L'atto di divisione ha efficacia retroattiva ai fini fiscali

22 Marzo 2021

È possibile, a fini fiscali, retrodatare gli effetti di una divisione consensuale, redatta per atto pubblico, avente per oggetto cespiti immobiliari? Precisamente, il singolo condividente che consegue, in virtù della predetta divisione, la titolarità esclusiva di alcuni cespiti immobiliari, può essere considerato proprietario esclusivo, fin da una determinata data retroattiva (antecedente alla stipula notarile), di tali cespiti e, quindi, essere l'unico soggetto passivo rispetto all'imposta sui redditi (es. canone locatizio) ed ai fini dell'IMU?

È possibile, a fini fiscali, retrodatare gli effetti di una divisione consensuale, redatta per atto pubblico, avente per oggetto cespiti immobiliari? Precisamente, il singolo condividente che consegue, in virtù della predetta divisione, la titolarità esclusiva di alcuni cespiti immobiliari, può essere considerato proprietario esclusivo, fin da una determinata data retroattiva (antecedente alla stipula notarile), di tali cespiti e, quindi, essere l'unico soggetto passivo rispetto all'imposta sui redditi (es. canone locatizio) ed ai fini dell'IMU?

La divisione - la cui disciplina codicistica, dettata con riferimento alla comunione ereditaria, si applica anche alla comunione ordinaria in quanto compatibile (art. 1116 c.c.) - può essere “contrattuale”, quando è conseguita attraverso l'accordo tra i tutti i partecipanti alla comunione, culminante nella stipulazione di un apposito contratto divisionale (divisio ex contractu); oppure “giudiziale”, quando è disposta con apposita pronuncia del giudice (divisio ope iudicis) a seguito dell'azione di divisione esercitata da uno dei partecipanti alla comunione.

Il negozio divisorio (che, quando concerne beni immobili, è soggetto alla forma scritta ad substantiam: art. 1350 c.c., n. 11) è un contratto plurilaterale, cui devono necessariamente prendere parte tutti i partecipanti alla comunione, con il quale la quota ideale spettante a ciascun condividente viene convertita in una “porzione concreta” dei beni comuni in titolarità esclusiva (c.d. “apporzionamento”).

L'apporzionamento determina l'attribuzione, in titolarità esclusiva, dei diritti in comunione su una porzione di essi, il cui valore, rispetto al valore dei beni divisi, deve corrispondere al valore della quota spettante al condividente sui beni comuni.

In sostanza, la diversa origine della comunione non muta nè la natura nè gli effetti del negozio divisorio, che ha carattere unitario. Di ciò, del resto, si trae conferma dalla previsione dell'art. 1116 c.c., che estende l'applicazione delle norme sulla divisione dell'eredità alla divisione delle cose comuni, in quanto non contrastino con le norme che regolano la comunione.

Ciò posto, occorre porre l'attenzione sull'efficacia (retroattiva o meno) della divisione.

L'efficacia retroattiva della divisione, le cui radici risalgono al diritto intermedio (dove aveva lo scopo di evitare che il tributo feudale dovuto per l'acquisto dell'eredità dovesse essere corrisposto due volte, all'atto della successione ed all'atto della divisione), si traduce nella negazione di una successione fra i compartecipi, nel senso che il condividente viene considerato proprietario esclusivo del bene assegnatogli con effetto ex tunc, fin dal momento dell'apertura della successione, come se su quel bene non vi fosse stato un rapporto di comunione.

La vis retroactiva opera, tuttavia, solo sul piano dell'effetto distributivo proprio della divisione (il c.d. “apporzionamento”), ossia solo per quanto riguarda l'acquisto della titolarità dei beni assegnati; ma essa non cancella gli altri effetti della comunione e le situazioni attive e passive acquisite dal condividente o dai terzi durante lo stato di comunione.

Orbene, la dottrina tradizionale e la giurisprudenza hanno ritenuto che l'efficacia retroattiva della divisione deponesse per la natura meramente dichiarativa dell'atto divisorio, con esclusione di ogni efficacia costitutiva o traslativa. L'efficacia retroattiva della divisione, si assume, escluderebbe che l'atto divisorio possa avere efficacia traslativa, quale atto di alienazione.

L'idea che l'efficacia retroattiva della divisione implichi la necessità di configurare l'atto divisorio come un negozio meramente dichiarativo, costituisce una delle costruzioni dogmatiche più risalenti e resistenti nella dottrina tradizionale; un “dogma” che, tuttavia, ad un attento esame, si rivela privo di solide fondamenta.

Diverse sono le ragioni che non consentono di aderire a tale tesi.

In primo luogo, va osservato, sul piano della teoria generale, che il fenomeno della retroattività di un atto giuridico si accompagna, per sua natura, all'efficacia costitutiva dell'atto stesso ed è incompatibile con l'efficacia meramente dichiarativa del medesimo.

Invero, non possono retroagire gli effetti di un atto che si limita a dichiarare o accertare la situazione giuridica già esistente; possono retroagire, invece, gli effetti dell'atto che immuta la realtà giuridica. È per tale ragione che non hanno effetto retroattivo le sentenze che accertano la nullità di un negozio, mentre hanno effetto retroattivo le sentenze che pronunciano l'annullamento o la risoluzione di un contratto.

In sostanza, l'efficacia retroattiva di un negozio si coniuga, per sua natura, col carattere costitutivo, traslativo, con l'efficacia reale dello stesso; essa, invece, non si attaglia al negozio che abbia carattere meramente dichiarativo.

D'altra parte, l'art. 757 c.c. (il quale, come già detto, seppur disciplinante la divisione ereditaria, trova applicazione anche nel caso di divisione ordinaria), laddove prevede che l'efficacia retroattiva si estende a tutti i beni ereditari pervenuti al coerede “anche per acquisto all'incanto”, attribuisce espressamente l'efficacia retroattiva ad atti con effetti costitutivi-traslativi, come l'acquisto dei beni in comunione che il compartecipe faccia mediante compravendita o all'incanto.

È, dunque, lo stesso art. 757 c.c. che lega l'efficacia retroattiva ad atti tipicamente di natura costitutivo-traslativa.

In secondo luogo, poi, va considerato che lo scioglimento della comunione non accerta o dichiara affatto una situazione giuridica preesistente, ma immuta sostanzialmente la realtà giuridica. Con la divisione, infatti, ogni condividente perde la (com)proprietà di tutti i cespiti costituenti l'asse ereditario e concentra il proprio diritto su uno solo o su alcuni di essi ("aliquid datum, aliquid retentum"); sorgono, dunque, tante proprietà individuali laddove, prima, esisteva una comproprietà.

È chiaro, dunque, che l'idea secondo cui la divisione non costituirebbe titolo di acquisto dei beni assegnati in proprietà esclusiva può essere condivisa solo a patto di restringerne il significato al piano puramente economico, essendo chiaro che il passaggio dalla contitolarità pro quota dei beni comuni alla titolarità esclusiva della porzione non si traduce in un incremento patrimoniale per il condividente.

Tuttavia, sul piano della modificazione della sfera giuridica dei condividenti, è indubbio come nel fenomeno divisorio sia insito un effetto costitutivo, sostanzialmente traslativo, perchè con la divisione ogni condividente perde la (com)proprietà sul tutto (che prima aveva) e - correlativamente - acquista la proprietà individuale ed esclusiva sui beni a lui assegnati (che prima non aveva): le quote ideali spettanti a ciascun condividente su tutti i beni facenti parte della comunione sono convertite in titolarità esclusiva su taluni singoli beni.

Deve, pertanto, riconoscersi che la divisione ha una natura specificativa, attributiva, che impone di collocarla tra gli atti ad efficacia tipicamente costitutiva e traslativa (efficacia, peraltro, della quale non si dubitava nè nel diritto romano nè in quello intermedio).

D'altra parte, l'acquisto che il compartecipe consegue tramite la divisione non è diverso, sul piano effettuale, da quello che il compartecipe potrebbe ottenere ove acquistasse la proprietà esclusiva dello stesso cespite in virtù di un normale negozio traslativo (ad es. compravendita), per volontà unanime dei coeredi.

La divisione, come si è detto, dà luogo ad un mutamento della situazione giuridico-patrimoniale del condividente; e tale mutamento, che vale a determinare la natura costitutivo-traslativa dell'atto divisorio, è logicamente precedente ed indipendente rispetto all'effetto retroattivo.

In conclusione, l'efficacia retroattiva dell'atto divisionale si accompagna la natura attributiva e distributiva dello stesso, in quanto ciascun condividente può divenire l'unico titolare di questo o di quel bene ricadente in comunione solo se vi sia stato un procedimento (contrattuale o giudiziale) che abbia determinato, con effetti costitutivi, lo scioglimento di quella comunione.

Pertanto, alla luce di quanto innanzi, il singolo condividente che consegue, in virtù della predetta divisione, la titolarità esclusiva di alcuni cespiti immobiliari, può essere considerato proprietario esclusivo, fin da una data antecedente alla stipula notarile, di tali cespiti e, quindi, essere l'unico soggetto passivo rispetto all'imposta sui redditi (es. canone locatizio) ed ai fini dell'IMU.

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