Obbligatorietà dei vaccini: la competenza legislativa è statale

Isabella Seghezzi
25 Marzo 2021

La normativa volta a contrastare la diffusione del Covid 19 non ha introdotto un obbligo vaccinale per il personale sanitario, il cui mancato assolvimento determina inidoneità al lavoro. A prescindere dalla valutazione della ragionevolezza degli atti contestati da parte ricorrente, l'introduzione dell'obbligo del vaccino non appare, dunque, rientrare nella competenza regionale.
Massima

La normativa volta a contrastare la diffusione del Covid 19 non ha introdotto un obbligo vaccinale per il personale sanitario, il cui mancato assolvimento determina inidoneità al lavoro. A prescindere dalla valutazione della ragionevolezza degli atti contestati da parte ricorrente, l'introduzione dell'obbligo del vaccino non appare, dunque, rientrare nella competenza regionale.

Il caso

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. la lavoratrice, di professione infermiera, citava in giudizio l'Assessorato Regionale della Salute, Regione Sicilia, chiedendo all'Autorità giudiziaria la disapplicazione di alcuni provvedimenti amministrativi adottati nell'ambito della campagna di vaccinazione antinfluenzale per l'anno 2020/2021 (Decreto n. 743 del 13 agosto 2020 e Allegato 1 emesso dall'assessorato regionale della Salute, Regione Sicilia, e della nota n. 34829/2020 emessa dal Dipartimento regionale Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico Assessorato della Salute Regione Siciliana contenente chiarimenti applicativi e delle note n. 1027/2020 e n. 1296/2020 a firma del Direttore della U.O. Igiene Ospedaliera AOU Martino).

Il Decreto n. 743 del 13 agosto 2020 introduceva l'obbligo del vaccino antinfluenzale, quale misura di prevenzione primaria, sulla scorta della circostanza che gli operatori sanitari rientrano nelle categorie maggiormente esposte al contagio e divengono potenziale veicolo di infezione nei diversi contesti assistenziali, quali le strutture ospedaliere e residenziali di lungodegenza e socioassistenziali, scenari nei quali si è ampiamente diffuso il SARS-COV-2.

In particolare, l'art. 10 del citato Decreto n. 743 del 13 agosto 2020 prevede che: ‹‹Per la campagna di vaccinazione antinfluenzale 2020/2021, in concomitanza con la pandemia da COVID-19, viene introdotto l'obbligo della vaccinazione antinfluenzale per i Medici e personale sanitario, sociosanitario di assistenza, anche se volontario. La mancata vaccinazione, non giustificabile da ragioni di tipo medico comporta l'inidoneità temporanea, per tutto il periodo della campagna, allo svolgimento della mansione lavorativa, ai sensi dell'art. 41, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008, nell'ambito della sorveglianza sanitaria da parte del medico competente di cui all'art.279 e correlata alla rivalutazione del rischio biologico a cura del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 271 e ss. del decreto citato››.

La predetta disposizione – che, evidentemente, persegue la finalità di realizzare una strategia di prevenzione dei contagi legati alla pandemia attraverso la diagnosi differenziale con l'influenza stagionale – sancisce l'obbligo del vaccino antinfluenzale e, contestualmente, prevede la sanzione per la sua violazione: e cioè l'inidoneità temporanea allo svolgimento della mansione lavorativa, fatta eccezione per l'ipotesi di ragioni di carattere medico da cui derivano controindicazioni e per le quali, dunque, sia sconsigliata la sua somministrazione.

Ad avviso, di parte ricorrente la potestà normativa regionale non è stata correttamente esercitata, determinando uno sconfinamento nella competenza dello Stato, con conseguente invalidità dei provvedimenti amministrativi adottati.

In particolare, si sottolineava il contrasto con la legge n. 833/1978, che, all'art. 32, autorizzava l'emissione di ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica da parte al Ministero della sanità, la giunta regionale ed il sindaco con efficacia estesa al territorio di rispettiva competenza (nazionale, regionale, comunale); nonché con la normativa emergenziale di cui al d.l. n. 19 del 25 marzo 2020 (convertito con modifiche nella legge n. 25/2020, poi modificata dal d.l. n. 83/2020) che ripartiva la competenza tra Presidente del Consiglio dei Ministri e Regioni, limitando il raggio di azione di queste ultime alle aree individuate all'art. 1, comma 2, del d.l. n. 19/2020. Tra le materie di cui alla norma poc'anzi citata non rientra la materia dei trattamenti sanitari obbligatori e, quindi, delle vaccinazioni.

La questione

La questione che il Giudice è chiamato ad affrontare in via preliminare è relativa alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

Altresì, la controversia in esame pone l'ulteriore questione del conflitto tra diritto alla libertà di autodeterminarsi e trattamento sanitario obbligatorio con possibilità di imporre alla collettività l'adempimento di un dovere di solidarietà, che, nel caso in esame, si traduce nell'introduzione da parte del vaccino antinfluenzale obbligatorio per una categoria di soggetti, di lavoratori, quelli impegnati nella sanità e nella cura delle persone.

La soluzione adottata dal giudice

La concessione dell'invocato provvedimento d'urgenza presuppone la coesistenza dei due noti requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, intesi – il primo – come dimostrazione della verosimile esistenza del diritto per cui si agisce, essendo infatti sufficiente, in base ad un giudizio necessariamente sommario, la probabile fondatezza della pretesa azionata, e –il secondo– come il fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere il proprio diritto in via ordinaria, questo rimanga all'esito insoddisfatto in quanto minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Se il fumus boni iuris è sintetizzabile nella violazione dei limiti posti in termini di legislazione concorrente tra Stato e Regioni che, nel caso in esame, toccano il diritto fondamentale della salute – nel contesto attuale, imperante – e, nello specifico, dei trattamenti sanitari obbligatori, il periculum in mora consiste nell'imminente scadenza del termine per la sottoposizione alla vaccinazione obbligatoria da cui sarebbe scaturita l'inidoneità temporanea al lavoro e, conseguentemente, nella diminuzione patrimoniale sofferta dalla lavoratrice per la mancata erogazione della retribuzione.

Il Giudice ha ritenuto sussistenti entrambi i requisiti legittimanti il ricorso d'urgenza.

Da un lato – senza approfondire la tematica della libertà di autodeterminazione, solo accennata – nella decisione si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 18 gennaio 2018, la quale statuisce che “in materia di vaccinazioni, la scelta delle modalità attraverso cui assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive spetta alla discrezionalità del legislatore”.

Il Giudice del Lavoro, rimettendosi a tale orientamento giurisprudenziale, ribadisce, quindi, che tali decisioni sono attribuite, in via esclusiva, alla potestà legislativa dello Stato, anche in considerazione del fatto che la profilassi per la diffusione di malattie infettive richiede necessariamente l'adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale.

Inoltre, nella sentenza de qua, si sottolinea che, sebbene la salute rientri tra le materie concorrenti di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione, la determinazione dei principi fondamentali è, in ogni caso, prerogativa della legislazione statale, con la conseguenza che le Regioni devono rispettare i “principi fondamentali” previsti dall'autorità superiore.

Poiché, rispetto alla normativa emergenziale non è stato introdotto, a livello nazionale, un obbligo vaccinale per il personale sanitario, il ricorso d'urgenza, sotto il profilo del fumus boni iuris, è stato accolto. Parimenti sussistente anche il periculum in mora, in considerazione dell'imminente scadenza del termine per la sottoposizione alla vaccinazione obbligatoria.

Osservazioni

Si ritiene utile qualche considerazione in ordine al principio della libertà di autodeterminazione.

Nell'ordinamento giuridico italiano è oggi principio pacifico che nessun trattamento sanitario possa essere compiuto o proseguito in difetto del previo ed esplicito consenso manifestato dal soggetto interessato. Il diritto del malato a decidere in piena coscienza e libertà se, da chi e come farsi curare discende dall'art. 32 della Costituzione secondo il quale “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Anche l'art. 13 della Costituzione riconosce l'inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi ricompresa anche la libertà di salvaguardare la propria salute ed integrità fisica, escludendone ogni restrizione, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e con le modalità previsti dalla legge.

Tali principi trovano ulteriore conferma e specificazione nell'art. 33 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari; qualora previsti, i trattamenti sanitari obbligatori devono comunque rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.

Tali principi subiscono delle restrizioni solo nell'ipotesi in cui la tutela della salute pubblica debba ritenersi prioritaria: da una parte l'individuo e la sua libertà di autodeterminarsi, dall'altra la comunità e la necessità di tutelare il bene “salute” a livello collettivo.

E' interessante segnalare che, ad oggi, non sia previsto un obbligo vaccinale per il COVID 19.

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