Il potere del giudice di merito di rilievo dei vizi processuali

Redazione scientifica
15 Marzo 2021

Il potere di rilievo «anche ex officio», attribuito dalla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, deve essere esercitato dal giudice di merito, in difetto di espressa autorizzazione normativa alla rilevazione «in ogni stato e grado» ed escluse le ipotesi di «vizi relativi a questioni fondanti», al più tardi entro il grado di giudizio nel quale il vizio si è manifestato.

È questo il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 6762/21, depositata il 10 marzo.

La Corte d'appello di Lecce rigettava l'impugnazione di una società, confermando la decisione di prime cure che aveva dichiarato infondate le domande proposte da quest'ultima nei confronti dell'Università degli Studi del Salento, aventi ad oggetto la risoluzione per inadempimento della convenzione.

Il Giudice aveva accertato che l'Università aveva adempiuto sia l'obbligo di collaborazione nello svolgimento dell'attività di ricerca sia gli obblighi di risultato.

La società suddetta ricorre in Cassazione lamentando, tra i vari motivi, la decadenza ex art. 167, comma 2, c.p.c. dell'ente pubblico dalla proposizione dell'eccezione di merito di inadempimento contrattuale (art. 1460 c.c.), in conseguenza della tardiva costituzione nel giudizio di primo grado, essendosi formato il giudicato implicito interno sulla relativa questione, non eccepita dalla parte né rilevata d'ufficio dal Giudice di prime cure (né dal Giudice d'appello) e da questi implicitamente disattesa con pronuncia non investita sul punto, ex art. 167, comma 2, c.p.c. con specifico motivo di gravame.

La censura è inammissibile. La Suprema Corte afferma infatti il seguente principio di diritto: «il potere di rilievo «anche ex officio» dei vizi relativi alla attività processuale, attribuito dalla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività, deve essere esercitato dal giudice di merito, in difetto di espressa autorizzazione normativa alla rilevazione «in ogni stato e grado» ed escluse le ipotesi di «vizi relativi a questioni fondanti» (che rendono l'attività svolta del tutto disforme dal modello legale del processo), al più tardi entro il grado di giudizio nel quale il vizio si è manifestato, rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio di ufficio (o su eventuale sollecitazione della parte interessata all'esercizio di tale potere officioso), ove la relativa questione non abbia costituito specifico motivo di impugnazione, ovvero sia stata ritualmente riproposta, atteso che, qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente sul vizio (e nonostante la eventuale eccezione della parte interessata), la relazione di implicazione necessaria tra la soluzione - ancorchè implicita - adottata in ordine alla validità/ammissibilità della domanda/eccezione di merito (questione processuale pregiudiziale) e l'esame e la pronuncia espressa sulla domanda/eccezione (questione di merito dipendente), determina l'intangibilità della decisione implicita sulla questione processuale ove non specificatamente investita con i mezzi impugnatori, in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma 1, c.p.c., non trovando ostacolo nel carattere implicito della decisione la formazione del giudicato processuale interno».
In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

*fonte: www.dirittoegiustizia.it

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