Nessuna rimessione al primo giudice per vizi del contradditorioFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 353
31 Marzo 2021
Premessa
L'appello è di regola un'impugnazione a carattere sostitutivo, ovvero il giudice di appello decide emanando una sentenza, sia essa di rigetto che di accoglimento, con la quale sostituisce la sentenza di primo grado. Ci sono, tuttavia, dei casi in cui l'accoglimento dell'appello comporta la rimessione della causa al giudice di primo grado affinché sia quest'ultimo a rendere la decisione di merito. I casi di accoglimento dell'appello con rimessione della causa al giudice di primo grado sono casi tassativi, previsti dalla legge, nei quali l'appello si comporta come un'impugnazione rescindente deviando dal modello sostitutivo. In questi casi il giudice d'appello rende una pronuncia che non ha ad oggetto il rapporto, quindi la domanda originaria, ma la validità della sentenza, per cui annulla la sentenza e rimette la causa al primo giudice. Accanto alle ipotesi in cui il giudice di appello decide confermando o riformando la pronuncia impugnata emanando, dunque, una sentenza sostituiva della pronuncia impugnata ci sono queste ipotesi eccezionali, tassative, di appello c.d. rescindente. Si tratta di sei casi indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c. Si possono distinguere due gruppi a seconda che la rimessione trovi ragione nell'erroneo rilievo di un impedimento processuale, artt. 353 e 354, comma 2, c.p.c. ovvero in un vizio particolarmente grave del processo, art. 354, comma 1, c.p.c. la cui sanatoria con efficacia ex tunc rende possibile la pronuncia di merito. La funzione cui adempie la rimessione nella prima ipotesi è quella di consentire una doppia pronuncia di merito; nella seconda ipotesi è quella di fare salvi gli effetti sostanziali della domanda. Talora, la gravità dei vizi che conducono alla rimessione della causa in primo grado ne comporta la rilevabilità d'ufficio pur in mancanza di impugnazione sul punto ed il carattere assolutamente preliminare del loro esame rispetto ad altri temi d'indagine, che restano sottratti alla cognizione del giudice di appello. La Suprema Corte ha sempre ribadito la tassatività delle ipotesi di rimessione, resa esplicita dalla clausola iniziale dell'art. 354 c.p.c. (Cfr. Cass. civ., 3 aprile 2012, n. 5277; Cass. civ., 9 marzo 2012, n. 3712; Cass. civ., 23 dicembre 2011, n. 28681; Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2010, n. 9217, in Foro it, 2010, I, 2043). Le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto l'art. 354 c.p.c. non assicurerebbe il rispetto del doppio grado di giurisdizione pur in presenza di una causa di nullità degli atti compiuti in primo grado, sono state dichiarate manifestamente infondate sia perché non esiste una garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione di merito, sia perché il principio di eguaglianza non impedisce al legislatore di dettare norme diverse per regolare situazioni ritenute differenti, mentre il diritto di difesa è ampiamente realizzato con la previsione del potere-dovere del giudice d'appello di decidere la causa nel merito, previa rinnovazione, nel contraddittorio di tutte le parti, degli atti nulli. Nei casi di erroneo rilievo di impedimenti processuali il giudice di appello deve decidere il merito allorché, in contrasto con la sentenza di primo grado, ritenga valida la citazione introduttiva, oppure ammissibile l'opposizione a decreto ingiuntivo o la convalida di sfratto, o ancora insussistente la causa di inammissibilità o improcedibilità della domanda (Cfr. Cass. civ., 15 maggio 2009, n. 11317; Cass. civ., 23 gennaio 2006, n. 1222). Recentemente la Corte costituzionale è stata nuovamente investita della questione, in particolare la Corte d'appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 354 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La disposizione censurata violerebbe gli evocati parametri costituzionali «nella parte in cui non prevede che il giudice d'appello debba rimettere la causa al giudice di primo grado, se è mancato il contraddittorio, non essendo stata da questo neppure valutata, in conseguenza di un'erronea dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione, la richiesta di chiamata in causa del terzo, proposta dall'opponente in primo grado, con conseguente lesione del diritto di difesa di una delle parti». Nel caso di specie, il giudice di primo grado, quale giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, aveva dichiarato l'opposizione stessa improcedibile per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. Il primo giudice non aveva, quindi, neppure valutato l'istanza dell'opponente, il quale, con l'atto stesso di opposizione, aveva chiesto di chiamare in causa la compagnia assicuratrice garante della restituzione del finanziamento oggetto dell'iniziativa monitoria. Investito dell'appello dell'opponente, il giudice aveva assegnato il termine di legge per l'esperimento della mediazione obbligatoria, come avrebbe dovuto fare il primo giudice; soddisfatta la condizione di procedibilità dell'opposizione, occorreva valutare l'istanza di chiamata in garanzia, come reiterata dall'appellante, previa rimessione della causa al giudice di primo grado. La Corte d'appello investita della questione aveva osservato che l'intervento del garante non avrebbe potuto essere provocato in grado d'appello, nel quale l'intervento del terzo è consentito soltanto ai soggetti legittimati all'opposizione di terzo, per effetto del combinato disposto degli artt. 344 e 404 c.p.c. Posto che l'appellante aveva chiesto la rimessione della causa al giudice di primo grado, in applicazione analogica degli artt. 353 e 354 c.p.c., per potervi svolgere la chiamata del terzo in garanzia, la Corte d'appello aveva rilevato come a tale istanza ostasse il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che qualifica come tassative, eccezionali ed insuscettibili di applicazione analogica le ipotesi di rimessione in primo grado contemplate dagli artt. 353 e 354 c.p.c. Per il giudice di secondo grado, l'impossibilità della rimessione della causa al giudice di primo grado pregiudicava il diritto di difesa dell'opponente, che si vede costretto ad agire in via autonoma contro il garante, senza potersi avvalere, nei suoi confronti, del giudicato formatosi sull'azione principale. Pertanto, invitava a ripensare il principio di tassatività ed eccezionalità delle cause di rimessione in primo grado, anche alla luce della metamorfosi del giudizio d'appello, che il legislatore avrebbe progressivamente trasformato da novum iudicium, di carattere sostitutivo, in revisio prioris instantiae, di stampo cassatorio. In conclusione, per la Corte d'appello, l'art. 354 c.p.c., così come attualmente formulato, era idoneo a determinare la violazione degli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, «nella parte in cui non prevede che il giudice d'appello debba rimettere la causa al primo giudice, se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti». La Corte costituzionale con la sentenza n. 58/2020, (in questa Rivista, con nota di Di Cola), ha, tuttavia, rigettato la questione, ribadendo ancora una volta che nell'ordinamento processuale civile, la rimessione al primo giudice è fenomeno limitato ai casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., sicché corrisponde ai principi processuali che il secondo giudice decida nel merito, senza dare luogo a rimessione, qualora abbia «constatato una violazione in prima istanza delle regole del contraddittorio o del diritto di difesa non riconducibile ai casi di rimessione espressamente previsti». La tassatività ed eccezionalità delle ipotesi normative di rimessione in primo grado, del resto, è affermata dall'univoca e risalente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, come un riflesso della natura prevalentemente rescissoria del giudizio d'appello, coerente con la regola di assorbimento dei vizi di nullità in motivi di gravame, potendo il giudice d'appello limitarsi ad emettere una pronuncia rescindente, cioè di mero annullamento con rinvio, nei soli casi espressamente indicati dal legislatore (cfr. Cass. civ., 14 novembre 1972, n. 3368; Cass. civ., 12 gennaio 1963, n. 34; Cass. civ., 28 luglio 1962, n. 2208; conformi, tra molte, Cass. civ., 17 marzo 2006, n. 5907; Cass. civ., 15 maggio 2002, n. 7057). La deduzione secondo cui la necessità di agire in via autonoma contro il terzo garante, derivante dall'impossibilità del regresso in primo grado, lederebbe il diritto di difesa del convenuto-opponente, poiché questo verrebbe privato del vantaggio del processo simultaneo, segnatamente del beneficio della formazione contestuale del giudicato sul rapporto principale e sul rapporto di garanzia, non merita accoglimento. Il simultaneus processus non gode di garanzia costituzionale, trattandosi di un mero espediente tecnico finalizzato, laddove possibile, a realizzare un'economia dei giudizi ed a prevenire il conflitto tra giudicati, sicché la sua inattuabilità non lede il diritto di azione, né quello di difesa, se la pretesa sostanziale dell'interessato può essere fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e difesa (cfr. Corte cost., n. 124/2005, n. 18/1999 e n. 308/1991). La scelta del legislatore di non includere tra le ipotesi di rimessione in primo grado quella della pretermissione dell'istanza del convenuto-opponente di chiamata di un terzo in garanzia impedisce di recuperare il processo simultaneo tra la domanda principale e la domanda di garanzia, ma non impedisce che quest'ultima sia fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e difesa. Tutto ciò consente di ribadire ancora una volta che le ipotesi normative nelle quali il gravame può arrestarsi al solo profilo rescindente, in funzione della rimessione della causa al primo giudice, sono tassative ed eccezionali (cfr. Cass. civ., 17 aprile 2019, n. 10744). Gli artt. 353 e 354 c.p.c. prevedono la rimessione della causa al primo giudice solo in ipotesi tassative, non in ogni caso in cui vi sia stata in primo grado una violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa di una delle parti (cfr. Cass. civ., 26 settembre 2019, n. 24089). Il caso di cui si è discusso maggiormente riguarda l'ipotesi in cui il giudice di appello rilevi la nullità dell'atto di citazione non sanata in primo grado. Dato che le ipotesi di c.d. appello rescindente sono tassative, ovvero eccezionali e come tali insuscettibili di applicazione analogica, ci si è chiesti se questa ipotesi potesse in qualche modo rientrare tra i casi di rimessione della causa in primo grado. Innanzitutto occorre distinguere a seconda del tipo di vizio, se infatti il vizio attiene all'editio actionis, non è sanabile con efficacia retroattiva, per cui una rimessione in primo grado volta a consentire l'integrazione della identificazione della domanda giudiziale avrebbe poca o nessuna utilità. Nel caso di vizi della vocatio in ius ove la sanatoria ha efficacia retroattiva, invece, si discute. Secondo alcuni sarebbe possibile forzare la lettera dell'art. 354, comma 1, c.p.c. e quindi effettuare una interpretazione analogica e/o estensiva con rinvio della causa in primo grado e rimessione in termini del convenuto. In tal caso si avrebbe una rinnovazione integrale del giudizio di primo grado alla luce dell'assimilazione della disciplina dei vizi della vocatio in ius a quella della nullità della notificazione emergente dalla previsione della possibilità di rinnovazione dell'atto e della conservazione degli effetti della domanda (Toffoli, op. cit., p. 1302 ss.). Secondo altri, invece, la lettera della legge non consente questa operazione, questo vizio non sarebbe sanabile in appello e, dunque, in questo caso l'appello dovrebbe concludersi con una pronuncia di rigetto in rito della domanda per carenza della idoneità della citazione introduttiva a dare impulso al rapporto processuale, c.d. sentenza di absolutio ab instantia (Cavallini, op. cit., p. 494 ss.; Chiarloni, op. cit., p. 18). Secondo altri ancora sarebbe possibile applicare la sanatoria dell'art. 164 c.p.c. direttamente in appello, ossia senza rimessione al primo giudice, per cui il giudice d'appello dovrebbe decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte le attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse, rendendo così il secondo grado un giudizio aperto e senza preclusioni (Consolo, op. cit., p. 323). Questo è l'indirizzo prevalente ed attuale in giurisprudenza (Cfr. Cass. civ., 2 febbraio 2018, n. 2647; Cass. civ., 12 ottobre 2017, n. 24017; Cass. civ., 19 giugno 2017, n. 15126; Cass. civ., 14 giugno 2016, n. 12156). Dal rilievo della nullità non discende, dunque, l'automatica rimessione in termini del convenuto, che sarà subordinata invece alla dimostrazione che il vizio gli abbia in concreto impedito di avere conoscenza del processo, giustificando il protrarsi della contumacia per tutto il primo grado. Nei casi di nullità della citazione per vizi attinenti alla vocatio in ius, infatti, la negligenza dell'attore non può esonerare il convenuto dal tenere a sua volta un comportamento diligente. Qualora il convenuto acquisisca conoscenza del processo in tempo utile per costituirsi nei termini o in prima udienza, nonostante la nullità della citazione, ma si costituisca successivamente, si versa in un'ipotesi in cui la mancata costituzione è a lui imputabile, per cui non merita la rimessione in termini per il compimento delle attività omesse in primo grado. Appare evidente la differenza tra la nullità della citazione, che non sempre impedisce al convenuto di avere conoscenza del processo e, quindi, di costituirsi seppur tardivamente, e la nullità della notificazione dell'atto di citazione, che, invece, attiene proprio al procedimento attraverso il quale l'atto introduttivo deve essere portato a conoscenza del convenuto. In quest'ultimo caso si presuppone che il convenuto nulla abbia saputo in merito all'instaurazione del processo nei suoi confronti, si tratta, dunque, di un impedimento incolpevole all'esercizio dei diritti, che giustifica la rimessione in primo grado e la conseguente piena reintegrazione nei poteri difensivi (Per approfondimenti v. Balena, op. cit., p. 125 ss.; Olivieri, op. cit., 427 ss.). La rinnovazione degli atti nulli
Al di fuori delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, ove venga rilevato un vizio negli atti compiuti in primo grado non rientrante nelle ipotesi tassative di rimessione in primo grado il giudice di appello dovrà dichiararne la nullità e disporne la rinnovazione. Il giudice di appello non soltanto dovrà disporre la rinnovazione degli atti nulli, ma dovrà consentire alla parte rimasta contumace in primo grado e, conseguentemente, alle altre parti di svolgere tutte quelle attività che a cagione della nullità sono state precluse non potendo trovare applicazione il divieto di ius novorum in tutti i casi in cui il giudizio di primo grado non si sia regolarmente svolto (Cass. civ., 23 dicembre 2011, n. 28681). Se, invece, la rinnovazione non è possibile, scartati gli atti nulli, il giudice dovrà decidere nel merito. Al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. l'appello non può essere però fondato solo su censure di nullità senza contemporaneo gravame contro l'ingiustizia della sentenza a pena di inammissibilità: secondo un consolidato orientamento, infatti, l'impugnazione con cui l'appellante si limita a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che ha deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole è ammissibile solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice. In questo caso l'interesse della parte appellante è riferito solo alla soluzione della questione di rito (Cass. civ., 10 maggio 2018, n. 11299; Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2008, n. 12644). Riferimenti
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