Il divieto dei licenziamenti economici in pendenza di pandemia si applica (anche) ai dirigenti
19 Marzo 2021
Massima
Il divieto transitorio dei licenziamenti individuali riconducibili ad esigenze economiche e organizzative aziendali introdotto dall' art. 46 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 art. 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604
V. anche, T. Zappia (Quesiti operativi), Divieto licenziamenti e dirigenti: è ragionevole l'esclusione? Il caso
Il dirigente è stato licenziato con lettera datata 23 luglio 2020 per soppressione del ruolo aziendale di Credit Manager, che il datore asseriva di aver adottato nel quadro di una riorganizzazione interna dovuta al calo dell'attività aziendale determinato dalla pandemia.
Il dirigente ha impugnato il licenziamento tramite “rito Fornero” (ovvero il rito speciale di cui all'art. 1, commi 46 segg., della legge n. 92/2012 riservato ai licenziamenti che rientrano nell'ambito delle tutele offerte dall'art. 18 della legge n. 300/1970), asserendo che il recesso datoriale fosse nullo per violazione del divieto dei licenziamenti individuali per motivo oggettivo introdotto dall'art. 46 del Decreto Cura Italia (d.l. n. 18/2020) e prorogato dall'art. 80 del Decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020).
Su tale presupposto, il dirigente ha richiesto l'applicazione delle tutele dell'art. 18, comma 1, della legge n. 300/1970, con reintegrazione sul posto di lavoro, pagamento delle retribuzioni maturate medio tempore e versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Inoltre, il dirigente ha contestato l'insussistenza delle ragioni oggettive addotte per giustificare il licenziamento, sostenendo che il ruolo non era stato cancellato e che le sue funzioni non erano state accentrate in capo ad altro manager in azienda. Su tale presupposto, in caso di mancato accoglimento della domanda principale, il dirigente ha richiesto che venisse dichiarato il diritto all'indennità risarcitoria supplementare di cui al CCNL Dirigenti Terziario.
Il giudice ha ritenuto il licenziamento nullo per contrasto con il divieto dei licenziamenti introdotto dalla decretazione emergenziale di contenimento dell'emergenza sanitaria da Covid-19 e ha, quindi, disposto la reintegrazione del dirigente ex art. 18, comma 1, della legge n. 300/1970 , ritenendo le altre contestazioni assorbite. I presupposti normativi di riferimento
L'emergenza pandemica ha indotto l'allora Governo Conte-bis ad introdurre un temporaneo divieto dei licenziamenti individuali e collettivi per motivo oggettivo, nel tentativo di arginarne i potenziali e dirompenti effetti negativi sull'occupazione e sulla tenuta del contesto sociale del Paese.
Il primo intervento si deve all'art. 46 del Decreto Cura Italia (d.l. 17 marzo 2020, n. 18), il quale ha disposto che per un periodo di 60 giorni (decorrenti dal 17 marzo) fossero preclusi l'avvio di procedure collettive di riduzione del personale ex artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 e, inoltre, il recesso datoriale (a prescindere dalle dimensioni occupazionali) riconducibile ad un “giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
La misura è stata allungata fino a 5 mesi dal Decreto Rilancio (d.l. 19 maggio 2020, n. 34). È stata, quindi, prevista con l'art. 14 del Decreto Agosto (d.l. 14 agosto 2020, n. 104) una ulteriore proroga del divieto di licenziamenti collettivi e individuali attraverso il rinvio ad un termine mobile (ricompreso tra metà novembre e fine dicembre 2020) collegato alla integrale fruizione dei trattamenti di integrazione salariale per emergenza epidemiologica da Covid-19.
Con l'art. 12 del Decreto Ristori (d.l. 28 ottobre 2020 n. 137) il divieto è stato portato al 31 gennaio 2021 e, infine, per effetto dell'art. 1, commi 309-310, della Legge di Bilancio 2021 (l. 30 dicembre 2020, n. 178) la moratoria dei licenziamenti, sia individuali che collettivi, per motivo oggettivo è stata prorogata al 31 marzo 2021.
Il divieto è, peraltro, suscettibile di essere sottoposto ad ulteriori proroghe, stante il perdurare dell'emergenza pandemica.
In tutti questi passaggi della decretazione d'emergenza è rimasto intatto il dato normativo sul quale è stato chiamato a pronunciarsi il giudice del lavoro di Roma, in quanto la preclusione della facoltà di recesso per i licenziamenti individuali continua a riferirsi al “giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604”, laddove per i licenziamenti collettivi il riferimento è alle “procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223”. Gli approdi della dottrina
Se sull'estensione ai dirigenti della moratoria sui licenziamenti collettivi non ci sono stati dubbi, posto che il riferimento alle disposizioni della legge n. 223/1991 sulla riduzione di personale ricomprendono pacificamente i lavoratori inquadrati nella categoria apicale, maggiori incertezze ha suscitato l'applicazione del divieto con riferimento ai licenziamenti individuali per motivo oggettivo.
Una prima interpretazione, maggioritaria, ha segnalato che il diretto riferimento all'art. 3 della legge n. 604/1966 impedisse di allargare il perimetro del divieto ai dirigenti, in quanto questa categoria è espressamente esclusa dal campo di applicazione delle norme sui licenziamenti individuali di cui alla citata disposizione di legge (Zambelli). Una interpretazione di segno contrario ha, invece, sottolineato come sia irragionevole escludere i dirigenti dalla moratoria sui licenziamenti individuali, laddove quegli stessi dirigenti sono ricompresi nella moratoria sui licenziamenti collettivi (Scarpelli). Le motivazioni alla base della decisione
La decisione del giudice capitolino, di cui non constano precedenti, si inquadra nell'indirizzo che allarga ai dirigenti il divieto dei licenziamenti individuali introdotto dalla decretazione emergenziale e prorogato, quindi, sino al 31 marzo 2021 dalla legge n. 178/2020.
Alla base della decisione si colloca il rilievo per cui la ratio del blocco dei licenziamenti, che risiede nell'esigenza di “non lasciare che il danno pandemico si scarichi sistematicamente ed automaticamente sui lavoratori”, trova la sua espressione anche con riferimento alla categoria dei dirigenti. A tale proposito, rileva l'ordinanza che il grado inferiore delle tutele che assistono il licenziamento dei dirigenti, vieppiù circoscritte ad una dimensione contrattuale collettiva di tipo indennitario, rende questa categoria maggiormente esposta al rischio occupazionale.
Facendo leva su questo concetto, il giudice capitolino conclude che l'esclusione dei dirigenti dal divieto dei licenziamenti individuali "pone in limine un problema di ragionevolezza” con riferimento all'articolo 3 della Costituzione. Ad accentuare il rilievo sulla irragionevolezza dell'esclusione soccorre, quindi, la circostanza per cui i dirigenti sono, invece, ricompresi nel divieto dei licenziamenti collettivi. Si legge, in questo senso, nell'ordinanza che “ancor meno risulta comprensibile perché il divieto dovrebbe operare per costoro in caso di licenziamento collettivo e non in caso di licenziamento individuale, a differenza degli altri lavoratori”.
Una lettura costituzionalmente orientata del primigenio articolo 46 del Decreto Cura Italia porta, quindi, alla conclusione che sia da preferirsi una interpretazione che faccia salva l'estensione ai dirigenti della tutela sul blocco dei licenziamenti individuali.
Né è di ostacolo il riferimento della norma emergenziale all'art. 3 della legge n. 604/1966, in quanto il richiamo normativo non è da mettere in relazione ai soggetti cui tale norma si applica, bensì alla ragione oggettiva alla base del licenziamento (temporaneamente) vietato. Ad avviso del giudice di Roma, va valorizzato il richiamo alle “ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di esso” che promana dalla norma, in quanto il concetto di “giustificatezza oggettiva” applicato al licenziamento economico del dirigente ha la stessa natura sostanziale.
In quest'ottica, appare più coerente con lo spirito dell'intervento emergenziale la tesi per cui “il riferimento della legge all'art. 3 miri ad identificare la natura della ragione impassibile di essere posta a fondamento del recesso, e non a delimitare l'ambito soggettivo di applicazione del divieto”. Conclusioni
L'ordinanza di Roma ha avuto vasta eco sui mezzi di informazione e ha finito per riaccendere il dibattito tra le opposte tesi sull'estensione alla categoria dei dirigenti della moratoria sui licenziamenti individuali per motivo oggettivo.
A chi scrive appare decisivo il rilievo per cui, a differenza delle altre categorie in cui sono inquadrati i lavoratori, i dirigenti sono esclusi dalla c.d. “Cassa Covid”. Se è vero, infatti, che il divieto dei licenziamenti si è accompagnato per tutto il primo anno di emergenza pandemica alla fruizione dell'ammortizzatore sociale (il divieto è stato introdotto il 17 marzo 2020 ed è stato prorogato sino al 31 marzo 2021), è difficile sfuggire alla considerazione che per i dirigenti questo collegamento è mancato.
Seguendo l'impostazione del giudice capitolino, ai datori sarebbe imposto il divieto (anche) per i dirigenti senza una corrispondente tutela assistenziale in caso di sospensione o riduzione dell'attività lavorativa. In altri termini, è il datore a doversi fare carico per intero dei costi collegati alla moratoria dei licenziamenti rispetto ai propri dirigenti, ma anche questo scenario non appare in linea con una interpretazione ragionevole e costituzionalmente orientata dell'art. 46 del Decreto Cura Italia. |