Società estera, la sede amministrativa coincide con il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione

Fabio Gallio
24 Marzo 2021

Al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero.
Massima

al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero.

Il caso

Con l'ordinanza in commento la Corte di Cassazione si è occupata di un caso di esterovestizione di una società residente in Lussemburgo.

In particolare, l'Agenzia delle Entrate, attraverso un avviso di accertamento, ha recuperato a tassazione i redditi di una società lussemburghese sul presupposto che, pur essendo formalmente residente in Lussemburgo, operasse soltanto in Italia.

I giudici d'appello hanno respinto l'assunto erariale secondo il quale l'insieme degli elementi di fatto tratti dalle indagini condotte dalla Guardia di finanza dimostrassero che la gestione della società lussemburghese fosse localizzata in Italia, così che, alla stregua dell'art. 73 d.P.R. n. 917 del 1986, non era rilevante “che la società fosse stata costituita all'estero, se la stessa ha nel territorio dello Stato la sede amministrativa o l'oggetto principale, potendosi, dunque, verificare il caso di società formalmente estere, ma fiscalmente residenti in Italia”.

A sostegno di tale statuizione, la sentenza della CTR competente ha assunto che non risultava dimostrato il fatto che la società operasse in Italia, non essendo stata fornita alcuna prova “con riguardo alle specifiche operazioni poste in essere dalla società nel territorio italiano in termini di beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti”.

Contro tale pronuncia l'Agenzia delle Entrate ha ricorso presso la Suprema Corte.

Le questioni giuridiche

Prima di procedere ad esaminare le motivazioni dell'ordinanza, che ha accolto le eccezioni erariali, si ritiene opportuno soffermarsi in merito alla definizione di esterovestizione, così come previsto dall'art. 73 del d.P.R. 917/1986 (di seguito anche TUIR), che, al comma 3, prevede che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti (in Italia) le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato”.

Tuttavia il DL 223/2006 ha introdotto, ai commi 5-bis e 5-ter dell'art. 73 del TUIR una presunzione legale di residenza nel territorio dello Stato in capo alle società estere che detengano direttamente partecipazioni di controllo di diritto e di fatto in società di capitali ed enti commerciali italiani se, alternativamente:

  • sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; o
  • sono amministrate da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Per quanto riguarda le persone giuridiche sono previsti tre criteri per individuare la residenza fiscale:

  1. la sede legale, che si identifica con la sede sociale indicata nell'atto costitutivo o nello statuto;
  2. la sede dell'amministrazione, che coincide con il luogo in cui viene svolta concretamente l'attività di gestione quotidiana dell'impresa;
  3. l'oggetto esclusivo o principale dell'attività, che per le società e gli enti residenti è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, quando esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, o, in mancanza di tali forme, in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.

I criteri sopra individuati operano alternativamente e non è previsto alcun criterio di prevalenza, per cui può esservi la possibilità che un soggetto risulti residente in più Stati, venendosi a creare i c.d. “conflitti di residenza” tra diversi Stati, nel qual caso soccorrono le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, ed in particolare alle cosiddette “tie breaker rule” (art. 4, par. 2 e 3, del Modello OCSE), che per le società prevedono il criterio della sede effettiva.

Al verificarsi di uno solo di questi elementi, il soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia e, quindi, soggetto alla potestà impositiva dello Stato per tutti i redditi ovunque prodotti (Cfr. Cass., sez. III pen., 23 febbraio 2012, n. 7080, dove viene precisato che: “I criteri indicati nell'art. 73 sono collegati da una “o” disgiuntiva, di conseguenza la sussistenza di uno solo di essi può permettere di individuare la residenza fiscale della società in Italia”).

Per quanto riguarda la sede legale, questo è requisito di carattere formale e può essere identificata concretamente con la sede sociale indicata nell'atto costitutivo (Cfr. Guardia di Finanza – circolare n. 1/2018 (paragrafo 4) Come rilevato nella citata circolare, “non è pertanto rilevante che la società sia stata costituita (ed abbia la sede legale) all'estero, se la stessa ha nel territorio dello Stato la sede amministrativa o l'oggetto principale, potendosi, dunque, verificare il caso di società formalmente estere, ma fiscalmente residenti in Italia”.

In merito, invece, all'individuazione dell'oggetto sociale, si deve fare riferimento al comma 4, dell'art. 73 del TUIR, rileva l'attività posta in essere per soddisfare lo scopo sociale. Si noti che tale accezione coincide con quella rinvenibile sul piano civilistico; infatti, nell'art. 2328, comma 2, n. 3, c.c., per le società per azioni, e nell'art. 2463 c.c., per le società a responsabilità limitata, è previsto l'obbligo di indicare nell'atto costitutivo “l'attività che costituisce l'oggetto sociale”. Infatti, sempre in ambito civilistico, l'art. 2380-bis c.c. prevede che “La gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale”.

In detti casi, occorrerà individuare su quale territorio l'impresa ha localizzato il proprio “core business”, ovvero la principale attività commerciale, industriale e amministrativa, tenendo presente che tale luogo non coincide necessariamente con quello in cui si trovano i beni principali posseduti dalla persona giuridica, dovendosi piuttosto fare riferimento “alle caratteristiche dell'attività svolta e alla natura dei beni posseduti, al fine di verificare se il loro utilizzo, ai fini dello svolgimento dell'attività dell'ente, richieda o meno una presenza in loco.” (Cfr. circ. Assonime 31 ottobre 2007, n. 67).

Relativamente alla sede dell'amministrazione, questo risulta essere il criterio fondamentale per determinare la residenza fiscale di una società o ente, anche in considerazione della sua valenza internazionale come criterio convenzionale previsto dal Modello OCSE per risolvere i conflitti di residenza (c.d. tie-break rule).

Con specifico riferimento a soggetti non residenti che operano nel territorio dello Stato, l'Amministrazione finanziaria ha specificato che gli elementi di collegamento al territorio dello Stato italiano della legal entity estera, “devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono - talora - complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell'ente con un determinato territorio.” (Cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 28/E/2006).

Ecco che la sede dell'amministrazione è intesa come sede di direzione effettiva, ossia luogo in cui si svolge concretamente l'attività di amministrazione, gestione e coordinamento dei fattori produttivi aziendali. Infatti, l'Agenzia delle entrate, ribadendo quanto sostenuto in ambito internazionale nelle Osservazioni contenute nel Commentario all'articolo 4 del Modello OCSE, ha precisato che la sede di direzione effettiva di un ente “debba definirsi non soltanto come il luogo di svolgimento della sua prevalente attività direttiva e amministrativa, ma anche come il luogo ove è esercitata l'attività principale” (Cfr. circ. n. 28/E/2006).

La stessa Guardia di Finanza ha precisato che la sede dell'amministrazione, da contrapporsi alla nozione di sede legale della società, coincide con la nozione civilistica di sede effettiva, ossia deve essere intesa come il luogo in cui concretamente vengono svolte le attività di carattere amministrativo e di direzione dell'ente (Cfr. Guardia di Finanza – circolare n. 1/2018). A tal proposito, nel citato documento è stato precisato che “la determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, tra i quali la sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale della società; possono pure essere presi in considerazione altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e lo svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie”.

Quindi la sede legale costituita all'estero non assume rilevanza qualora, da un esame della situazione sostanziale ed effettiva dell'impresa sotto il profilo gestionale della stessa, emerga che gli impulsi decisionali, le strategie aziendali, la direzione e il coordinamento sono esercitati sul territorio italiano (Protocollo del Ministero dell'economia e delle finanze 12 aprile 2010, n. 3-3873).

In giurisprudenza si riscontra un sostanziale allineamento nell'individuare la sede effettiva dell'amministrazione delle persone giuridiche nel “luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'ente.” (Cfr. Cass. 16 giugno 1984, n. 3604).

Ancora, secondo la Corte di Cassazione “la sede di direzione effettiva non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della persona giuridica, ma si identifica con il luogo dove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell'impresa.” (Cfr. Cass. n. 3910/1988).

Conseguentemente, la sede di direzione effettiva non può coincidere semplicemente con il luogo in cui si trovano i beni della società, i suoi stabilimenti e dove si svolge l'attività produttiva, ma deve essere individuata nel luogo “in cui abbiano effettivo svolgimento anche l'attività amministrativa e direzionale, ove cioè risieda il suo legale rappresentante, i suoi amministratori e dove sono convocate le assemblee societarie” (Cfr. Cass. n. 3028/1972). La posizione in questione è stata confermata da Cass., sez. III pen., 24 luglio 2013, n. 32091, in cui la Corte ha attribuito prevalenza, ai fini della verifica dell'esterovestizione della società, all'accertamento in Italia del luogo dove venivano prese le decisioni strategiche, industriali e finanziarie della società rispetto al luogo dove effettivamente era presente l'insediamento produttivo. Tale impostazione è poi stata ulteriormente assunta da Cass., sez. III pen., 30 settembre 2014, n. 40327.

La sede dell'amministrazione potrà, pertanto, essere concretamente individuata nell'effettivo luogo in cui il consiglio di amministrazione o l'organo gestorio si riunisce e delibera, oppure, nei casi di delega, nel luogo in cui la delega viene materialmente adempiuta, sempre che non si rilevi una mera ripetizione non autonoma delle decisioni già prese in sede di consiglio; in una visione sostanzialistica del criterio potrà essere valorizzato altresì il luogo in cui viene convocata l'assemblea dei soci, purché sia dimostrabile che questi detengono nel concreto l'effettivo potere gestorio, o, addirittura, nel luogo di residenza di un socio nell'ipotesi in cui il suo grado di ingerenza nell'amministrazione della società o dell'ente sia tale da ritenere che la società o l'ente stesso non costituiscano altro che una sua mera appendice (Cfr. circ. Fondazione Centro Studi Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti 20 maggio 2009, n. 7).

Le soluzioni

Con l'ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ha sancito che, al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero

Tale ricostruzione sarebbe coerente con la lettera dell'art. 73, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, ai sensi del quale “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio della Stato”.

L'ordinanza in esame, conformandosi ad altre pronunce della Suprema Corte, sancisce che la nozione di "sede dell'amministrazione", in quanto contrapposta alla "sede legale", è assimilabile alla "sede effettiva" di matrice civilistica, intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative, di direzione dell'ente e di convocazione delle assemblee e, quindi, come luogo stabilmente utilizzato per l'accentramento, nei rapporti interni e coi terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente (Cfr. sentenza della Corte di Cassazione 4 giugno 2019, n. 15184).

Sulla stessa linea si sarebbe posta la Corte di giustizia nella sentenza del 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg SàrL, in cui è stato affermato che la nozione di sede dell'attività economica “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest'ultimo (punto 60)”.

I giudici di legittimità, inoltre, sanciscono che la fattispecie della esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell'attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasterebbe con la libertà di stabilimento.

Ciò troverebbe conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (richiamata da Cass. Sez. 5 , 21.6.2019, n. 16697, cit.), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato

Sulla base di tali considerazioni, la sentenza di secondo grado è stata cassata, in quanto ha attribuito rilevanza, ai fini della verifica della configurabilità della fattispecie di esterovestizione prospettata dall'Amministrazione finanziaria, al solo fatto del compimento o meno, da parte della società verificata, di specifiche operazioni nel territorio nazionale, e ha trascurato, per converso, di apprezzare se la società avesse stabilito in Italia la concreta sede di assunzione delle decisioni di direzione e gestione dell'attività di impresa.

Osservazioni

E' necessario a questo punto ricordare che la Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 6 novembre 2020, n. 24872, si è occupata di un caso di esterovestizione di una società residente in San Marino.

In particolare, l'Agenzia delle Entrate ha contestato ad una società sanmarinese, che acquista materie prime da una società terza italiana e le rivende ad un'altra società italiana appartenete al Gruppo, di avere la propria sede tributaria in Italia.

I motivi di tale eccezione si sarebbero basati sul fatto che la società fa parte di un Gruppo italiano, che il suo fatturato è realizzato esclusivamente nei confronti di un soggetto italiano del Gruppo, che i pagamenti per la fornitura da parte del soggetto sanmarinese verrebbero effettuati a discrezione della società acquirente del Gruppo, che le gestione dei rapporti commerciali con il fornitore terzo sarebbe effettuata dalla società italiana del Gruppo, e che la società sarebbe amministrata di fatto da un soggetto che ricopre la carica di amministratore nella società acquirente italiana.

In altri termini, secondo la tesi erariale, la società di San Marino avrebbe la propria sede amministrativa presso la società italiana del Gruppo, a cui fornisce le materie prime.

In questo caso, i giudici di legittimità hanno dato ragione a parte contribuente, sancendo che una società esterna non può essere considerata residente in Italia se è localizzata all'estero la "sede effettiva" intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative, di direzione dell'ente e di convocazione delle assemblee e, quindi, come luogo stabilmente utilizzato per l'accentramento, nei rapporti interni e coi terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente

In altri termini, il ricorso dell'Agenzia delle Entrate è stato respinto in quanto è stato accertato che, nel periodo oggetto di verifica, la documentazione contabile ed i libri sociali erano tenuti a San Marino e le riunioni del collegio sindacale e dell'assemblea si tenevano tutte nello stesso territorio così come gli obblighi civilistici e fiscali erano adempiuti nel proprio Stato di appartenenza e i dipendenti erano quasi tutti ivi residenti.

Pertanto, anche nel caso oggetto dell'ordinanza del 2021 in commento, se la società lussemburghese riuscisse a dimostrare questo, le sue ragioni potrebbero essere accolte.

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