Convalida di sfratto e morosità sopravvenuta

31 Marzo 2021

La morosità maturata successivamente alla notificazione dell'intimazione non può giustificare un provvedimento di convalida non essendosi instaurato, sulla stessa, rituale tempestivo contraddittorio in quanto oggetto di prima allegazione soltanto in sede di udienza ex art. 660 c.p.c.
L'attestazione di persistenza della morosità

L'emissione dell'ordinanza di convalida è subordinata all'attestazione da parte del locatore (o anche del suo procuratore) della «persistenza» della morosità.

L'ordinamento richiede, pertanto, che il requisito dell'inadempimento del canone debba essere attuale, al momento della pronuncia dell'ordinanza di convalida.

La Suprema Corte ha precisato, al riguardo, che, ai fini della convalida dello sfratto, l'attestazione del locatore, ai sensi dell'art. 663, comma 3, c.p.c., è necessaria solo quando l'intimato non compaia all'udienza, perché, se egli compare e si oppone, la deduzione di cessazione della morosità resta affidata alla sua difesa, mentre, se compare e non si oppone, la necessità dell'attestazione è assorbita dalla non opposizione (Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2014, n. 19865).

Inoltre, la previsione della facoltà alternativa di attestazione della morosità in capo al locatore intimante e al suo procuratore consente di ritenere sufficiente la comparizione del procuratore del locatore ai fini dell'attestazione ai sensi dell'art. 663 c.p.c.

Per detta attestazione la giurisprudenza non richiede l'utilizzo di formule particolari essendo sufficiente anche che il locatore faccia riferimento alle conclusioni dell'atto introduttivo (Cass. civ. sez. III, 2 febbraio 2003, n. 1290) integrando tale comportamento «…sostanzialmente un'ulteriore conferma dell'intimazione di sfratto per morosità richiesta all'intimato, nell'ambito del procedimento sommario, al fine di certificare (occorrendo, anche con una cauzione) la mancata purgazione della mora fino al momento della pronuncia del relativo provvedimento».

L'ordinanza di convalida pronunciata in difetto dell'attestazione di persistenza della morosità, ovvero sulla base di un'attestazione erronea, si colloca al di fuori dello schema legale del procedimento e rende possibile l'appello (sul punto cfr. Cass. civ., sez. VI, 3 settembre 2015, n. 17582 per cui «In tema di procedimento di sfratto per morosità, la dichiarazione del locatore che la morosità persiste costituisce il presupposto di legittimità della convalida, sicché contro di essa è ammissibile l'appello solo se diretto a contestarne la mancanza e non per dedurne la non veridicità»).

Anche in caso di mancata comparizione all'udienza di convalida dell'intimato ritualmente citato il giudice deve verificare d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 1992, n. 1744) se sussistono i presupposti di rito e di merito - tra cui la persistenza della morosità - rifiutando il provvedimento ex art. 663 c.p.c. in caso negativo.

Fonte: ilprocessocivile.it

Concetto di «persistente morosità» e adempimenti parziali o intempestivi

La c.d. «persistente morosità» va intesa nel senso di persistente esistenza della morosità in sede di udienza, di consistenza tale da giustificare la pronuncia di risoluzione per inadempimento, non già di esatta permanenza della precisa somma indicata in citazione: la questione predetta è collegata con quella, frequente nella pratica, della purgazione della mora e dei pagamenti parziali.

Infatti, una volta ricevuta l'intimazione il conduttore potrebbe attivarsi per sanare la morosità prima che si tenga l'udienza, ovvero mediante pagamento banco iudicis o nel termine di grazia previsto dall'art. 55 della l. sull'equo canone.

Il riferimento alla prima udienza contenuto nell'art. 55 cit., infatti, indica il termine ultimo entro il quale, limitatamente alle locazioni ad uso abitativo, può intervenire il fatto impeditivo della risoluzione per inadempimento.

Le ipotesi che possono verificarsi nella pratica sono le seguenti:

Purgazione completa della mora: ove l'intimato, nel tempo intercorrente fra la notifica dell'intimazione e l'udienza di convalida, abbia pagato quanto dovuto, è esclusa la possibilità, per ogni tipologia di locazione, di emettere ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c. (in quanto la morosità non persiste) e il giudizio, previo mutamento del rito, proseguirà per valutare la sussistenza di un inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto di locazione ai sensi dell'art. 1455 c.c. e, per le locazioni ad uso abitativo, ai sensi dell'art. 5 della l. sull'equo canone (Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2005, n. 24460) La giurisprudenza ha precisato infatti: «In tema di locazioni, la purgazione della mora, successiva alla domanda di risoluzione insita nell'intimazione di sfratto per morosità, non è ostativa, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., all'accertamento della gravità del pregresso inadempimento nell'ambito del giudizio ordinario che a tal fine prosegua successivamente al pagamento dei canoni scaduti da parte dell'intimato».

Pagamento satisfattivo dei soli canoni: ove risulti il pagamento interamente satisfattivo dei soli canoni e il locatore insista nella convalida permanendo l'inadempimento degli interessi e delle spese legali, lo sfratto non potrà essere convalidato, difettando il requisito della persistenza della morosità non riferibile ai predetti accessori, che non configurano morosità in senso stretto. La condotta inadempiente dell'intimato non impedirà, eventualmente, la risoluzione del contratto all'esito del giudizio di merito ma ostacola, in via immediata, l'emissione di ordinanza di convalida, residuando la possibilità di emettere ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2002, n. 17738) sussistendone le condizioni e non ostando«gravi motivi».

Rifiuto del pagamento: non è consentito al locatore rifiutare l'adempimento offerto anteriormente all'udienza o banco iudicis (al fine, che l'ordinamento non può reputare meritevole di tutela, di conservare gli effetti della persistenza dell'inadempimento ed ottenere il provvedimento di convalida). L'applicazione della disciplina dell'offerta reale di adempimento della prestazione ex art. 1220 c.c. che elìde la mora del debitore, induce a ritenere l'equipollenza, quoad effectum, tra l'offerta e il pagamento.

Pagamento parziale: l'adempimento parziale della morosità potrebbe escludere la convalida se per effetto di esso risulti esclusa una consistenza della morosità tale da giustificare la risoluzione per inadempimento (insita nel provvedimento di convalida adottato ai sensi dell'art. 663 c.p.c.): infatti, la mancata contestazione dell'intimato o la sua mancata comparizione non esimeranno il giudice dal valutare la gravità dell'inadempimento residuo.

Pagamento integrale ma tardivo: il tardivo ma integrale adempimento paralizza la emissione del provvedimento di convalida ex art. 663 c.p.c. o di rilascio ex art. 665 c.p.c., ma non impedirà, ove l'intimante insista, la pronuncia di risoluzione, ricorrendone i requisiti e all'esito della fase di merito (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2010, n. 13248). Ove l'intimante non abbia interesse a coltivare la domanda di risoluzione e il giudizio prosegua esclusivamente per la liquidazione delle spese legali, il giudice è ugualmente tenuto ad accertare gli elementi costitutivi ed i requisiti generali di fondatezza della domanda, al fine di verificare l'esistenza del presupposto per la condanna alle spese costituito dalla soccombenza della parte, non potendo il pagamento in via cautelativa essere equiparato all'indiscusso riconoscimento delle ragioni dell'avversario (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11358).

La morosità sopravvenuta

Con riferimento al predetto requisito della «persistente morosità», la giurisprudenza di merito non è uniformemente orientata con particolare riferimento alla tematica di quella maturata successivamente alla notificazione dell'intimazione. Nella pratica spesso accade, infatti, che il conduttore, nel lasso di tempo intercorso tra la notificazione dello sfratto e l'udienza per convalida, abbia pagato le somme oggetto di intimazione rendendosi, tuttavia, inadempiente dei canoni maturati medio tempore.

La dottrina maggioritaria e la Suprema Corte (anche se con pronunce ormai risalenti come in Cass. civ. sez. III, 23 aprile 1969, n. 1328, e Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 1992, n. 1744) ritengono che il riferimento alla persistenza induce a ritenere che la morosità, che può legittimare l'ordinanza di convalida, sia soltanto quella indicata in citazione. Diversamente ragionando si arrecherebbe grave pregiudizio alle allegazioni difensive dell'intimato, non essendosi instaurato rituale tempestivo contraddittorio in ordine alla morosità successivamente maturata oggetto di prima allegazione soltanto in sede di udienza ex art. 660 c.p.c.

L'ordinanza di convalida emessa (solo) sulla base di una morosità maturata successivamente alla notifica dell'intimazione sarebbe adottata in violazione delle condizioni stabilite dalla legge processuale (errores in procedendo) con conseguente sua impugnabilità con il mezzo ordinario dell'appello (Cass. civ. sez. III, 3 luglio 2014

,

n. 15230) essendo, in tal caso, equiparabile, nella sostanza, ad una sentenza (Cass. civ., sez. III, ord., 13 giugno 2017, n. 14625).

Del resto già in Cass. civ., sez. III, 23 aprile 1969, n. 1328 si chiariva che «nelle azioni di risoluzione per inadempimento di contratto con prestazioni periodiche, ancorchè omogenee, l'inadempimento di prestazioni dovute per un determinato periodo è un fatto oggettivamente distinto e differentemente valutabile rispetto all'inadempimento di prestazioni dovute per un periodo diverso. La differenza sussiste anche se gli inadempimenti, pur essendo relativi allo stesso periodo, attengano ad obbligazioni non coincidenti. Invero, ciascuno di tali fatti può dare origine ad una diversa azione di risoluzione, perché in tale categoria di azioni la causa petendi non è costituita dall'inadempimento in senso generico, ma da quel particolare e specifico inadempimento che l'attore deduce a fondamento della sua pretesa e il giudice è tenuto a valutarlo specificamente sotto il profilo della gravità e dell'importanza in relazione all'interesse dell'altro contraente».

Tanto più che, in caso di mancata comparizione dell'intimato mai potrebbe attribuirsi all'inerzia dell'intimato il valore di ficta confessio, ovvero di tacita o implicita ammissione degli elementi costituivi della domanda giudiziale, su fatti di inadempimento neanche dedotti nell'atto introduttivo e sui quali, pertanto, non si è mai instaurato il contraddittorio.

Quindi, la dichiarazione di persistenza della morosità deve riferirsi esattamente ai canoni indicati in citazione, in quanto il silenzio dell'intimato potrà tener luogo dell'accertamento della fondatezza della domanda di convalida in quanto si riferisca ai soli fatti enunciati nella citazione dovendosi, pertanto, escludere una convalida di sfratto per morosità nel pagamento di canoni diversi da quelli indicati in citazione come quelli sopravvenuti in corso di causa, dovendo sussistere piena corrispondenza fra la morosità contestata e quella posta a base dell'ordinanza di convalida.

Secondi i fautori dell'indicata tesi l'ordinanza di convalida può essere pronunciata solo per i canoni specificatamente indicati nell'atto di intimazione e non anche per l'inadempimento relativo a canoni diversi giacchè vi sarebbe un' indebita mutazione della causa petendi che, invece, non si verifica laddove il locatore chieda il pagamento dei canoni insoluti e a scadere (cfr. Cass. civ. sez. III, 13 febbraio 1992, n. 1744: a fronte di uno sfratto intimato, per una locazione ad uso abitativo, per i canoni di settembre ed ottobre, lo sfratto era stato - erroneamente secondo la Corte - pronunciato sulla base dell'attestazione di persistenza della morosità relativamente al solo canone di novembre, con attestazione resa all'udienza dal procuratore del locatore, nonostante fosse stata sanata la morosità contestata nell'atto di intimazione).

La necessità della piena corrispondenza fra la morosità contestata e quella posta a base dell'ordinanza di convalida, impone al locatore intimante l'onere di specificare esattamente quali sono i canoni scaduti che hanno provocato l'inadempienza dedotta, anche al fine di consentire al conduttore di provvedere al tempestivo pagamento o di esercitare la facoltà concessagli dall'art. 55 della l. 392/1978).

Precisava la S.C. come: «Il procedimento per convalida di sfratto, che per sua natura ha carattere sommario, offre al locatore uno strumento processuale rapido per ottenere la risoluzione del contratto di locazione, in presenza di determinanti eventi, tra cui la morosità del conduttore. Proprio in considerazione di tale posizione di privilegio del locatore, e della corrispondente esigenza di tutelare i contrapposti interessi del conduttore, il procedimento sommario in questione è modellato su rigidi schemi che debbono essere rigorosamente osservati dalle parti e dal giudice».
Per la tutela di tali esigenze di difesa, infatti, a differenza di quanto avviene nell'ordinario giudizio di risoluzione per inadempimento contrattuale - come nel giudizio di merito che segua al provvedimento di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. - (laddove possono essere valutati, ai fini dell'art. 1453 c.c., le inadempienze verificatesi nel corso del giudizio) nel procedimento per convalida di sfratto, esulando ogni valutazione della gravità dell'inadempimento, non è consentita, la deduzione di morosità diverse da quelle indicate nell'atto di intimazione nè tanto meno di morosità non ancora verificatesi.

In conclusione

Pertanto, anche in caso di mancata comparizione all'udienza di convalida dell'intimato ritualmente citato, il giudice deve verificare, d'ufficio, se sussistono i presupposti di rito e di merito per la convalida, e deve rifiutarla qualora l'attestazione di persistenza della morosità fatta dal procuratore del locatore non si riferisca ai canoni scaduti indicati nell'atto di intimazione.

Basterebbe rammentare che l'intimazione di sfratto è un atto tipicamente processuale che introduce lo speciale procedimento per convalida ed individua gli elementi oggettivi della domanda giudiziale proposta contro l'intimato: ciò implica che la dichiarazione di persistenza della morosità richiesta dall'art. 663 c.p.c. deve riguardare la morosità dedotta nell'intimazione, come si desume anche dal tenore letterale della disposizione codicistica, giacchè il concetto stesso di «persistenza» ne comporta il riferimento alla morosità che esisteva - al momento in cui è stato notificato lo sfratto - e che continua ad esistere all'udienza di convalida. La morosità maturata dopo la instaurazione del contraddittorio poiché non esisteva non può persistere.

Nella pratica giudiziaria non di rado si assiste a comportamenti in mala fede del conduttore che sana la morosità intimata al solo fine di paralizzare l' emanazione dell'ordinanza di convalida, salvo poi rendersi nuovamente e immediatamente inadempiente nel pagamento dei canoni maturati dopo la notifica: tale comportamento potrà essere valorizzato adeguatamente nella decisione finale di merito - giacchè il giudice d'ufficio dovrà rilevare l'assenza di un requisito di legge per emettere ordinanza di convalida, disponendo il mutamento del rito - ma non potrà avallare lo scostamento dal modello procedimentale fissato per legge.

*fonte: www.ilprocessocivile.it

Riferimenti
  • Di Marzio M., Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Giuffrè ed. 1998;
  • Taraschi C., Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Officina del diritto, Giuffrè, 2019;
  • Garbagnati E., I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano 1970, 306;
  • Ferrone P., Sui poteri cognitivi del giudice della convalida, in Rassegna dell'equo canone, n. 2/1992, 165;
  • Preden R., Sfratto (procedimento per convalida di), in Enc. Dir. XLII, Milano 1990, 444.

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