Gli strumenti di finanziamento ibrido nel fallimento della s.p.a. emittente

Giovanni Gerbini
10 Marzo 2021

Con decreto del 1° ottobre 2020 il Tribunale di Bologna si è pronunciato sul tema del trattamento dei sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c., nell'ambito della procedura fallimentare della società che li ha emessi.
Massima

Gli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c. hanno natura ibrida e la loro disciplina dev'essere desunta dallo statuto sociale o dall'eventuale regolamento. In caso di fallimento della società emittente, i sottoscrittori hanno un diritto di rimborso dell'apporto eseguito in favore della prima solo se espressamente previsto, mentre devono essere esclusi dal passivo della procedura qualora dal regolamento dello strumento si deduca la loro partecipazione al rischio d'impresa.

Il caso

Con decreto del 1° ottobre 2020 il Tribunale di Bologna si è pronunciato sul tema del trattamento dei sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346, comma 6, c.c. nell'ambito della procedura fallimentare della società che li ha emessi.

La decisione origina dal ricorso in opposizione allo stato passivo proposto dal titolare di alcuni strumenti finanziari emessi dalla fallita, che aveva visto escluso il credito insinuato avente ad oggetto (tra gli altri) il rimborso di quanto apportato in sede di sottoscrizione degli stessi. Il giudice delegato aveva infatti ritenuto che non vi fosse alcun diritto di restituzione, trattandosi di titoli irredimibili emessi a fronte di un apporto non iscritto a bilancio tra i debiti, ma imputato a capitale di rischio.

Per quanto qui interessa, il Collegio, chiamato a decidere sull'opposizione, osservava preliminarmente che questi strumenti hanno natura ibrida e la loro disciplina dev'essere desunta dallo statuto sociale o da un eventuale regolamento, non valendo per essi le normali regole contrattuali. Considerata la rimessione integrale all'autonomia negoziale, un diritto alla restituzione si potrebbe dunque ritenere sussistente nella sola misura in cui sia espressamente pattuito tra le parti, vale a dire: tra la società emittente ed il sottoscrittore. Tutto ciò implicherebbe, di conseguenza, una differente contabilizzazione a bilancio dell'apporto effettuato da quest'ultimo: “se lo stesso si configura come un finanziamento, dovrà essere contabilizzato nel passivo; se invece partecipa al rischio d'impresa, con conseguente mancanza di un obbligo di restituzione, verrà contabilizzato nel patrimonio netto”.

Nel caso di specie, il regolamento dello strumento sottoscritto dal ricorrente prevedeva che la restituzione potesse avvenire solamente a seguito di rimborso anticipato da parte della emittente, ovvero di recesso da parte del sottoscrittore, facoltà tuttavia esercitabile solamente decorsi cinque anni dalla data di sottoscrizione. Ad avviso del Collegio, da tale previsione si desumeva evidentemente la “volontà dell'emittente di rendere partecipi i sottoscrittori del rischio d'impresa”, come del resto confermato anche dall'ulteriore statuizione del regolamento secondo cui “gli apporti saranno integralmente imputati a una riserva denominata “riserva da strumenti finanziari partecipativi […]” la quale costituisce una voce del patrimonio netto dell'Emittente, non distribuibile tra gli azionisti”, e quindi non rappresenta[no] un debito della società.

Considerato che nel caso in esame il ricorrente non aveva esercitato il proprio diritto di recesso (né d'altra parte avrebbe potuto farlo, per essere il fallimento intervenuto prima della scadenza del quinquennio), il Collegio concludeva per l'esclusione del credito al rimborso dell'apporto, confermando la decisione del giudice delegato con riguardo alla natura degli strumenti finanziari partecipativi emessi dalla fallita, ritenuti «non estranei al rischio di impresa» e dunque non assimilabili alle obbligazioni.

La questione

A quanto risulta, il decreto del Tribunale di Bologna rappresenta il primo caso in cui la giurisprudenza si sia pronunciata sulla sorte degli strumenti finanziari partecipativi a seguito del fallimento della società emittente. Prima d'ora, un'altra decisione del Tribunale di Napoli (25 febbraio 2016) aveva affrontato questo stesso istituto, ma la vicenda riguardava profili differenti, seppure in parte collegati, inerenti all'incidenza delle perdite di una società in bonis sulle riserve di bilancio create con gli apporti eseguiti da parte dei sottoscrittori dei titoli.

La «nuova» categoria degli strumenti finanziari partecipativi è stata introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003 al fine di ampliare i canali di finanziamento in favore delle società per azioni. L'art. 2346, comma 6, c.c. permette infatti che «la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione».

Complice la formulazione non esattamente perspicua delle disposizioni introdotte dal legislatore della riforma, a tutt'oggi la dottrina fatica a raggiungere un'unità di vedute in merito all'istituto degli strumenti finanziari partecipativi (e non partecipativi), trovando una particolare difficoltà nel fornire un inquadramento sistematico ed omogeneo della relativa disciplina.

Come visto, tale categoria di titoli rimane inoltre ancora poco nota al contenzioso giurisprudenziale, probabilmente per l'utilizzo relativo che se n'è fatto nel panorama nazionale. Gli strumenti finanziari partecipativi hanno invece conosciuto un largo impiego tra gli operatori professionali, in particolar modo nell'ambito delle operazioni di ristrutturazione del debito di società per azioni insolventi; in questo senso, è curioso notare come uno strumento, che è stato introdotto per favorire una fisiologica e virtuosa crescita patrimoniale delle realtà imprenditoriali, sia stato sostanzialmente ignorato a tali fini per esser viceversa utilizzato (quasi) solamente nella fase patologica della crisi d'impresa (cfr. D'Attorre, Gli strumenti finanziari partecipativi nella crisi d'impresa, in Dir. fall., 2017, 330).

Tra i vari (molti) profili della materia in esame di cui si è ampiamente dibattuto in dottrina, vi è quello attinente alla natura degli strumenti finanziari partecipativi e, dunque, della causa sottesa alla loro sottoscrizione. Secondo alcuni, si tratterebbe in ogni caso di operazioni di finanziamento che, dunque, darebbero vita ad un rapporto di puro debito alla stregua dei titoli obbligazionari; altri, all'opposto, hanno ritenuto di ricondurre l'apporto effettuato dal sottoscrittore alla figura del contratto di società, con l'effetto di imputarlo senz'altro al capitale di rischio; con risultati sostanzialmente non differenti da quest'ultimo orientamento, la disciplina degli strumenti finanziari ibridi è stata inoltre assimilata ad una specifica trasposizione, nell'ambito della s.p.a., del contratto di associazione in partecipazione; un quarto orientamento, infine, ha considerato tali rapporti di per sé causalmente neutri, con la conseguenza di doverne individuare la causa concreta sulla base della disciplina dello strumento finanziario di volta in volta sottoscritto.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso in esame, il Tribunale di Bologna ha (correttamente, ad avviso di chi scrive) aderito a quest'ultima tesi dottrinale, muovendo la propria indagine dalla premessa secondo cui gli strumenti finanziari di cui all'art. 2346, c. 6 c.c. hanno natura ibrida e la loro causa concreta dev'essere ricercata nello statuto o nel loro regolamento.

Ha così implicitamente dimostrato di condividere l'impostazione (anch'essa qui ritenuta corretta, ma comunque dibattuta in dottrina) secondo cui tali strumenti possono rappresentare veicoli sia di credito sia di capitale di rischio, con la conseguenza che l'apporto effettuato dal terzo o dal socio in sede di sottoscrizione deve, a seconda della destinazione impressa nello specifico caso, imputarsi a debito oppure a patrimonio netto.

In generale, la distinzione tra capitale di rischio e di debito risulta fortemente attenuata dalla riforma del 2003, al punto da renderla «il più delle volte superata o irrilevante» (Miola, Gli strumenti finanziari nella società per azioni e la raccolta del risparmio tra il pubblico, in Riv. Dir. comm., 2005, 438). Così non è, tuttavia, nel caso di fallimento della società, laddove per definizione si impone la necessità di operare la suddetta distinzione (debito/rischio), al fine di individuare chi abbia erogato un mero finanziamento, e sia pertanto legittimato ad insinuare al passivo un diritto di rimborso del proprio capitale, e chi invece, avendo assunto il rischio della perdita del proprio investimento, non abbia alcun credito nei confronti della procedura.

A differenza della fase «attiva» della società, durante la quale la causa concreta delle varie forme di «finanziamento» – inteso in senso lato – assume per l'appunto una certa irrilevanza, il fallimento (ma, in generale, la fase della liquidazione della società, di cui la procedura fallimentare costituisce una forma peculiare) rappresenta la sede in cui la dicotomia «rischio-credito» riacquista la sua piena espansione ed importanza: la sede in cui, potremmo dire, si «attua» il rischio di impresa; salvo peraltro il ritorno in bonis della società se la procedura non ne determina l'estinzione.

Il tema degli apporti eseguiti da parte (oltre che dei terzi, anche) dei soci, e della loro sorte in caso di insolvenza della società, permette inoltre un'ulteriore riflessione in merito al rilievo che in questa ipotesi può assumere l'art. 2467 c.c.. Come noto, la norma, dettata per le s.r.l., stabilisce che «Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito»; specificando, al secondo comma, che tali devono considerarsi quei finanziamenti «in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui [...] risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento».

Com'è altrettanto risaputo, la recente giurisprudenza di legittimità ammette la possibilità di applicare per analogia l'art. 2467 c.c. anche alle società per azioni c.d. chiuse, ritenendo comune ad esse la ratio della norma, individuata nell'impedire che in virtù della propria conoscenza della situazione economica e patrimoniale dell'impresa, i soci eludano il rischio di impresa in danno alla massa dei creditori finanziando la società non con i dovuti conferimenti di capitale, bensì con apporti di mero credito. In ragione di tale orientamento, si può quindi ritenere che l'apporto eseguito da parte di un socio a fronte della sottoscrizione di uno strumento finanziario di debito emesso da una s.p.a. chiusa, in caso di sottocapitalizzazione o di squilibrio finanziario, possa (al ricorrere di circostanze da cui desumere l'elusione del rischio di impresa per mezzo di un comportamento «opportunistico» del socio) esser soggetto al regime speciale della postergazione nel rimborso e dell'eventuale restituzione ai sensi dell'art. 2467 c.c..

Tale soluzione rimane tuttavia fortemente condizionata dall'interpretazione della categoria degli strumenti finanziari ibridi e, soprattutto, dalla linea di demarcazione che si intenda tracciare rispetto all'alveo delle obbligazioni. Senza voler qui addentrarsi nella questione, ci limitiamo ad osservare in termini generali che, qualora il titolo di debito assuma le vesti di un'obbligazione «ordinaria», l'art. 2467 c.c. cederebbe il passo alla disciplina tipica prevista per queste ultime all'art. 2411, comma 1, c.c., a norma del quale la postergazione del capitale versato dall'obbligazionista viene configurata come una facoltà rimessa alla società (e più in particolare agli amministratori), e non come una regola imperativa. In giurisprudenza si è osservato che, del resto, in presenza di un'emissione obbligazionaria il limite quantitativo di cui all'art. 2412 c.c. vale proprio a scongiurare ex ante il prodursi di quella situazione di squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto che è la condizione necessaria affinché operi la postergazione ex art. 2467 c.c. (Trib. Modena 22 febbraio 2018).

Si può infine osservare che il d.lgs. n. 14/2019, recante il nuovo codice della crisi, ha modificato l'art. 2467 c.c., eliminando al primo comma l'obbligo della restituzione del finanziamento, se nell'anno successivo si apre il fallimento, e replicandolo in via generale nel «nuovo» art. 164, comma 2, CCI, che recita: «Sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l'apertura della procedura concorsuale o nell'anno anteriore. Si applica l'art. 2467, comma 2, codice civile» (aggiungendo il comma successivo che tale norma «si applica anche al rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti»).

Osservazioni

La decisione del Tribunale di Bologna appare senz'altro condivisibile in quanto prende le mosse dal corretto inquadramento degli strumenti finanziari di cui all'art. 2346, comma 6 c.c., da intendersi quali titoli che possono in astratto rappresentare sia una partecipazione al rischio d'impresa, in tal caso distinguendosi dalle azioni per esser soltanto quest'ultime imputate al capitale sociale, sia un semplice apporto di credito nei confronti della società, nel qual caso devono recare un quid pluris, consistente nella previsione di diritti amministrativi (escluso il voto nell'assemblea generale), che valga a differenziarli rispetto alle obbligazioni «ordinarie».

Vista la complessità della materia e la diversità di interpretazioni prospettate in dottrina, non è tuttavia da escludere che altri provvedimenti giurisprudenziali forniscano soluzioni divergenti sulla scorta di una differente ricostruzione dei rapporti tra le varie categorie di strumenti finanziari nella disciplina della s.p.a.

Guida all'approfondimento

Sull'art. 2346, c. 6 c.c., ex multis: M. Notari, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società, in Aa.Vv., Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Milano, 2003, 46;

M. Cian, Investitori non azionisti e diritti amministrativi nella «nuova» s.p.a., 735, in P. Abbadessa-G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Torino, 2006;

M. Lamandini, Autonomia negoziale e vincoli di sistema nella emissione di strumenti finanziari da parte della società per azioni e delle cooperative per azioni, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, 519;

Id., Nuovi orientamenti su strumenti finanziari partecipativi irredimibili e incidenza delle perdite, in Società, 2018, 469;

M. Manuli, Gli strumenti finanziari partecipativi nelle s.p.a.: riflessioni critiche, in Società, 2013, 1191; N. Salanitro, Strumenti di investimento finanziario e sistemi di tutela dei risparmiatori, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, 283.

Sul rapporto tra finanziamenti ed obbligazioni alla luce delle norme sulla postergazione: F. Parmeggiani, Postergazione dei finanziamenti dei soci nelle s.p.a. e disciplina delle obbligazioni, G.S. Balp, Prestiti obbligazionari e finanziamenti dei soci «in qualsiasi forma effettuati»: sulle ragioni della difficoltosa convivenza delle rispettive discipline, entrambi in Banca, borsa, tit. cred., risp. 2020, 791 e 2015, 164;

V. Salafia, Finanziamenti dei soci alle società di capitali, in Società, 2020, 1317.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario