Sul regime della sentenza resa avverso l'ordinanza emessa in sede distributiva
19 Marzo 2021
Massima
Ai sensi dell'art. 512 c.p.c., tutte le controversie distributive vanno introdotte e trattate nelle forme di cui all'art. 617 c.p.c., a prescindere dalla circostanza che la causa petendi sia costituita dalla denuncia di vizi formali del titolo esecutivo di uno dei creditori partecipanti alla distribuzione, ovvero da qualsiasi altra questione - anche relativa ai rapporti sostanziali - che possa dedursi in tale sede. Pertanto, il giudizio introdotto ex art. 512 c.p.c. con l'impugnazione del provvedimento del giudice dell'esecuzione, è destinato a concludersi in ogni caso con sentenza non appellabile. Il caso
Un istituto di credito proponeva opposizione avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione del Tribunale di Latina che disattendeva la contestazione da lui presentata avverso il progetto di distribuzione delle somme ricavate da una procedura esecutiva immobiliare, nella quale deduceva motivi attinenti alla validità e alla titolarità dei crediti azionati. Il Tribunale di Latina rigettava l'opposizione e l'istituto di credito proponeva appello avverso la decisione, ma la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame, ritenendo che la sentenza del Tribunale potesse essere impugnata solamente con ricorso straordinario per Cassazione. Avverso la decisione di secondo grado, l'opponente proponeva ricorso per Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 113, comma 1, 618, ultimo comma, e 329 c.p.c.; in particolare l'istituto di credito sosteneva che il Tribunale di Latina avesse espressamente escluso che l'opposizione riguardasse la regolarità formale del titolo esecutivo del creditore concorrente nella distribuzione delle somme ricavate dall'espropriazione forzata e che, pertanto, la sentenza dovesse essere impugnata con l'appello e non con il ricorso straordinario per Cassazione. La questione
Ci si chiede se il tipo di impugnazione da proporre avverso l'ordinanza che pronuncia sulla controversia distributiva possa dipendere dalla natura delle contestazioni mosse dall'opponente e pertanto, come nel caso di specie, laddove si deducano motivi attinenti alla validità e alla titolarità dei crediti sia appellabile e non ricorribile in Cassazione in via straordinaria. Le soluzioni giuridiche
Per la Cassazione la disposizione di cui all'art. 512 c.p.c., secondo la quale l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione provvede sulle controversie sorte in sede di distribuzione è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c., implica necessariamente l'applicazione anche dell'art. 618, comma 2, c.p.c., a mente del quale le sentenze pronunciate ai sensi dell'art. 617, comma 2, c.p.c. non sono impugnabili, ma per esse residuerebbe solo lo strumento del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., a nulla rilevando le ragioni che sono alla base della contestazione.
Osservazioni
Com'è ben noto, prima delle modifiche conseguenti all'introduzione delle l. 80/2005 e l. 263/2005 le contestazioni che potevano sorgere in fase di riparto circa la sussistenza o l'ammontare dei crediti in concorso o la sussistenza di diritti di prelazione provocavano necessariamente l'introduzione di un incidente cognitivoche imponeva al giudice, competente per ragioni di valore, l'istruzione della causa e la definizione della controversia con sentenza impugnabile con l'appello. La riforma del 2005, nell'ottica di semplificare e velocizzare il procedimento, ha modificato radicalmente la disciplina disponendo che le suddette contestazioni sono risolte direttamente dal giudicedell'esecuzione, previo svolgimento di un'indagine sommaria e compiuti gli accertamenti che si reputano necessari, con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617, comma 2, c.p.c. Pertanto, una volta concluso il procedimento finalizzato alla pronuncia dell'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione risolve le questioni sollevate dalle parti, l'art. 512 c.p.c. riserva a queste ultime la facoltà di scegliere se prestare acquiescenza alla decisione assunta ovvero contestarne la legittimità proponendo opposizione agli atti esecutivi. Tuttavia, la scelta compiuta dal legislatore nel senso di qualificare l'opposizione che introduce la fase cognitiva di tipo eventuale come «opposizione agli atti esecutivi» impone all'interprete di valutare se i caratteri della controversia distributiva siano stati integralmente mutati. Secondo alcuni (Capponi - (Storto), op. cit., p. 175; (Bucci) - Soldi, op. cit., p. 30), tale modifica, riconoscendo al giudice dell'esecuzione il potere di decidere le controversie distributive, non solo sembrava aver superato l'idea secondo la quale quest'ultimo non aveva il potere di decidere situazioni sostanziali nel corso della procedura esecutiva, ma sembrava riconoscere all'opposizione agli atti esecutivi un ambito applicativo più ampio rispetto a quello tradizionale, ovvero idoneo a risolvere non solo questioni formali, ma anche di merito. Al contrario, taluni interpreti ((Balena) – Bove, op. cit., p. 257; Acone, op. cit., p. 81; Merlin, in AA. VV., op. cit., p. 135; Romano, op. cit., p. 52) avevano ritenuto che la nuova formulazione dell'art. 512 c.p.c. mirasse a modificare l'oggetto delle controversie relative alla fase di riparto e, pertanto, la contestazione distributiva non sarebbe stata più idonea a far sorgere una lite sulla sussistenza delle pretese sostanziali, ma avrebbe avuto ad oggetto solo una situazione endo-processuale qualificabile come «diritto al concorso» dei creditori, con la conseguenza che la decisione assunta in merito alla contestazione sollevata ai sensi dell'art. 512 c.p.c. avrebbe potuto incidere sul contenuto del progetto distribuzione ma non sarebbe stata idonea ad acquistare valenza al di fuori di esso ed a fare stato sui diritti con efficacia di giudicato sostanziale. Ora, se prima della riforma del 2009, in ragione anche del fatto che la l.52/2006 aveva uniformato il regime di impugnazione delle sentenze rese sulle opposizioni esecutive qualificandole tutte come inimpugnabili, sembrava prevalere l'orientamento secondo cui la nuova controversia distributiva, nonostante la «sommarizzazione» del rito, potesse dar luogo ad un incidente cognitivo idoneo a fare stato sulla sussistenza dei diritti (Oriani, op. cit., p. 107; Capponi, op. cit., p. 1761; Soldi, op. cit., p. 408), a seguito della l. 69/2009 che ha reintrodotto, per le sentenze rese a definizione dei giudizi di opposizione all'esecuzione e di terzo all'esecuzione, il regime impugnatorio ordinario, è venuta meno l'equiparazione normativa tra la disciplina dell'opposizione all'esecuzione e la disciplina della opposizione agli atti esecutivi e si è ripristinata la distinzione funzionale tra i due rimedi, il primo finalizzato ad un accertamento, con efficacia di giudicato, sull'esistenza o la misura dei crediti, il secondo finalizzato ad un accertamento sulla regolarità degli atti del procedimento esecutivo. Ciò induce senz'altro a preferire l'interpretazione che attribuisce all'opposizione prevista dal combinato disposto degli artt. 512 e 617 c.p.c. una valenza endo-processuale. Pertanto, si è portati a sostenere la tesi secondo cui la controversia distributiva, nel caso in cui l'ordinanza del giudice dell'esecuzione venga impugnata con l'opposizione agli atti, si conclude con una sentenza che produce effetti esclusivamente endo-procedimentali, nel senso che incide sulla distribuzione delle somme così come operata nel singolo procedimento esecutivo, ma non accerta, con efficacia di giudicato, l'esistenza o la misura dei crediti (Perago, op. cit., p. 401; contra Fabiani, op. cit., p. 515 e ss.). Inoltre, va chiarito che l'opposizione agli atti esecutivi prevista dall'art. 512 c.p.c. non ha ad oggetto il progetto di distribuzione, ma l'ordinanza che risolve le controversie tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione, circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, sollevate all'udienza di approvazione del progetto. E, poiché, le riforme del 2005 e del 2006 hanno lasciato invariato l'art. 512 c.p.c. nella parte nella parte in cui stabilisce che le controversie distributive possono concernere «la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione», senza chiarire con esattezza quali siano le questioni prospettabili dal debitore o dai creditori concorrenti nella fase del riparto, non vi sono ragioni per escludere che le contestazioni introdotte ai sensi dell'art. 512 c.p.c. possano avere contenuto sia formale che sostanziale e per ritenere, come fa la Suprema Corte, che, a prescindere dal loro contenuto, la sentenza con cui viene decisa l'opposizione agli atti esecutivi non sia appellabile, ma ricorribile per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., in virtù di quanto sancito dall'art. 618, comma 2, c.p.c. Tuttavia, come afferma la stessa Corte, nella sentenza annotata, caso diverso sarebbe se a muovere contestazioni circa il diritto di uno o più dei creditori a partecipare alla distribuzione del ricavato dell'esecuzione forzata fosse il debitore esecutato, poiché una tale contestazione integrerebbe gli estremi dell'opposizione all'esecuzionee dovrebbe, pertanto, essere introdotta ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c. e trattata con il relativo rito. In tale ottica, dunque, risulta condivisibile la tesi che sostiene la proponibilità dell'opposizione all'esecuzione anche nella fase distributiva e afferma il possibile concorso con la controversia distributiva (Cass. civ., 9 aprile 2015, n. 7108; Cass. civ., 11 dicembre 2012, n. 22642), sebbene considerando le limitazioni temporali introdotte dal d.l. 59/2016, convertito nella l. 119/2016, secondo le quali l'opposizione all'esecuzione può essere proposta dopo che vengano emanate l'ordinanza di vendita, di delega o di assegnazione, solo in relazione ai fatti sopravvenuti o qualora la parte dimostri di non averla potuta proporre tempestivamente per causa a lei non imputabile. Pertanto, se, come si è detto, la controversia distributiva ha ad oggetto il cosiddetto diritto al concorso e viene definita con sentenza avente efficacia solo endo-procedimentale, appare logico sostenere che l'opposizione all'esecuzione, idonea a far stato sulla sussistenza delle pretese sostanziali dei creditori con efficacia extra-procedimentale, costituisca un rimedio concorrente con quello previsto dall'art. 512 c.p.c. In pratica, colui che subisce l'espropriazione, potrebbe contestare la sussistenza e l'ammontare dei crediti, anche nella fase distributiva, non solo attraverso la proposizione di una controversia ex art. 512 c.p.c., ma anche mediante l'introduzione di un'opposizione ex art. 615 c.p.c., ottenendo, così, una sentenza che sia idonea ad accertare con efficacia di giudicato l'esistenza e la misura dei crediti. Tuttavia, la Suprema Corte, con alcune pronunce di legittimità (Cass. civ., 21 giugno 2013, n. 15654; Cass. civ., 26 ottobre 2011, n. 22310), nel definire i rapporti tra l'art. 615 c.p.c. e l'art. 512 c.p.c., ha, invece, ritenuto che il debitore possa proporre l'opposizione all'esecuzione, al fine di accertare la sussistenza del diritto del creditore procedente ad agire esecutivamente, «fino a quando la fase liquidatoria non sia stata completata» ma «una volta eseguita la vendita ed aperta la successiva fase distributiva ogni contestazione inerente alla sussistenza o l'ammontare dei crediti» dovrebbe essere proposta esclusivamente mediante l'introduzione di una «controversia distributiva» da risolversi con il rimedio previsto dall'art. 512 c.p.c. In pratica, secondo tale orientamento sostenuto anche da una parte della dottrina (Montesano, op. cit., p. 555 ss.; Furno, op. cit., p. 92; Satta, op. cit., p. 212; Lotti, op. cit., p. 331; Verde, op. cit., p. 302) l'opposizione ex art. 512 c.p.c. e quella proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c. si porrebbero in un rapporto di successione cronologica, con conseguente esclusione della loro concorrenza e, soprattutto, della possibile proposizione dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. in fase distributiva. Ciononostante, tale contrasto interpretativo potrebbe essere superato, come propone la stessa sentenza in commento, considerando la specificità dei motivi e purché, a parere di chi scrive, la parte dimostri di non averla potuta proporre tempestivamente per causa a lei non imputabile o si tratti di fatti sopravvenuti, in virtù della disposizione, di recente, introdotta nell'art. 615, comma 2, ultima parte, c.p.c. Riferimenti
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