Responsabilità della RSA se l'ospite contrae il Covid nella struttura e decede per la malattia
24 Marzo 2021
Tizio, affetto da demenza senile, era ospite della RSA X dal mese di gennaio del 2020, dove è rimasto sino al 30 aprile 2020 quando, manifestando tutti i sintomi di una polmonite, veniva trasferito d'urgenza all'ospedale Y dove, dopo essere stato sottoposto a tampone ed essere risultato positivo al Covid 19, decedeva alcuni giorni dopo. Adesso i parenti di Tizio, ritenendo che il contagio sia avvenuto all'interno della RSA X dopo che questa aveva accolto alcuni malati Covid nella fase post acuta e/ riabilitativa senza adottare le cautele imposte dalla presenza di pazienti affetti da malattia infettiva, possono ricorrere all'autorità giudiziaria per fare affermare la responsabilità della RSA X?
Le residenze sanitarie assistenziali (RSA) di cui all'art. 20 l. 11 marzo 1988, n. 67 e disciplinate dal DPCM 22 dicembre 1989 n. 3500, sono strutture extraospedaliere che debbono assicurare accoglienza, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero di persone anziane prevalentemente non autosufficienti. Queste strutture debbono garantire un livello medio di assistenza sanitaria integrato da un livello alto di assistenza tutelare ed alberghiera (Linee Guida del Ministero della Sanità gennaio 1994, “indirizzi sugli aspetti organizzativi e gestionali delle residenze sanitarie assistenziali”). È incerto – considerata la loro dichiarata natura extraospedaliera – se le RSA siano assimilabili alle strutture sanitarie o socio sanitarie pubbliche o private di cui alla l. n. 24/2017, ma certamente queste, accogliendo un soggetto non autosufficiente e tendenzialmente fragile, assumono una serie di obblighi e doveri verso l'ospite che non possono esaurirsi nella mera prestazione alberghiera o sanitaria – assistenziale ma debbono anche assicurare un elevato standard di protezione da ogni genere di agente dannoso interno o esterno.
Se – quindi – può predicarsi la responsabilità contrattuale della RSA quando dalla inosservanza di questi doveri sia derivato un pregiudizio ad alcuno dei suoi ospiti, quando agiscono i parenti della vittima per il risarcimento della lesione del rapporto parentale, e dunque iure proprio, la fattispecie non può sussumersi nell'ambito di applicazione dell'art. 1218 c.c., configurandosi invece una ipotesi di responsabilità extracontrattuale. Questo principio è stato costantemente affermato dalla Corte di Cassazione quando dalla vittima secondaria è stata dedotta la responsabilità della struttura sanitaria (Cass. civ., Sez. III, 9 luglio 2020 n. 14615) ovvero del datore di lavoro (Cass. civ., Sez. Lav., 2 gennaio 2020 n. 2) ovvero del vettore aereo (Cass. civ., Sez. III, 20 aprile 1989 n. 1855).
È evidente che, spostando la tutela del diritto dall'area della responsabilità contrattuale a quella aquiliana, si aggrava la posizione processuale del danneggiato, sul quale incomberà l'onere di provare il fatto colposo del responsabile, oltre al nesso causale ed al danno, senza che possa essere sufficiente la prova dell'altrui obbligo alla esecuzione della prestazione e l'allegazione dell'inadempimento (Cass. civ.,Sez. Un., 30 ottobre 2001 n.13533). Vi è da chiedersi, però, se la RSA – quando accoglie all'interno della struttura malati Covid – debba rispondere solo ai sensi dell'art. 2043 c.c. verso gli eredi dell'ospite deceduto che agiscano iure proprio ovvero se possa inquadrarsi questa responsabilità nel perimetro dell'art. 2050 c.c. A mente della norma appena richiamata, una attività si definisce pericolosa se è tale per la sua natura o per la natura dei mezzi adoperati. La giurisprudenza ha sistematicamente interpretato la norma nel senso che si è in presenza di una attività che espone alla responsabilità di cui all'art. 2050 c.c. sia quando questa è definita pericolosa dalla legge sia quando l'attività – anche innocua ma potenzialmente offensiva in considerazione delle modalità in cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla – esponga al rischio rilevante di danni (Cass. Civ., 19 luglio 2018 n. 19180). La attività delle RSA – pur avendo ad oggetto prestazioni rivolte a favore di soggetti tendenzialmente fragili – non pare possedere una particolare attitudine offensiva; ma così potrebbe non essere quando la struttura accoglie pazienti Covid o – più in generale – soggetti portatori di un agente patogeno particolarmente contagioso e pericolo per la salute pubblica.
Il d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, che attua l'art. 1 della l. 3 agosto 2007 n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, impone precisi obblighi di protezione ai datori di lavoro quando il personale alle loro dipendenze è esposto ad agenti biologici.
In particolare, l'art. 274 detta “misure specifiche per le strutture sanitarie e veterinarie”, prevedendo che queste prestino “particolare attenzione alla presenza di agenti biologici nell'organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività”. A tal riguardo prevede altresì la medesima norma che “nelle strutture di isolamento che ospitano pazienti od animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 2,3 o 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono scelte tra quelle indicate nell'allegato XLVII in funzione delle modalità di trasmissione dell'agente biologico”. Sono agenti biologici del gruppo 3 (al quale appartiene il virus della Sindrome respiratoria acuta grave da Coronavirus 2) quelli che possono causare malattie gravi in soggetti umani e costituiscono un serio rischio perché l'agente può diffondersi nella comunità anche se sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche. In questi casi – ma anche nell'ipotesi in cui l'agente biologico appartenga al gruppo due e dunque, a mero titolo esemplificativo, un virus influenzale del tipo A, B e C – le misure di contenimento prescrivono una serie di attività il cui scopo è quello di neutralizzare il rischio del contagio ovvero di ridurlo al minimo.
Vero è che queste disposizioni riguardano la sicurezza sul luogo di lavoro ed impongono una serie di prescrizioni cui debbono attenersi i datori di lavoro, però più in generale si può desumere da questa legislazione speciale che tutte quelle attività che riguardino la cura di persone affette da malattie infettive, tanto più quando queste sono trasmissibili nella forma più comune di contagio ossia per via aerea, possano essere considerate pericolose. Peraltro, ed anche a prescindere dalla normativa appena richiamata, che il patogeno responsabile della infezione da Covid 19 fosse estremamente contagioso e particolarmente aggressivo era circostanza già nota a gennaio e non poteva certo essere sconosciuta ai responsabili della RSA X, tanto più che il Ministero della Salute già tra gennaio e febbraio aveva diramato una serie di circolari (la n. 1997 del 22 gennaio 2020 e 5443 del 22 febbraio 2020) che raccomandavano la massima attenzione nella gestione di un caso Covid. Se così fosse, dovrebbe allora potersi affermare che la RSA X risponderà del decesso di Tizio ai sensi dell'art. 2050 c.c. e dunque i parenti del defunto – che volessero agire per il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale – dovrebbero dimostrare il nesso di causalità tra il contagio del congiunto e la contemporanea presenza nella residenza di malati Covid, incombendo sulla struttura l'onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
Misure, è appena il caso di aggiungere, che sono state dettagliatamente indicate dalla circolare ministeriale del 29 marzo 2020 n. 10736 concernente “indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-COV-2 nelle attività sanitarie e socio sanitarie e soprattutto dalla circolare del ministeriale del 18.04.2020 n. 13468 concernente “indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell'infezione da SARS-COV-2 in strutture residenziali sociosanitarie. |