Travisamento della prova e ricorso per Cassazione: quali effetti sulla c.d. «doppia conforme»?

12 Marzo 2021

Se è chiara l'inammissibilità del ricorso proposto avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado, ex art. 348-ter, u.c., c.p.c., un problema sorge quando il ricorrente deduce che quella conformità è soltanto apparente perché l'una decisione è fondata su un presupposto erroneo in fatto e che manca, dunque, la vera e propria situazione che costituisce la ragione di divieto dell'ulteriore ritorno sul decisum.
Massima

L'errata valutazione della prova, in quanto errore di percezione, è deducibile solo quale motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre l'errato apprezzamento delle prove costituisce errore di giudizio suscettibile di denuncia con ricorso per Cassazione nei limiti di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c.

L'errore di percezione del quale si assuma viziata una delle conformi decisioni di primo e di secondo grado, se dedotto con il ricorso per Cassazione, non vale ad escludere la loro conformità come causa di inammissibilità dell'impugnazione ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c.

Il caso

Nei gradi di merito il ricorrente aveva chiesto di condannare un ente previdenziale a rivalutargli le contribuzioni versate, ai sensi dell'art. 13 della l. 257/1992. In primo e in secondo grado la domanda fu disattesa con dichiarazione di intervenuta decadenza dal termine di sua proposizione. Le pronunce in tal senso si fondavano sull'interpretazione attribuita ad una precedente istanza rivolta all'ente per ottenere l'estratto conto certificativo dei contributi come consentito dall'art. 54 della l. 88/1998. Questa istanza era stata respinta in sede amministrativa e non era stata tempestivamente ripresentata come domanda giudiziale. Nel successivo processo si è affermato che l'istanza proposta all'ente aveva un contenuto duplice: non solo riferito all'estratto conto ma altresì comprendente la richiesta di rivalutazione contributiva, quella stessa richiesta, cioè, sulla quale si chiedeva la decisione giudiziaria. In tal senso induceva a ritenere una precisa risultanza in fatto. La risoluzione dell'ente che aveva rigettato la richiesta dell'assicurato era espressamente riferita alla rivalutazione contributiva: e questa circostanza imponeva di concludere che una richiesta in tal senso fosse già contenuta, in allora, nell'istanza rivolta ad ottenere l'estratto conto. Ne conseguiva la dichiarazione di improponibilità della domanda giudiziale volta a percepire un beneficio ormai definitivamente negato nella sede competente.

La questione

Il ricorso demanda alla Suprema Corte il sindacato sull'interpretazione della risalente richiesta all'ente previdenziale di ottenere una certificazione, nella quale i giudici di merito avevano, si assume erroneamente, ravvisato l'ulteriore contenuto rivolto a conseguire la rivalutazione dei contributi versati. Un apprezzamento in tal senso, si sostiene, aveva indotto a ritenere già presentata, e definitivamente respinta, la domanda proposta nel giudizio, con violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

In via strettamente processuale si è posto il quesito concernente l'ammissibilità del ricorso, che l'art. 348-ter c.p.c. nega nella fattispecie di c.d. «doppia conforme». Al riguardo il ricorrente si era difeso assumendo che siffatta situazione ostativa non poteva sussistere nella specie in quanto la conformità della sentenza d'appello a quella precedente era il risultato del travisamento del contenuto della richiesta presentata a suo tempo all'INPS. Il rilievo di un travisamento della prova quale circostanza impeditiva a ravvisare la «doppia conforme» era stato già affermato da Cass. civ., n. 28174/2018, per la quale il vizio di motivazione fondato sul travisamento della prova esclude che si verta nell'ipotesi di inammissibilità del gravame di cui alla norma citata.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha ricordato che l'interpretazione degli atti di autonomia privata è demandata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale oppure per omesso esame di un fatto decisivo. Nessuna di queste situazioni ricorreva nella pronuncia impugnata e tanto risolveva le questioni poste in relazione ai presunti vizi di interpretazione del ricorso all'ente previdenziale. Si afferma inoltre nella motivazione che non può ritenersi sussistente il denunciato vizio di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., come asserito in ricorso, posto che una tale censura non può avere ad oggetto l'erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dai giudici di merito, ma solo l'assunto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso prove legali o abbia, ancora, considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione. Neppure considerandosi le diverse nozioni di errore di percezione, da un lato, e di errato apprezzamento della prova, dall'altro, poteva attribuirsi fondamento al gravame. L'errore di percezione, costituito da una falsa conoscenza della realtà o da una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l'esistenza di un fatto positivamente accertato, si risolve in un difetto di pronuncia in ordine alla realtà di fatti non controversi tra le parti ed è soltanto motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. L'errato apprezzamento sulla sussistenza o insussistenza di un fatto, per contro, ha per presupposto un controversia sulla prova, sì che su quel fatto c'è sempre un giudizio, errato o meno, che è censurabile secondo la legge propria dei mezzi di impugnazione predisposti per gli errori di giudizio. Mentre, dunque, l'errore di percezione esclude in radice il giudizio (al punto che può essere lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza a rilevarlo: art. 398 c.p.c.); l'errore di apprezzamento dà luogo ad un giudizio errato che deve necessariamente essere denunciato al giudice dell'impugnazione. Questa denuncia, però, soffre dei limiti entro i quali la legge dell'impugnazione lo consente. L'unico vizio del giudizio di fatto - conclude la Corte - deducibile per Cassazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., consiste nell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, salva, comunque, la preclusione della doppia conforme di cui all'art. 348-ter c.p.c. La nozione di travisamento della prova, come elaborata anteriormente alla modifica dell'art. 360, n. 5, c.p.c., non è più compatibile con l'attuale disposto di questa norma, che riserva l'impugnazione al solo caso di omessa pronuncia in ordine a un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Per quanto specificamente concerne la questione di ammissibilità del ricorso in riferimento ad una situazione di «doppia conforme», la Corte è andata in contrario avviso rispetto alla pronuncia n. 28174/2018 richiamata dal ricorrente. Poiché, ha osservato, il travisamento può essere dedotto esclusivamente come motivo di revocazione, a fortiori deve escludersi che la denuncia della sua ricorrenza possa impedire il verificarsi della preclusione della «doppia conforme» che rileva ai diversi fini del ricorso di legittimità. D'altro lato, l'asserito errato apprezzamento delle prove non può essere conosciuto in sede di legittimità se non proposto come vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.

Osservazioni

La modifica apportata all'art. 360, n. 5, c.p.c. dal d.l. 83/2012 non cessa di rivelare, nella sua applicazione pratica, effetti provocati sul sistema normativo che disciplina il ricorso per Cassazione. Se è ben chiara l'inammissibilità del ricorso proposto avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado, come si legge nel testo dell'art. 348-ter, u.c., c.p.c., un problema sorge allorquando il ricorrente deduca che quella conformità è soltanto apparente perché l'una decisione è fondata su un presupposto erroneo in fatto e che dunque manca la vera e propria situazione che costituisce la ragione di divieto dell'ulteriore ritorno sul decisum. Logica vorrebbe si affermasse che, se una pronuncia ha deciso in senso conforme ad un'altra, sol perché ha travisato prove, ha omesso di considerarne alcune o ha erroneamente e palesemente interpretato i fatti, la sua conformità è meramente formale. In tal senso si è espressa Cass. civ., n. 28174/2018, invocata dal ricorrente, che aveva considerato il travisamento della prova quale difetto impeditivo della conformità con altra pronuncia e lo aveva riferito alla specifica situazione in cui il contenuto di una prova apprezzata dal giudice risultava smentito dalla contraria risultanza documentale in atti. Si trattava evidentemente di un tipico errore revocatorio, posto che il fatto oggetto della prova non poteva che risultare incontrastabilmente escluso o, al contrario, positivamente accertato, dal documento in atti. Ma la Corte esaminava la questione sottopostale sotto un profilo diverso e si chiedeva: quel travisamento di prova poteva essere fatto valere nel contesto di un ricorso per Cassazione al fine di superare la causa di inammissibilità costituita dalla «doppia conforme»?. Al quesito il Collegio aveva risposto in senso affermativo, attribuendo alla denuncia di travisamento della prova un valore dirimente, di circostanza di per sé sufficiente e idonea, in quanto palese, ad escludere l'ostativa duplicità conforme delle decisioni di merito. Nell'occasione aveva affermato: «Il vizio di motivazione fondato sul travisamento della prova - implicando non una valutazione dei fatti ma una constatazione che l'informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale - esclude che si verta in ipotesi di c.d. doppia conforme quanto all'accertamento dei fatti preclusivo del ricorso per Cassazione ai sensi del novellato art. 360, comma 1, c.p.c., giusta l'art. 348-ter c.p.c.».

La successiva sentenza in esame, affermando una soluzione difforme, ha evidenziato la necessità di operare una distinzione. La verifica di un travisamento della prova, ha affermato, comporta un'operazione pressochè meccanica di raffronto e la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice su fatti non controversi. Come tale, esso si risolve nell'assenza di un giudizio e risulta deducibile esclusivamente come errore revocatorio, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (in tal senso «errore revocatorio», «errore di valutazione» e «errore di percezione» sono da considerare sinonimi). Al contrario, l'erronea valutazione delle prove implica un apprezzamento errato su materia controversa e pertanto si risolve in un errore di giudizio. Nel primo caso l'assenza di un giudizio comporta l'incensurabilità con ricorso per Cassazione e impedisce che in sede di legittimità si possa sindacare la sostanziale esattezza della decisione che si pretende viziata rispetto alla realtà di fatto e, in specie, di dare ascolto alla denuncia del ricorrente che, negando quella sostanziale esattezza, deduce la mera apparenza della conformità della decisione impugnata con quella del grado precedente, sì da far riconoscere l'ammissibilità del suo gravame. Nel secondo caso l'errore di giudizio costituisce tipico motivo di impugnazione con ricorso per Cassazione: da farsi valere, attualmente, nei ristretti limiti stabiliti dall'art. 360, n. 5, c.p.c. (non essendo più consentita la doglianza di contraddittoria motivazione).

La pronuncia che si annota afferma un principio divergente da quello enunciato da Cass. civ., n. 28174/2018 ma l'una e l'altra decisione rispondono ad una intima esigenza di coerenza. La più risalente aveva dinnanzi un documento che smentiva con immediatezza l'apprezzamento della prova fattane dal giudice di merito: e di fronte a questa evidenza ha inteso conferire rilievo a siffatta risultanza onde salvare la sostanza del processo rispetto alla mera forma. Ha tuttavia salvato il principio in quanto è stata attenta a precisare che nel caso esaminato il «travisamento della prova» emergeva dalla mera constatazione di un contrasto di risultanze in forza del quale un documento smentiva la ricostruzione del giudice di merito; e in quanto precisava, inoltre, che la constatazione di quel travisamento non implicava «una valutazione di fatti». La successiva pronuncia esaminava una situazione diversa ma, in definitiva, non in conflitto. Il vizio di valutazione della prova denunciato dal ricorrente in quel caso poteva emergere unicamente in esito al controllo dell'operazione interpretativa compiuta dal giudice di merito sul contenuto di un atto di autonomia privata. Questo controllo non era consentito in sede di legittimità, in assenza di vizi in diritto o di giudizio. Non restava quindi che ricordare al ricorrente i rimedi con i quali avrebbe potuto tutelarsi: la revocazione e il ricorso per Cassazione così come attualmente permesso dall'art. 360, n. 5, c.p.c. Una decisione ineccepibile sotto il profilo formale, soltanto in apparenza divergente da quella del 2018.