazione della decisione collegale, mentre le successive fasi dell'iter formativo dell'atto, e cioè, la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia».

Inoltre, le Sezioni Unite precisano anche che «il provvedimento successivo di ineleggibilità non [ha] fatto venir meno il potere-dovere del collegio giudicante di condurre a termine l'iter decisionale con la sottoscrizione ed il deposito della sentenza».

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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