Il processo previdenziale in materia sanitaria: orientamenti e questioni aperte

Margherita Leone
10 Marzo 2021

Il d.l. 98/2011 (conv. in l. 111/2011), ha introdotto l'art. 445-bis c.p.c. che prevede, quale condizione di procedibilità nelle controversie indicate dalla norma, l'esperimento dell'accertamento tecnico preventivo obbligatorio. Quale valutazione del nuovo istituto può essere fatta a quasi dieci anni dall'entrata in vigore della riforma?
Un primo resoconto

A quasi dieci anni dall'entrata in vigore dell'art. 445-bis c.p.c., e del procedimento per l'accertamento delle condizioni sanitarie utili alle prestazioni previdenziali ed assistenziali, si è in presenza di un percorso giurisprudenziale in gran parte consolidato, anche per effetto delle pronunce dei Giudici di legittimità. Talune questioni restano ancora aperte, intanto per il fisiologico tempo necessario a far emergere le problematiche applicative di una nuova disciplina, ma anche per la ricerca delle soluzioni migliori che l'interprete deve adottare per condurre ad armonia, in un sistema processuale già esistente, una disposizione di nuovo conio che in quello si inserisca.

Linee generali

Il procedimento disegnato dall'art. 445-bis c.p.c. è costituito da due fasi distinte, la prima necessaria ed improntata all'accertamento delle condizioni sanitarie, definibile, in caso di mancata contestazione, attraverso il provvedimento di omologa, e la seconda invece eventuale, azionabile a seguito della contestazione delle parti, destinata ad introdurre un percorso processuale piu' tradizionale che segue al deposito introduttivo del giudizio.

La duplice fase ed il controllo giudiziale in entrambe dà garanzia della piena tutela dei diritti sottesi alle domande azionate e rende equilibrato il nuovo sistema in cui viene meno la appellabilità delle sentenze pronunciate in materia. La scelta legislativa ha infatti escluso un secondo grado di giudizio di merito nell'evidente presupposto che il mancato accordo delle parti sull'esito dell'accertamento obbligatorio fosse assoggettato all'ulteriore controllo e valutazione del giudice nel procedimento a cognizione piena.

Il nuovo istituto ha superato anche il vaglio di costituzionalità (Corte cost., 22 ottobre 2014, n. 243) trattandosi di un procedimento giurisdizionale sommario, modellato su quelli d'istruzione preventiva, a carattere contenzioso, aventi ad oggetto la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa che s'intende far valere cui fa seguito un eventuale giudizio di merito a cognizione piena. Il legislatore ha inteso così perseguire gli interessi generali alla riduzione del contenzioso assistenziale e previdenziale (nelle ipotesi in cui il conseguimento della prestazione è subordinato all'accertamento del requisito sanitario), al contenimento della durata dei processi in materia ed al conseguimento della certezza giuridica in ordine al citato accertamento. Nel ragionevole esercizio della sua discrezionalità in tema di processo, ha quindi congruamente bilanciato tali interessi generali con quello della parte a far valere il suo diritto di assistenza o previdenza, basato sullo stato di invalidità (si rinvia a M.Leone, Codice di Procedura Civile - Vol.II - Del Processo di cognizione – Libro II- Giuffrè Francis Lefebvre 2020). Al giudice, investito dell'istanza di accertamento tecnico preventivo, spettano tutti i poteri procedimentali previsti dal codice di rito civile nonché il governo dei tempi del procedimento; per il difensore della parte ricorrente è prevista la partecipazione attiva a tutto il procedimento.

Questioni: ambito di applicazione

Con riguardo all'ambito di applicazione della nuova disciplina, destinata, per espressa dizione del disposto normativo, alle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla l. 222/1984, si è abbastanza consolidato l'orientamento di merito circa l'estraneità delle controversie relative al riconoscimento del diritto al beneficio di contribuzione figurativa ai fini della maggiorazione di anzianità ex art. 80, comma 3, della l. 388/2000, ovvero la pensione di vecchiaia anticipata in favore degli invalidi in misura non superiore all'80% ex art. 1, comma 8, del d.lgs. 503/1992, ovvero ancora la pensione ai superstiti in favore di soggetti maggiorenni inabili ex art. 13 del r.d.l. 636/1939. Dubbi analoghi sono stati posti con riguardo al riconoscimento dell'invalidità ai fini del conseguimento della esenzione dalle quote di partecipazione alla spesa sanitaria (c.d. ticket) o per l'iscrizione alle liste speciali di collocamento.

A riguardo la Suprema Corte, con sentenza n. 27356/2020 a seguito di ordinanza interlocutoria n. 29935/2019 della Sesta Sezione della Corte di legittimità, ha affermato che il riconoscimento del diritto all'esenzione delle quote di partecipazione alla spesa sanitaria ex art. 10 della l. 638/1983, è materia estranea alla sfera di competenza dell'INPS, lasciando per il resto ancora aperta la questione della possibilità di utilizzo del procedimento in esame per accertamenti sanitari non espressamente previsti dall'art. 445-bis c.p.c.

Obbligatorietà dell'accertamento tecnico preventivo

Ha trovato invece espressa soluzione la questione posta dai giudici di merito, circa l'esito della domanda azionata per ottenere una delle prestazioni indicate dall'art. 445-bis, comma 1, c.p.c., senza che sia stato espletato l'accertamento tecnico preventivo obbligatorio: «In tal caso , il giudice, davanti al quale sia tempestivamente sollevata l'eccezione di improcedibilità, è tenuto ad assegnare alle parti il termine di quindici giorni per la sua presentazione, previsto dal comma 2 dello stesso art. 445-bis; è invece nulla, poiché determina un concreto impedimento all'accesso alla tutela giurisdizionale della parte istante, l'ordinanza con cui il giudice dichiari il ricorso immediatamente improcedibile, ed al giudice d'appello, in ossequio al principio di cui all'art. 162 c.p.c., si impone di rinnovare l'atto procedendo esso stesso all'assegnazione del termine, non potendo né limitarsi a una pronuncia di mero rito dichiarativa della nullità, né rimettere la causa al primo giudice» (Cass. civ., 30 ottobre 2020, n. 24134).

L'accertamento preliminare del giudice

Se pur la prima fase del procedimento disegnato dall'art. 445-bis c.p.c si muove in un quadro non propriamente contenzioso , tuttavia la funzione di controllo e garanzia attribuita al giudice, come già sopra evidenziato, richiede che questi svolga comunque un preliminare accertamento circa i pre-requisiti necessari per ogni domanda in genere azionata. E' stato dunque chiarito che «l'ammissibilità dell'accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c. presuppone, come proiezione dell'interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 c.p.c., che l'accertamento medico-legale, richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, risponda ad una concreta utilità per il ricorrente - la quale potrebbe difettare ove siano manifestamente carenti, con valutazione prima facie, altri presupposti della predetta prestazione -, al fine di evitare il rischio della proliferazione smodata del contenzioso sull'accertamento del requisito sanitario (Cass. civ., 5 febbraio 2020, n. 2587)».

L'accertamento di tali preliminari requisiti può formare oggetto di contestazione poiché il Supremo Collegio ha statuito che «la dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare al fine di evitare l'emissione del decreto di omologa - ai sensi dei commi 4 e 5 del citato art. 445-bis - può avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U., sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell'ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell'azione, sicché, in mancanza di contestazioni anche per profili diversi da quelli attinenti l'accertamento sanitario, il decreto di omologa diviene definitivo e non è successivamente contestabile, né ricorribile ai sensi dell'art. 111 Cost (Cass. civ., 2 agosto 2019, n. 20847; Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22721). Il principio assume particolare valore poiché individua un punto di «non ritorno» nel procedimento in questione, rappresentato dal decreto di omologa; la sua emissione, infatti, non soltanto preclude ogni possibilità di ridiscutere il requisito sanitario, ma anche le preliminari questioni circa l'interesse ad agire o la domanda amministrativa».

Omologa parziale

Lunghe discussioni hanno impegnato i Giudici di merito sulla possibilità di emettere una omologa «parziale» possibile sia in ipotesi di domanda azionata con la richiesta di più prestazioni (e il riconoscimento del requisito sanitario solo per talune), che con riferimento alla decorrenza del requisito sanitario (posticipato rispetto alla originaria richiesta).

Il tema posto ha avuto risposta nel principio secondo cui «le contestazioni anche parziali alla CTU precludono l'emissione del decreto di omologa, con la conseguenza che al giudice adito a seguito di ricorso proposto ai sensi del comma 6 della citata disposizione è rimesso l'accertamento su tutte le condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere e non solo sui motivi di opposizione» (Cass. civ., 5 febbraio 2019, n. 3577).

Peraltro la decisione assunta dai Giudici di legittimità ha anche chiarito che il giudice dell'opposizione ex art. 445 bis, comma 6, c.p.c. sebbene investito solo di una contestazione parziale «non può limitare la sua pronunzia al rigetto dei motivi di opposizione ma è tenuto ad accertare nella sentenza definitiva del giudizio anche i fatti non contestati dalle parti».

L'importante specificazione consente al giudice di «recuperare» quanto accertato nella prima fase e non contestato dalle parti , in una logica di economicità ed efficacia del giudizio, complessivamente inteso.

Nell'ipotesi in cui il decreto di omologa che, in assenza di contestazione delle parti, si discosti dalle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, risulti viziato da una difformità, può procedersi con la correzione dell'errore materiale, a condizione, però, che la predetta difformità non sia frutto di consapevole attività valutativa del giudice, nel qual caso - assumendo il provvedimento giudiziale, esorbitante dallo schema delineato per il procedimento a cognizione sommaria, natura decisoria e, quindi, di sentenza - è ammissibile il rimedio generale del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., a garanzia dell'esercizio del diritto di difesa - altrimenti precluso per mancanza di rimedi endoprocedimentali - della parte pregiudicata dalle conclusioni imprevedibilmente adottate dal giudice all'atto dell'emissione del decreto (Cass. civ., 11 novembre 2019, n.29096; Cass. civ., 7 febbraio 2019, n. 3668).

La pronuncia

Un tema a lungo incerto è stato quello della natura della pronuncia in esito all'accertamento svolto nel procedimento in esame.

La iniziale idea, che ha accompagnato le prime decisioni di merito, di rendere utile la pronuncia, - (ove possibile e in presenza di tutti i requisiti)- anche con il riconoscimento del diritto alla prestazione e la conseguente condanna dell'Istituto previdenziale al pagamento della prestazione ( idea anche derivante dalla pregressa disciplina processuale in materia di previdenza ed assistenza), ha dovuto cedere a definitiva risposta in senso negativo contenuta in importanti e molteplici pronunce del Giudice di legittimità. A riguardo ha statuito che «la pronuncia emessa in esito al giudizio di cui all'art. 445-bis, ultimo comma, c.p.c., ha ad oggetto l'accertamento del requisito sanitario e, dunque, solo un elemento della fattispecie costitutiva, di talché quanto in essa deciso non può contenere un'efficace declaratoria sul diritto alla prestazione, essendo essa destinata a sopravvenire solo in esito ad accertamenti relativi agli ulteriori requisiti socio-economici» (Cass. civ., sez. lav., 26 agosto 2020, n.17787; Cass. civ., sez. lav., 24 ottobre 2018, n. 27010).

Con la finalità di evitare inutili rinvii al giudice del merito, per quei procedimenti impugnati in sede di legittimità dall'Istituto di previdenza proprio con riguardo alla declaratoria del diritto alla prestazione o alla condanna al pagamento della prestazione, pronunce, come visto, estranee al procedimento di cui all'art. 445-bis c.p.c., si è scelto di cassare le decisioni con riguardo solo alle siffatte pronunce, lasciando peraltro fermo l'accertamento delle condizioni sanitarie, pienamente utilizzabile dalla parte interessata per richiedere agli enti competenti il pagamento delle provvidenze, previa valutazione da parte di questi ultimi degli ulteriori requisiti di loro competenza (Cass. civ., 7 maggio 2019, n. 30596 ha rilevato che la finalità del procedimento di cui all'art. 445-bis c.p.c. era stata realizzata e conseguito positivamente l'oggetto della domanda originaria allorche' l'indagine peritale aveva accertato la sussistenza del requisito sanitario utile alla prestazione indicata dalla parte ricorrente).

Conclusioni

L'insieme delle questioni affrontate, sebbene non esaustivo dell'attuale contenzioso in materia, evidenzia certamente la parzialità del percorso di assestamento del recente istituto, ma anche autorizza un giudizio positivo sui tempi di risposta e trattazione delle controversie nelle fasi di merito, anche favorito dagli orientamenti di legittimità che, compatibilmente con la crescita del contenzioso della stessa tipologia, cercano di intervenire prontamente sulle questioni poste.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario